domenica 30 dicembre 2012

Ich weiß nicht/Non so

Seit August gearbeitet, im allgemeinen nicht wenig und nicht schlecht, aber weder in ersterer noch in letzterer Hinsicht bis an die Grenzen meiner Fähigkeit, wie es hätte sein müssen, besonders, da meine Fähigkeit aller Voraussicht nach (Schlaflosigkeit, Kopfschmerzen, Herzschwäche) nicht mehr lange andauern wird. Geschrieben an Unfertigem: ›Der Prozeß‹, ›Erinnerungen an die Kaldabahn‹, ›Der Dorfschullehrer‹, ›Der Unterstaatsanwalt‹ und kleinere Anfänge. An Fertigem nur: ›In der Strafkolonie‹ und ein Kapitel des ›Verschollenen‹, beides während des vierzehntägigen Urlaubs. Ich weiß nicht, warum ich diese Übersicht mache, es entspricht mir gar nicht!
31. Dezember 1914 
 
 
Da agosto lavorato, in complesso non poco e non male, ma in nessun caso fino ai limiti della mia capacità, come sarebbe dovuto essere, specialmente considerato che la mia capacità, secondo tutte le previsioni (insonnia, mal di testa, insufficienza cardiaca), non durerà più a lungo. Scritto opere senza finirle: Il processo, Ricordando la ferrovia di Kalda, Il maestro del villaggio, Il sostituto procuratore ed altri inizi più brevi. Completato solo Nella colonia penale ed un capitolo del Disperso, entrambi durante le due settimane di ferie. Non so perché stia a fare questa carrellata: non mi corrisponde per niente!

sabato 29 dicembre 2012

In principio era il verbo

la luna appena corneggiava ancora
Luigi Pulci, Morgante, IV, 2, 5

Sul tardi corneggia la luna.
Eugenio Montale, Egloga, Ossi di seppia

Nonostante la luna corneggi spesso e con periodicità, che io sappia, solo Pulci e Montale se ne sono accorti. Come è noto, "luna" è un termine tardo, risalente all'epoca in cui, sfortunatamente, nella penisola tlöniana si abbandonò l'uso esclusivo di verbi e di aggettivi caratteristico della lingua primordiale e ci si rassegnò, per stanchezza o esaurimento della fantasia, all'introduzione dell'uso dei sostantivi. Non servirà ricordare che, originariamente, i versi di Pulci e di Montale sarebbero suonati, più o meno, così:
lunava da poco, corneggiando appena; e
sul tardi lunava corneggiando.
Lunare, corneggiare, solare, melare, tavolare (o attavolare), divanarsi, incaffettarsi... "In principio era il verbo", contrariamente alla convinzione generale, non c'entra col logos, ma, come dice la parola stessa, proprio col verbo. È una forzatura? Un'esagerazione? Una vera e propria farneticazione da eccesso di zuccheri nel sangue? Forse. Forse, però, è solo una piccola forma di resistenza, invisibile e sicuramente destinata a soccombere, eppure la più radicale che io, come chiunque altro, abbia a disposizione. Resistenza alla lingua e alla letteratura dominanti, per cominciare, come quelle, nel Novecento italiano, di Alberto Moravia. Sono insipidi, i verbi di Moravia, anonimi, privi di personalità o di inventiva, accuratamente lontani dalla forza caratteriale dei dialetti e dall'esuberanza di apporti stranieri; sono verbi - paradossalmente - quasi privi di azione, movimento e fluidità. Pubblicatissimo, lettissimo, veneratissimo, almeno fino ad un paio di decenni fa, non credo sia poi così male, in fondo, che non lo si legga più nella misura in cui lo si faceva in passato. Potrebbe essere, questo, un segnale di speranza, se non fosse offuscato da altri segnali, di segno opposto. Dacia Maraini, per non allontanarsi troppo dall'entourage di Moravia, temo si legga tuttora più dello strettamente necessario (e, inspiegabilmente, più di suo padre). Lo deduco dalla generosità con cui la ospita il Corriere. La Maraini, come i verbi di Moravia, tende a non muoversi, a non spostarsi mai, nemmeno quando viaggia, dal suo stabile centro di osservazione, che è, beninteso, il centro del mondo, in modo non molto dissimile dall'atteggiamento di un qualsiasi nazionalista o localista, saldo sulle gambe ben piantate in mezzo al suo orticello - che sia di una nazione o di una regione o località non cambia poi troppo. Ed è così che la sera, in un teatro parigino, Dacia Maraini riesce a trovare un posto di strapuntino — che qui si chiama strapuntin (sic), pronunciato «strapunten» e sembra una parola storpiata da Totò nel suo italo-francese da avanspettacolo —. Il movimento, il moto, incluso quello naturale e libero delle parole che scavalcano le frontiere politiche e linguistiche, non è di suo gradimento, le è estraneo, persino quando le parole provengono dal suo Paese (e solo tornando al luogo natale dopo essere emigrate altrove assumono il loro attuale significato: "strapuntino" diventa seggiolino, sedile aggiunto, proprio grazie al passaggio in area francese, perché l'originale termine italiano, appartenente all'ambito marittimo, significava materasso).
Esagerazione o farneticazione o piccola battaglia di retroguardia che sia, non mi pare di essere sola: mi sostengono i poeti, soprattutto, come Pulci e Montale e molti altri, ma anche degli autori di prosa. Oggi, in particolare, questi due:

