venerdì 23 aprile 2010

Vimbuza/Tarantella: danzare la malattia

Sono Tiza

Paumaliro, paumaliro tiza
Tiza kuno kuchita
Kokwamba na komalizga
Tiza kuno kuchita
Volemba na vobelenga
Enya, enya na.
Tiza kuno paumaliro.

Apa uchechelo wangwiza
Zuba lati ngwee
Kufunda kunjila kumtima
Zuba kutipa ungweru
Tangumanya...umoyo wiza

Ndipo sono
Sono tiza
Thukutira nge ni maji
Apo tuzunta-zuntha na kutemwa
Pakuti vijaro va kuchanya
Vyajurika kwa ise.

Sono tuona maluba
Maluba ghawemi ghaswesi
Chipango chithu chasono
Paumaliro tili kuno
Kupurikirira uwemi wa chipango

Enya, enya, enya na
Tafika kukaya kwithu
Pakuti pa nyengo yitali
Tikapiwa nyengo yolindilira
Tikalindira nyengo kuti yize
Ndipo sono, nyengo yili pano:

Nyengo yakupolera
Nyengo ya chimwemwe
Nyengo yakutukulira
Chino charo chithu
M’nthowa yosambizga
Bana bithu bawemi.

Sono ise tiza
Vemwemwe pamaso pithu
Tikolerane mawoko
Apo tuvina Vimbuza, M’ganda na Fwemba
Apo tugoma nchuba
Tikolerane mawoko
Tisekelere pamoza
Paumaliro tafika
Paumaliro tiza
Enya na.

Gankhanani Moffat Moyo

La versione tedesca su lyrikline mi pare non sia del tutto corrispondente all'originale, ma il suo aiuto è talmente essenziale che senza di essa non potrei proporne una versione italiana:

Siamo venuti

Finalmente siamo qui
Qui per
Fare la prima e l'ultima cosa
Qui per
Leggere e scrivere
Sì, siamo finalmente qui.

Quando è giunto il mattino
La luce chiara del sole
È giunto dolcemente il calore
Il sole ci ha dato la sua luce
Sapevamo che era giunta la vita

E ora siamo finalmente arrivati
Sudati ma festanti
Ansanti ma sorridenti
Perché le porte del cielo
Si sono aperte a noi.

E ora vediamo rose
Belle rose rosse
Una nuova creazione per noi
Finalmente siamo qui
Per gioire della creazione
Nel tentativo di fare
Dell'oggi un bel tempo
Per la nostra bella vita

Sì, sì, siamo finalmente a casa
Per, per così tanto tempo
Ci è stato dato tempo di aspettare
Aspettavamo il tempo futuro
E ora, ora esso è qui:

Un tempo per guarire
Un tempo per sorridere
Un tempo di ricordo rinfrancante
Un tempo per la ricostituzione della nostra nazione
Attraverso l'educazione
Dei bei bambini della madre Zambia.

Finalmente siamo arrivati
Siamo infine di fronte alla bellezza
Finalmente sorridiamo

Con l'educazione dei nostri bambini in questa nazione
Regna pacificamente il nuovo risveglio

Il nuovo risveglio della vita
Il nuovo risveglio della realtà
Il nuovo risveglio della gioia
Il nuovo risveglio di tutto
Noi, che siamo il nuovo risveglio

Sì, siamo venuti
Per svegliarvi tutti quanti
Siamo qui
Qui per sempre
Fino al regno del nuovo risveglio.
Africa.

Moyo è nato a Lusaka, nello Zambia, nel 1980. Ha un talento poliedrico che spazia dalla poesia al teatro, dalla danza alla narrativa. È editore della rivista letteraria Echoes of Tomorrow e ha fondato la Young Writers' Association.

Il chiTumbuka (la lingua dei Tumbuka) è una lingua franca regionale del gruppo bantu, parlata, secondo le versioni più rosee, da 2 milioni di persone, soprattutto nel nord del Malawi, ma anche nel nordest dello Zambia e nel sud della Tanzania. Sopravvissuta alla politica del primo presidente del Malawi indipendente Kamuzu Banda, che nel 1968 l'ha bandita per decreto dalle scuole e dai media del suo Paese a favore del chiNyanja (da allora ribattezzato chichewa), è parlata per lo più da persone che hanno più di 30-40 anni. Dal 1996 è di nuovo consentito insegnarla, assieme ad altre lingue locali, ai bambini nei loro primi anni di scuola.

