giovedì 22 aprile 2010

Di quando si comincia a vedere una parola dappertutto

È noto il fenomeno per cui solo quando si apprende veramente una parola la si vede poi dappertutto.
L'ultima volta mi è capitato con i confetti.
È iniziata così. Qualche tempo fa avevo letto:

J'avais fait à Venise ma première année de grammaire inférieure : j'aurais pu entrer dans la supèrieure ; mais tout engagea mon père à me faire recommencer mes études, et il fit très bien. Il savait que j'aimais les spectacles. Il les aimait aussi : il rassembla une société de jeunes gens ; on lui prêta une salle dans l'hôtel d'Antinori ; il fit bâtir un petit théâtre ; il dressa lui-même les acteurs, et nous y jouâmes la comédie.
Dans les états du pape (excepté les trois légations), les femmes ne sont pas tolerées sur la scène. J'étois jeune, je n'étais pas laid ; on me destina un rôle de femme, on me donna même le premier rôle, et on me chargea du prologue. Ce prologue était une pièce si singulière, qu'il me resté toujours dans la tête, et il faut que j'en régale mon lecteur. Dans le siècle dernier, la littèrature italienne était si gâtée, que prose et poésie, tout était ampoulé ; les métaphores, les hyperboles et les antithèses tenaiènt la place du sens commun. Ce goût dépravé n'était pas encore tout-à-fait extirpé en 1720 : mon père y ètait accoutumé.
Voici le commencement du beau morceau qu'on me fit débiter.
Benignissimo cielo! (je parlais à mes auditeurs), ai rai del vostro splendidissimo sole, eccoci qual farfalle, che spiegando le deboli ali de nostri concetti, portiamo a sì bel lume il volo, etc. Cela voudrait dire bêtement en français : " Ciel très benin, aux rayons de votre soleil très éclatant, nous voilà comme des papillons qui, sur les faibles ailes de nos expressions, prenons notre vol vers votre lumière, etc. "
Ce charmant prologue me valut un boisseau de dragées, dont le théâtre fut inondé et moi presque aveuglé. C'est l'applaudissement ordinaire dans les états du pape.

Carlo Goldoni, Mémoires pour servir à l'histoire de ma vie et à celle de mon théâtre, Paris, 1787

Avevo fatto a Venezia il mio primo anno di grammatica inferiore: avrei potuto entrare nella superiore; ma tutto esortò mio padre a farmi ricominciare gli studi, e fece molto bene.
Sapeva che amavo gli spettacoli. Li amava anche lui: mise insieme una compagnia di giovani; gli fu data in prestito una sala nel palazzo Antinori; fece erigere un piccolo teatro; preparò lui stesso gli attori; vi recitammo la commedia. Negli stati del papa (eccettuate le tre legazioni) sulla scena le donne non sono permesse. Ero giovane, non ero brutto; mi si assegnò un ruolo da donna, mi fu dato persino il ruolo principale, e fui incaricato del prologo. Questo prologo era un pezzo così singolare, che mi è rimasto sempre impresso nella memoria e bisogna che ne faccia dono al lettore. Nello scorso secolo la letteratura italiana era così corrotta, che poesia e prosa erano tutte un'ampollosità. Le metafore, le iperboli e le antitesi si sostituivano al senso comune. Questo gusto depravato non era ancora totalmente estirpato nel 1720: mio padre vi si era abituato.
Ecco qui l'inizio del bel pezzo che mi si fece recitare.
"Benignissimo cielo (dicevo ai miei uditori) ai rai del vostro splendidissimo sole, eccoci quali farfalle che, spiegando le deboli ali dei nostri concetti, portiamo a sì bel lume il volo ecc."
Questo grazioso prologo mi valse un quintale di confetti, dai quali fu inondato il teatro e io quasi accecato. Questo è l'applauso comune negli stati del papa.

Poi, ieri mattina, mi è capitato di leggere questo ed è stato solo in quel preciso istante che mi è venuto improvvisamente in mente che i Konfetti tedeschi non sono confetti e che Goldoni, che scrisse le sue memorie in francese, la lingua degli ultimi trent'anni della sua lunga vita, chiamò i confetti dragées e non confetti, parola che pur in francese, come in tedesco, esiste. Nel 1720, a Perugia, in uno stato del papa, rischiò di restare accecato da salve di confetti lanciati dal pubblico osannante e ne rimase sorpreso perché, evidentemente, a Venezia allora non si usava.

Cerca qua, cerca là, ho trovato che è dal lancio dei confetti, un'usanza dell'Italia centrale - fin dai tempi del Rinascimento, pare -, praticata, oltre che a teatro, anche in occasione dei matrimoni e a Carnevale, che deriva il lancio dei coriandoli (che pioveranno poi abbondanti anche Venezia).

La metamorfosi dei confetti in coriandoli trova la sua spiegazione nella composizione dei confetti di un tempo, che, oltre che di mandorle o nocciole ricoperte di zucchero, potevano anche essere fatti di coriandolo.

CONFETTO.
sust. mandorla, pinocchio, pistacchio, nocciuóla, curiandolo, aromato, o simile, coperto di zucchero. Lat. bellaria.
Vocabolario della Crusca1612

Il coriandolo così ricoperto aveva delle proprietà benefiche, di cui è bene prendere nota:
Cuopronsi i coriandoli di zucchero per confetti, rompono le ventosità del ventre mangiati dopo pasto, e rendono buon odore e fanno buon fiato masticati in bocca; e verdi le sue foglie nelle mescolanze d'insalata non fanno male.
Giovanvettorio Soderini, Il trattato della cultura degli orti e giardini a cura di Alberto Bacchi della Lega, 1903

All'estero, quindi, a differenza che in Italia, dove abbiamo mantenuto in vita solo il coriandolo, ovvero solo l'anima del confetto, sono rimasti linguisticamente fedeli all'usanza degli "stati del papa" e continuano a chiamare confetti i nostri coriandoli di carta (confetti in inglese, francese, olandese, confeti in spagnolo, confete in portoghese, konfetti in polacco, svedese, norvegese, finlandese e tedesco, конфетти in russo), una trovata, quella dei coriandoli moderni, "di certo Mangilli di Crescenzago (Milano), traendo profitto dei dischetti che risultavano dalle carte forate pei bachi. Sostituirono il gesso e la terra dei tramontati carnevali ambrosiani, e i confetti usati anteriormente", secondo Alfredo Panzini nel suo Dizionario moderno del 1905.
E, a dire il vero, in Germania sono rimasti fedeli anche al lancio dei confetti: lì, durante il Carnevale, dai carri vengono lanciate caramelle.

Chissà su quale confetto (o coriandolo) si poserà il mio sguardo prossimamente.

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