No hay sustantivos en la conjetural Ursprache de Tlön, de la que proceden los idiomas "actuales" y los dialectos: hay verbos impersonales, calificados por sufijos (o prefijos) monosilábicos de valor adverbial. Por ejemplo: no hay palabra que corresponda a la palabra luna, pero hay un verbo que sería en español lunecer o lunar. Surgió la luna sobre el río se dice hlör u fang axaxaxas mlö o sea en su orden: hacia arriba (upward) detrás duradero-fluir luneció. (Xul Solar traduce con brevedad: upa tras perfluyue lunó. Upward, behind the onstreaming it mooned.)
Jorge Luis Borges,  Tlön, Uqbar, Orbis Tertius, 1940

avverto una letizia da scolaretto cui si concede una inedita vacanza, l'esenzione da qualsiasi doveroso aggiornamento. E allora ho tolto dalla libreria... ho cavato dalla fila dei libri il Morgante maggiore di Luigi Pulci. In un momento in cui più fitti affluiscono i libri che agiteranno le socievoli acque della attualità letteraria, in cui siamo avvolti nella tenera o rissosa psicologia della narrazione, penso sia opportuno leggere un testo, come il Morgante maggiore, che pare affatto esente da psicologismi, che non è attuale, non verrà proposto per alcun premio, e non verrà riscoperto da un critico di fine sentire. Ho sempre amato questo poema quattrocentesco, che è uno dei libri più sfrenatamente divertenti della nostra letteratura; un libraccio ridanciano, drammatico, gaglioffo, rissoso, plebeo e aristocratico, un divertimento ed un lavoro di calcolata dottrina. Ci sono libri che danno una litigiosa sensazione di libertà, per il loro destino un poco periferico, che li fa restare ai margini delle storie ufficiali, scolastiche: sono libri un po' bastardi, di dubbia legalità domestica, e senza ascendenti riconosciuti. Sono dei tàngheri, dei mettimale, dei poco di buono; sono ambigui e insieme di buon umore in un modo provocatorio. Hanno del canagliesco. Non occorre rompere lampioni; si possono fare più canagliate con una ben manipolata sintassi e un lessico furbesco che con le motociclette delittuose del cinema. Aprire un certo libro - in questo caso il Morgante - è assolutamente ingiustificato; appunto questo è un gesto libero... ho scelto il Pulci, credo, perché non c'era nessuna ragione per farlo, dunque era l'esempio perfetto.
Giorgio Manganelli, Un'allucinazione fiamminga: il Morgante maggiore raccontato da Manganelli, Socrates, 2006

giovedì 27 dicembre 2012

Il preciso attimo dell'apocalisse

San Nicolò de Bari 
la festa dei scolari 
se i scolari no fa festa 
ghe taieremo la testa 

Nella mia storia personale, San Nicolò è più importante di Babbo Natale, se non altro perché San Nicolò arriva prima, il 6 dicembre. E poi consegna i doni quando a casa non c'è ancora nessun abete o decorazione e la neve è un evento quasi impossibile, dimostrando disinteresse ed amore per le mezze stagioni e la vita quotidiana, oltre che una certa autonomia dal bébé più festeggiato del mondo.