Una lingua che resiste, quindi, nonostante tutto. Come resiste, a dispetto dei tentativi di divieto e di soppressione da parte della chiesa cristiana e della medicina moderna, la tradizione, molto popolare tra i Tumbuka, della danza rituale Vimbuza (di cui c'è traccia nella poesia di Moyo ma purtroppo non nella sua traduzione), una delle tanti manifestazioni della tradizione di guarigione del Ng’oma (il tamburo dell'afflizione), molto diffusa in tutta l'Africa bantu, nata alla metà del XIX secolo come mezzo per superare il trauma dell'oppressione coloniale e poi trasformatasi in rituale di guarigione sotto l'occupazione britannica per permettere alle persone di esprimere i loro problemi psicologici in modo accettato e compreso dal resto della comunità. La maggior parte dei pazienti sono donne che soffrono di diverse forme di malattie mentali. I pazienti vengono trattati per diverse settimane, se non per mesi, da rinomati guaritori che li ospitano nel loro temphiri, una casa riservata ai malati. Una volta stabilita la diagnosi, i pazienti sono sottoposti ad un rituale di guarigione. A questo scopo, le donne e i bambini formano un cerchio attorno al malato, che entra lentamente in trance, e intonano canti per invocare l'aiuto degli spiriti. I soli uomini che partecipano al rituale sono i musicisti che suonano dei ritmi di tamburo caratteristici per ogni spirito e, in alcuni casi, il guaritore. I pazienti, così, possono "danzare la loro malattia".
Questa sua breve presentazione è stata possibile solo perché il Vimbuza è protetto dall'UNESCO come patrimonio immateriale dell'umanità dal 2005 (video in inglese e francese).

*
Malattia-musica-musica specifica a seconda dello spirito-guarigione: la tentazione di volgere il pensiero alla tarantella è troppo forte e siccome non vedo alcun vero motivo per cui debba resistervi, proseguo.

Nel caso della tarantella, in principio, probabilmente, c’era il culto di Dioniso ed il principio è tanto antico da mescolarsi al mito, quello delle Sirene e di Ulisse dei poemi omerici così come tramandati oralmente nel Meridione d’Italia o, meglio, nella Magna Grecia.
Secondo una prima versione, diffusa specialmente tra Sorrento e Capri, le Grazie avrebbero inventato la tarantella per prendersi gioco delle Sirene, impossibilitate a danzarla per evidenti questioni anatomiche, dopo che queste, fallito il tentativo di incantare con il loro canto Ulisse e compagni, ben protetti dai tappi di cera nelle orecchie, avevano chiesto l'aiuto delle Grazie. Secondo un’altra versione, le Sirene sarebbero invece riuscite a stregare Ulisse con un ballo molto sensuale, provocando così l’ira degli dei e meritandosi la conseguente punizione divina, che ne ha trasformato le gambe in code di pesce.
C’è anche una versione contigua alla scienza: gli uomini di scienza del passato, infatti, hanno riconosciuto che quando si è pizzicati o morsi dalla tarantola, gli effetti prodotti dal suo veleno cambiano di giorno in giorno, qualche volta di ora in ora, perché grande è la diversità delle passioni da esso suscitate: chi canta, chi piange, chi ride, chi grida, chi dorme, chi non riesce a dormire, chi vomita o trema, chi cade in una inarrestabile frenesia, chi si mette ad amare un colore (il rosso, ad esempio).
L’unica cura, in tutti questi casi, è la musica, che risveglia lo spirito del malato, ma la musica e gli strumenti per suonarla vanno scelti accuratamente, a seconda del tipo di tarantola e a seconda della persona. Lo lascio spiegare meglio al gesuita Athanasius Kircher, che scriveva più o meno così:
Bisogna spiegare il fatto che un certo strumento musicale sia piacevole e conveniente in un certo caso, e diverso in un altro caso, a seconda delle proprietà, della natura e la complessità, o dei ragni o dell’uomo. È dunque necessario, quando una persona è stata punta o morsa dalla tarantola, utilizzare un dato tono o canto a seconda della tarantola. Così, quando qualcuno è ferito dalla tarantola melanconica, diviene indolente, pigro, sonnolento. Se punto da un ragno di specie collerica, questo lo rende lui stesso collerico, versatile, agitato, frenetico, incline ad ammazzare e a strangolare. Analogamente si deve concludere per altri umori, che un tono o una musica conviene particolarmente all’uomo colpito.
In questo modo, i melanconici, o quelli che sono punti dalla tarantola di questa specie, che veicola un veleno particolarmente potente, si agitano piú con le forti sonorità delle trombe e dei timbali e degli altri strumenti squillanti che con la sottilità delle corde.
I collerici, i biliosi ed i sanguigni, per contro, guariscono rapidamente e facilmente al suono dei cistri, violini, liuti, clavicembali e altri soavi strumenti di questo tipo, grazie ai loro spiriti vitali rarefatti che predispongono alla commozione.
Athanasius Kircher, Magnes, sive De arte Magnetica, Roma 1641