San Nicolò, quando passava da me, cambiava la zona di consegna ogni anno: di preferenza sul davanzale, ma anche in qualsiasi altro luogo della casa, purché fosse poco accessibile alla vista e alle mani di un bambino, ad esempio sopra l'armadio. Era - e naturalmente è - furbo.

San Nicolò, poi, esaudiva al meglio delle sue possibilità ogni mio desiderio. Una volta confuse il kit del piccolo chimico, da me richiesto, con quello del profumiere, o forse si sbagliò semplicemente di indirizzo, ma non mosse una delle mille rughe del suo volto quando gli chiesi un fucile. Adorabile.

Solo che poi all'asilo mi successe di incontrare San Nicolò di persona ed ebbi così modo di osservarlo da vicino per un po'. Nella simulazione della barba e delle sopracciglia c'erano ampi margini di miglioramento. 

P.S. San Nicolò è anche piuttosto fortunato: non si ebbero mai notizie di bambine con la zona dietro le orecchie o i polsi straziati dalla nitroglicerina.

lunedì 24 dicembre 2012

if there’s anything in man

Ad Ajesh Binki e Valentine Jelestine, pescatori

Schroeder the Fisherman

I sat on the bank above Bernadotte
And dropped crumbs in the water,
Just to see the minnows bump each other,
Until the strongest got the prize.
Or I went to my little pasture,
Where the peaceful swine were asleep in the wallow,
Or nosing each other lovingly,
And emptied a basket of yellow corn,
And watched them push and squeal and bite,
And trample each other to get the corn.
And I saw how Christian Dallman’s farm,
Of more than three thousand acres,
Swallowed the patch of Felix Schmidt,
As a bass will swallow a minnow.
And I say if there’s anything in man -
Spirit, or conscience, or breath of God
That makes him different from fishes or hogs,
I’d like to see it work!

Edgar Lee Masters, Spoon River Anthology, 1916


Schroeder, il pescatore

Sedevo sulla riva del Bernadotte
e gettavo molliche nell'acqua,
per vedere i pesciolini combattere
finché il più forte otteneva la preda.
Oppure andavo al mio piccolo pascolo,
dove i maiali tranquilli se ne dormivano nella broda,
o ammusando amorosamente fra loro,
e vuotavo un canestro di meliga gialla
e li osservavo spingersi e strillare e mordersi
e pestarsi l'un l'altro per arrivarci.
E così vidi la tenuta di Christian Dallmann
di più di tremila acri
inghiottire il pezzetto di Felix Schmidt,
come un luccio inghiotte un pesciolino.
Dico, se c'è qualcosa nell'uomo -
spirito, o coscienza, o soffio di Dio -
che lo renda diverso dai pesci e dai porci,
mi piacerebbe vederlo!

Spoon River anthology: testo integrale con traduzione a fronte, Einaudi 1948, traduzione di Fernanda Pivano

(Reuters) - Two Italian marines on anti-pirate duty charged in India with killing two fishermen in February arrived home on Saturday for a family Christmas after India gave them special leave. "Finally we are breathing the air of home. We have to thank all the institutions which made all this possible," said Massimiliano Latorre on arrival at Rome's Ciampino airport with his colleague, Salvatore Girone. "Ten long months have passed and we really didn't expect to be coming back for Christmas." The two sailors, part of a military security team protecting the tanker Enrica Lexie, are accused of shooting the two fishermen they say they mistook for pirates off the southern Indian state of Kerala. The incident has caused a serious diplomatic dispute between Italy and India, which have traditionally had good relations. The two non-commissioned officers had been out of detention on bail but had not been permitted to leave India until the Kerala high court accepted a request to allow them to return home for Christmas. The Italian government has undertaken to ensure they return to India by January 10. The men were welcomed at the airport by Foreign Minister Giuliano Terzi and Defence Minister Giampaolo Di Paola. Prime Minister Mario Monti also called the two shortly after their arrival to reiterate the government's determination to reach a final settlement of the case.
(Reporting by Roberto Landucci, edited by Richard Meares)
Reuters India, 22.12.2012

Ricevuti al Quirinale i marò Latorre e Girone rientrati dall'India
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha ricevuto al Quirinale i due sottufficiali della Marina militare, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, appena rientrati dall'India, accompagnati dal Ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola, dal Ministro degli Affari Esteri, Giulio Terzi di Sant'Agata, e dal Sottosegretario agli Esteri Staffan de Mistura.

Gedenke meiner, flüstert der Staub

E sapete cosa dice la polvere quando viene spazzata via dal tavolo? «”Ricordati di me” sussurra la polvere». Nulla potrebbe essere più estraneo all’agenda mentale di ciascuno di voi, giovani e ultramoderni, del sentimento espresso in questo distico del defunto poeta tedesco Peter Huchel. L’ho citato non perché vorrei instillare in voi l’affinità per le cose piccole – semi e piante, granelli di sabbia o zanzare –, piccole sì, ma numerose. Ho citato quei versi perché mi piacciono, perché in essi riconosco me stesso e, a ben vedere, qualunque organismo vivente destinato a essere spazzato via dalla superficie che gli è stata concessa. «”Ricordati di me” sussurra la polvere».

[Iosif Brodskij, Elogio della noia, in Profilo di Clio, traduzione di Arturo Cattaneo, Milano, Adelphi 2003 (2), p. 103]
Citato da Paolo Nori

*


Die Engel

Ein Rauch,
ein Schatten steht auf,
geht durch das Zimmer,
wo eine Greisin,
den Gänseflügel
in schwacher Hand,
den Sims des Ofens fegt.
Ein Feuer brennt.
Gedenke meiner,
flüstert der Staub.

Novembernebel,
Regen, Regen
und Katzenschlaf.
Der Himmel schwarz
und schlammig über dem Fluß.
Aus klaffender Leere fließt die Zeit,
fließt über die Flossen
und Kiemen der Fische
und über die eisigen Augen
der Engel,
die niederfahren hinter der dünnen Dämmerung,
mit rußigen Schwingen zu den Töchtern Kains.

Ein Rauch,
ein Schatten steht auf,
geht durch das Zimmer.
Ein Feuer brennt.
Gedenke meiner,
flüstert der Staub.

Peter Huchel

Die Gedichte. Suhrkamp, 1997


Gli angeli

Un filo di fumo,
un'ombra si leva,
attraversa la stanza,
dove una vecchia,
l'ala di un'oca
nella debole mano,
spazza la mensola del forno.
Un fuoco brucia.
Ricordati di me,
sussurra la polvere.

Nebbia di novembre,
pioggia, pioggia
e sonno di gatti.
Il cielo nero
e fangoso sopra il fiume.
Dalla spalancatura dell'abisso scorre il tempo,
scorre sulle pinne
e branchie dei pesci
e sopra gli occhi ghiacciati
degli angeli
che con ali fuligginose, dietro il sottile crepuscolo
discendono sulle figlie di Caino.

Un filo di fumo,
un'ombra si leva,
attraversa la stanza.
Un fuoco brucia.
Ricordati di me,
sussurra la polvere.


The Angels

A wisp of smoke
a shadow rises,
crosses the room,
where an old woman,
a goose's wing in her feeble hand,
sweeps the oven ledge.
A fire is burning.
Remember me,
whispers the dust.

November mist
rain, rain
and the sleep of cats.
The sky black
and miry above the river.
From gaping emptiness time flows,
flows over the fins
and gills of fish
and over the icy eyes
of the angels,
who descend behind the thin dusk
with sooty wings, to the daughters of Cain.

A wisp of smoke
a shadow rises,
crosses the room.
A fire is burning.
Remember me,
whispers the dust.

Translated by Michael Hamburger

giovedì 20 dicembre 2012

Ladri di mondo

Nadzieja

Nadzieja bywa, jeżeli ktoś wierzy,
Że ziemia nie jest snem, lecz żywym ciałem,
I że wzrok, dotyk ani słuch nie kłamie.
A wszystkie rzeczy, które tutaj znałem,
Są niby ogród, kiedy stoisz w bramie.

Wejść tam nie można. Ale jest na pewno.
Gdybyśmy lepiej i mądrzej patrzyli,
Jeszcze kwiat nowy i gwiazdę niejedną
W ogrodzie świata byśmy zobaczyli.