Athanasius Kircher, Magnes, sive De arte Magnetica

Una cura salentina si chiama Pizzicarella mia, ritrovata e poi registrata nel 1977 da Brizio Montinaro, le cui parole sono:

Pizzicarella mia, pizzicarella
lu camminatu to’ la li li la
lu camminatu to’ pare che balla.
A du te pizzicau ca no te sceme?
sutta lu giru o la li li la
sutta lu giru giru di la suttana.
Quantu t’amau t’amau lu core mio
mo nun te ama cchiù la li li la
mo nun te ama cchiù se ne scerrau.
Te l’ura ca te vitti te ‘mmirai
‘nu segnu fici a la li li la
‘nu segnu fici a mmienzu a ll’occhi toi.
Ca quiddu foi nu segnu particolare
cu no’ te scerri a la li li la
cu nu te scerri de l’amori toi.
Amore amore ce m’hai fattu fare
de quindici anni a la li li la,
de quindici anni m’hai fatto impazzire.
Pizzicarella mia, pizzicarella
lu camminatu to’ la li li la
lu camminatu to’ pare che balla.

La cultura contadina che ha espresso questa visione del mondo non c’è più, e anche lo spazio per il mito si è fatto ormai strettissimo, ma Pizzicarella mia, assieme ad altre tarantelle, si può trovare in quel vero e proprio omaggio alla memoria che è l'album La Tarantella: Antidotum Tarantulae, della Alpha, che l’Arpeggiata dell’austriaca Christina Pluhar ha registrato nel 2001.

Qui è suonata nel bis in un concerto dell’Arpeggiata a Colonia.

Link a youtube.

E siccome non riesco proprio a fermarmi, ne posto altre, tutte tratte dallo stesso album dell'Arpeggiata.

Una tarantella napoletana di Athanasius Kircher.

Link a youtube.

E una tarantella calabrese:

E beatu sia lu Santu Sacramentu!
Evviva di lu Carminu Maria.
Santu tu Pascalu bellu Baylonne tu si' lu prutetturi de li donne
E mannammillu bonu nu marito che sia jiancu, russu o culuritu
Na-na-na-neddra, quattu sordi di caciucaveddra
E nu caveciu a la gunnedra u vantesinu pi 'll'aria va'
E la figlia di Bellavia, chi natichi tunni, chi minni ci avia,
Puru la mamma ci lu dicia: "Chi natichi tunni mia figlia Lucia!"
O nicchiu nicchiu nichhiu chi vai ndurniannu,
gaddrini nun ce stanno ntra sti cuntorni;
E ce ne sta una sula e va cantannu lu patre ha dittu ca l'è picculina.
Abballati, abballati fimmini schetti e maritati,
E si nun abballati bonu nun vi cantu e nun vi sonu
Si nun abballati pulitu e ci lu dico a lu vostru zito.
O Sciroccu, o Punenti, o Tramuntana dammi la forza ca trovo la via
Cu soni e canti 'mParaviso acchiana la grazia di lu Carminu Maria.


Link a youtube.

A scanso di eventuali dubbi: "chi natichi tunni, chi minni ci avia" vuole proprio dire "che natiche tonde, che seno c'aveva". E se è vero che la Magna Grecia sta sullo sfondo, oppressa dall'apertura e dalla chiusura dedicata alla Madonna del Carmine di questa tarantella calabrese, è anche vero che non è a lei che ci si rivolge per poter trovare la forza, ma ai venti.

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