Niektórzy mówią, że nas oko łudzi
I że nic nie ma, tylko się wydaje,
Ale ci właśnie nie mają nadziei.
Myślą, że kiedy człowiek się odwróci,
Cały świat za nim zaraz być przestaje,
Jakby porwały go ręce złodziei.

Czesław Miłosz
Świat (Poema naiwne), 1943


Speranza

C'è speranza se si crede
che la terra non è un sogno, ma un corpo vivo,
e che vista, tatto e udito non mentono.
E tutte le cose qui conosciute
sono come un giardino visto dal cancello.

Non ci si può entrare, eppure esiste, per forza.
Se guardassimo meglio e in modo più saggio
vedremmo ancora un nuovo fiore e stelle ignote
nel giardino del mondo.

Alcuni dicono che la vista è ingannevole
e che non c'è nulla, solo apparenza.
Sono questi, quelli senza speranza.
Pensano che appena l’uomo si volta
il mondo intero alle sue spalle non esista più,
come se fosse trafugato dalle mani di un ladro.

Hope

Ecco un fatto relativamente raro: una poesia che non è a prova di bambino. Forse perché non serve essere saggi, per avere speranza nei primi anni di vita, mentre serve esserlo molto da adulti, e moltissimo nel 1943. Il bambino, quando vuole nascondersi, dispone di un mezzo semplice e rapido per farlo, anche prima di saper camminare: si copre gli occhi. Non vedendo più nulla, è convinto di non essere visto dagli altri, ma non prova paura o disperazione, avverte solo un senso di sospensione e delle aspettative, prima del rinnovato piacere, non appena riapre gli occhi, di rivedere il mondo e di ridiventare visibile (oltre alla gioia per la riuscita magia). È come se non percepisse alcuna distinzione tra se stesso ed il mondo. Ci dev'essere un momento, verso i due-tre anni, in cui nella vita di ognuno compare il ladro che vuole portarsi via tutta la parte del mondo preclusa alla vista e traccia un netto confine del mondo al di fuori di sé. Per poter realizzare che non si può diventare invisibili e che il mondo nascosto rimane presente, e quindi per mantenere intatte le aspettative dell'infanzia e la speranza, bisogna tradirla, l'infanzia.

domenica 9 dicembre 2012

die Welt ist nicht geheizt

Die Anstalt ist für mich ein Federbett, so schwer wie warm. Wenn ich hinauskriechen würde, käme ich sofort in die Gefahr mich zu verkühlen, die Welt ist nicht geheizt.

Aus einem Brief an Ottla, 9. März 1921 


L'Istituto [di assicurazione] per me è un piumino, tanto pesante quanto caldo. Se ne uscissi, correrei subito il rischio di raffreddarmi. Il mondo non è riscaldato.

Da una lettera a Ottla, 9 marzo 1921

Il fine orecchio di Giove - 2

Dopo un anno, la dea della democrazia, Sola, ritorna da Giove, la cui sordità non dà segni di miglioramento, anzi.

- Gioove! Gioove! Gioove!
- ...
- Gioove!
- ...
- AGGIOVE!
- Anvedi, ancora te. Che d'è?
- Giove, non è che potresti rivolgere il tuo sguardo sul popolo di Roma, dopo un anno, magari con più benevolenza, questa volta?
- E daje. Nun me va de faticà, gnaafò.
- Ti prego ti prego ti prego, c'è un'altra emergenza.
- Ecchè, noo so? 'A morza der ggelo. Nu m'impiccio cor meteo. Bussa da Eolo.
- Macchè Eolo, si tratta ancora di questioni di governo.
- Ma davero? E che vvo' mo', er popolo de Roma?
- Non lo senti?  L'elisio, Giove, l'elisio per eoni.
- E che cce vo'. Ecchetelo tiè.

tre mondi




sabato 8 dicembre 2012

Мыр

Я говорил себе, что я вижу мир. Но весь мир недоступен моему взгляду, и я видел только части мира. И все, что я видел, я называл частями мира. И я наблюдал свойства этих частей, и, наблюдая свойства частей, я делал науку. Я понимал, что есть умные свойства частей и есть не умные свойства в тех же частях. Я делил их и давал им имена. И в зависимости от их свойств, части мира были умные и не умные.
И были такие части мира, которые могли думать. И эти части смотрели на другие части и на меня. И все части были похожи друг на друга, и я был похож на них.
Я говорил: части гром.
Части говорили: пук времени.
Я говорил: Я тоже часть трех поворотов.
Части отвечали: Мы же маленькие точки. И вдруг я перестал видеть их, а потом и другие части. И я испугался, что рухнет мир.
Но тут я понял, что я не вижу частей по отдельности, а вижу все зараз. Сначала я думал, что это НИЧТО. Но потом понял, что это мир, а то, что я видел раньше, был не мир.
И я всегда знал, что такое мир, но, что я видел раньше, я не знаю и сейчас. И когда части пропали, то их умные свойства перестали быть умными, и их неумные свойства перестали быть неумными. И весь мир перестал быть умным и неумным.
Но только я понял, что я вижу мир, как я перестал его видеть. Я испугался, думая, что мир рухнул. Но пока я так думал, я понял, что если бы рухнул мир, то я бы так уже не думал. И я смотрел, ища мир, но не находил его.
А потом и смотреть стало некуда.
Тогда я понял, что, покуда было куда смотреть, вокруг меня был мир. А теперь его нет. Есть только я. 
А потом я понял, что я и есть мир.
Но мир - это не я.
Хотя в то же время я мир.
А мир не я.
А я мир.
А мир не я.
А я мир.
А мир не я.
А я мир.
И больше я ничего не думал.

Даниил Хармс
1930


Il mendo*

Mi dicevo che vedevo il mondo. Ma il mondo intero era inaccessibile al mio sguardo e vedevo solo parti del mondo. E tutto quello che vedevo, lo chiamavo parti del mondo. E osservavo le proprietà di queste parti e, osservando queste proprietà, facevo della scienza. Capivo che c'erano delle proprietà intelligibili delle parti e che c'erano, in quelle stesse parti, delle proprietà non intelligibili. Le suddividevo e davo loro dei nomi. E, in base alle loro proprietà, le parti del mondo erano intelligibili e non intelligibili.
E c'erano delle parti del mondo che potevano pensare. E queste parti guardavano le altre parti e guardavano me. E tutte le parti si assomigliavano l'una all'altra e io assomigliavo a loro.
Dicevo: parti tuono.
Le parti dicevano: mucchio di tempo.
Dicevo: sono anch'io parte di tre svolte.
Le parti rispondevano: e noi siamo piccoli punti. E di colpo smisi di vederle, e poi pure le altre parti. E temetti che il mondo sarebbe crollato.
Ma capii allora che non vedevo le parti singolarmente, ad una ad una, ma tutte in una volta. Dapprima pensai che questo fosse il NULLA. Ma poi capii che questo era il mondo e che quello che avevo visto prima non lo era.
Ho sempre saputo cosa fosse il mondo, ma quello che avevo visto prima ancora non lo so, cosa fosse.
E quando le parti sparirono, le loro proprietà intelligibili smisero di essere intelligibili, e le loro proprietà non intelligibili smisero di essere non intelligibili. E il mondo intero smise di essere intelligibile e non intelligibile.
Ma capii che vedevo il mondo solo quando smisi di vederlo. Mi prese una paura, pensando che il mondo fosse crollato. Ma mentre stavo pensando così, capii che se il mondo era crollato, non sarei stato in grado di pensare così. E guardai, cercando il mondo, ma senza trovarlo.
Poi non ci fu più nessun posto da guardare.
Capii allora che finché c'era un posto dove guardare, il mondo mi circondava. Ora non c'è più. Ci sono solo io.
Poi capii che ero io il mondo.
Ma il mondo - non sono io.
Per quanto, al contempo, io sono il mondo.
Ma il mondo non è me.
Ma io sono il mondo.
Ma il mondo non è me.
Ma io sono il mondo.
Ma il mondo non è me.
Ma io sono il mondo.
E non pensai più ad altro.

Daniil Charms
1930

* In russo мир è mondo e мы è noi. Charms, nel titolo, li ha fusi. Io ho fatto quello che ho potuto, ripiegando sul pronome singolare.

Mont

In chist mont
ch'al va indenànt
jo me sói fermât
zà in chê volta
ultin
e ce fadìa piêrde

Federico Tavan, Cràceles cròceles, I quaderni del Menocchio, 1997


Mondo

In questo mondo
che va avanti
io mi sono fermato
già quella volta
ultimo
e che fatica perdere

venerdì 7 dicembre 2012

E' mònd

Sgònd mè u s putrébb, ès 'na gran masa, a gémm
ch’ u i è stè di sbai, la préima vólta, u s sa,
ch’u n n’à còulpa niséun, la è ’ndèda acsè,
e ’rcminzé tótt da capo.

Raffaello Baldini


Il mondo

Secondo me si potrebbe, essere tanti, ma tanti, diciamo
che ci sono stati degli sbagli, la prima volta, si sa,
che non ne ha colpa nessuno, è andata così,
e ricominciare tutto da capo.

Testo e versione italiana tratti da Ad nòta, cit.

Die Welt

Man könnt’, von mir aus, angenommen, es wären viele,
weil, man hat Fehler gemacht, das erste Mal, weiß man doch,
weil, es ist keiner schuld, war halt so
alles noch mal von vorn anfangen.

Übersetzt von Elsbeth Gut Bozzetti

Traum des Emigranten

Der Emigrant
schreibt Gedichte und macht
Weltverbesserungspläne

das Vaterland winkt schon.

Helga M. Novak


Sogno dell'emigrante

Quando l'emigrante
scrive poesie e prepara
piani per migliorare il mondo

intravvede già il proprio Paese.

(È, questa, una delle prove più difficili cui mi sono sottoposta, e non solo per la presenza di Vaterland.)

Al fòi

T la avré vésta méll vólti, no la cuba,
cla piènta grasa, vsina la finestra,
senza spéini, l’è un casp ad fòi, schéuri,
mósi, cm’al s’invidéss,
agli avrà bén un nóm, mo va a savài,
sa dal stréssi ad travérs, un pó piò cièri,
però no tènti lèrghi, èlti ènch’ do spani,
ta n li é in amént? Agli è stè sémpra alè,
at che vès, un gòzz d’aqua d’ogni tènt
mo e' sarà dis dògg an,
ch'a n'i bèd gnénca piò, mè, a m nu n so incórt
stamatéina, par chès, ò ciamè l'Elda,
ch’a sémm arvènz, tutt déu, agli à fiuréi.

Raffaello Baldini


Le foglie
L’avrai vista mille volte, no l’aucuba,
quella pianta grassa vicino alla finestra,
senza spine, è un cespo di foglie, scure,
mosse, come se si avvitassero,
avranno bene un nome, ma va' a sapere,
con delle strisce di traverso, un po' più chiare, 
però non tanto larghe, alte anche due spanne,
non te le ricordi? Sono sempre state lì,
in quel vaso, un goccio d’acqua ogni tanto,
ma saranno dieci dodici anni,
che non ci bado nemmeno più, io, me ne sono accorto
stamattina, per caso, ho chiamato l’Elda,
che siamo rimasti, tutt'e due, sono fiorite.

Testo e versione italiana tratti da Raffaello Baldini, Ad nòta, cura e postfazione di Giuseppe Bellosi, Sugaman 2011 (diventato un ebook nel mese di dicembre 2012)

martedì 4 dicembre 2012

101 ragioni per imparare l'ungherese - 24

You should know that Hungarian names are like Chinese and Japanese, which means that we say our family names first. When speaking English, we usually switch them to help foreigners, but since here you're speaking Hungarian anything goes. If you have any doubts, try to repeat their names with a vexed look on your face, and the other person will help you straighten the question out.

Learn Hungarian - Level 1: Introduction to Hungarian Volume 1, Innovative Language Learning, 2011


È bene che tu sappia che i nomi ungheresi sono come quelli cinesi e giapponesi, il che significa che in ungherese diciamo prima il cognome. Quando parliamo inglese, di solito li invertiamo per aiutare gli stranieri, ma siccome qui stai parlando ungherese, va bene qualsiasi cosa. In caso di dubbio, cerca di ripetere i nomi con un'aria contrariata, e l'interlocutore ti aiuterà a sistemare la questione.