giovedì 28 agosto 2014

Dizionario di tutte 'e cose: T come Totalitario

Nel 1923, prima che il governo fosse di matrice completamente fascista (vi facevano parte quattro ministri fascisti su un totale di quattordici), prima che Mussolini, il 22 giugno del 1925, parlasse di volontà totalitaria del fascismo e ben prima che il sistema maggioritario divenisse normalità incontestata ed incontestabile, un politico italiano che, a differenza di Almirante, non mi risulta che nessuno desideri oggi commemorare, usò, su un giornale che non esiste più, forse per la prima volta al mondo, l'aggettivo totalitario.

Mentre l'on. Mussolini ripete la manifestazione del suo proposito di voler ricondurre il fascismo nei limiti della legalità e della disciplina, si ripete altresì con frequenza — che non accenna a diminuire — il fenomeno delle elezioni amministrative con relativa conquista di maggioranza e minoranza da parte di fascisti o sedicenti fascisti. "Maggioranza e minoranza": ecco la formola che esprime a maraviglia l'intima aspirazione di quegli individui che sono accorsi, frettolosi e dimentichi di ogni precedente atteggiamento, verso il partito che rappresentava, agli occhi loro, la promessa del dominio assoluto e dello spadroneggiamento completo ed incontrollato, nel campo della vita politica ed amministrativa... È bene che l'attenzione degli italiani si fissi con un po' di calma su questo fenomeno: mentre il governo fascista sta considerando il sistema "maggioritario" che deve, sul terreno elettorale, prendere il posto della proporzionale. Sistema "maggioritario"? Qualcuno che ha cercato di indovinare i connotati badando alle interviste del comm. Bianchi, ha proposto di chiamarlo invece sistema "minoritario": noi che, con tutto il riguardo dovuto al segretario generale del Ministero dell'Interno, incliniamo ad attribuire importanza anche maggiore alla realtà elettorale di tutte le domeniche, dubitiamo assai che non si debba finire per chiamarlo, con più verità, "sistema totalitario"!

Giovanni Amendola, Il Mondo, 12 maggio 1923

martedì 19 agosto 2014

Karo Antonio

Karo Antonio,

Kyero eskrivirte en djudyo antes ke no keda nada del avlar de mis padres. No saves, Antonio, lo ke es morirse en su lingua. Es komo kedarse soliko en el silensyo kada dya ke Dyo da, komo ser sikileoso sin saver porke.

Lo ke aki te eskrivo, Antonio, es el poko de ke me akodro despues de estos cinkos syekolos en Turkya. Yo naci en Asnières, ke es una sivdeka cerka de Paris, ama mi padre y mi madre eran cerka de los treynta kuando vinieron a morar en Francia. Dainda avlavan en franses ke era la lingua de todos los djudyos de Turkya en akel tyempo porke l'Alliance israëlite universelle asi les embezo. Despues de este se foueron al Lycée français de Galata Sarail en Stambol y es por esto ke tanto les plazya la Francia, ma en kaza nunka decharon de avlar djudyo y ansina es ke yine yo me embezi.

Antes de eskrivirte, Antonio, devo serar los ojos para akodrarme del avlar de mis padres. La difikoldad es ke muchos biervos me vyenen al tino i ke no se kualo dizirte kon eyos. Ke dizirte kon la “yaka” ? ( “Este no me pasa por la yaka” dizya mi nona) kon la ekspresyon “el kulo de pipino” ke mos saltava la riza, el “ijo de Mamzer”, kon todas las kozas ke son “kozas de tresalirse”...? 
Los biervos stan lokos, Antonio. Atornan y se fuyen. No ay mas ke asperar de eyos. No dizen mas ke la rolor, la dulsura lejana de la dondurma, de las keftikas, de los platikos ke se gizava en kaza. No dizen mas ke el gusto y el tormento del pasado, la lokura del tyempo. Se van los biervos y, lechos de mi, se mueren komo las nuves del cyelo.

La lingua maternal: asi se dize de lo ke se entendya en kaza, ma, en este kavzo, Antonio, la madre no se muere nunka. Siempre se keda fuerte. Puedes azer el mas gran viage; kuando retornas la topas bien en pies. En eya vive tu pasado, en eya te sientes presente a ti mismo.  Las palavras son tu verdadero lougar y tu esperanza. Kale ser loko para pensar ke, en eyas, podryas ser un dya el mousafir de ti mizmo. En el mas profondo de ti saves ke las kozas, o al meno el sentido ke tienes de las kozas, no se mueren nunka.
Ma, kuando se bozea tu lingua, kuando se deskae, desaziendo en el mabul, kuando deves serar los ojos, soliko en tu kamaretika y pensar por oras antes ke trucher dos biervizikos en la luz, kuando no ay nada ke meldar en tu lingua, ninguno dentro tus amigos por avlarla kon ti, kuando el poko ke te keda no lo vaz a dechar a ninguno despues de ti, kuando la mujer de tu alma te mira komo a un razino ke pok a poko se le fuye el meoyo y ke, kada dya te deves olvidar mas de ti para ser bien al lado de eya, kuando mirando a su kerida facha te vez, algunos dias ke te akodras del pasado, komo a un zingano ke no ubyera nunka dourmido kon eya y ke nunka lo podrya por ke saves ke, en akeyos momentos, la distansya entre vozotros es tan grande ke parece a la mar, eya veyendo solamente una partizika de ti, alora, Antonio, saves ke la muerte avla por tu boka.

Marcel Cohen, Lettre à Antonio Saura, traduit du judéo-espagnol par l'auteur, édition bilingue, L'Échoppe, 1997  



*
Fermatevi qui e rileggete questo incipit di un breve, intenso testo, se ci tenete a cogliere Cohen nel suo tornare bambino, figlio e nipote, ma non padre, e a non spezzarne la magia e se, per una volta, accettate di lasciare la materia narrativa nella sua forma originale: un grumo di vite. Mai una traduzione dello stesso autore mi è stata d'impaccio più che d'aiuto come questa volta: Cohen si è sdoppiato, traducendosi in francese, modificando e, soprattutto, omettendo. Autore e traduttore sono due persone diverse riunite nella stessa persona. Quel che segue sono solo io.
*

Caro Antonio,

Desidero scriverti in djudyo prima che non resti più nulla della lingua dei miei antenati. Non puoi immaginare, Antonio, cosa significhi estinguersi nella propria lingua. È come trovarsi da soli nel silenzio ogni giorno che Dio manda in terra, come essere sikileoso [in ansia, oppresso, in turco], senza sapere perché.

Quello che ti scrivo, Antonio, è il poco di quel che mi riesco a ricordare di questi cinque secoli in Turchia. Nacqui ad Asnières, che è un sobborgo di Parigi, e i miei genitori erano sulla trentina quando vennero a vivere in Francia. Allora parlavano in francese, in quanto lingua, all'epoca, di tutti gli ebrei della Turchia. Lo avevano imparato all'Alliance israëlite universelle. Frequentarono poi il liceo francese di Galata Sarail, ad Istanbul, ed è per questo che la Francia piaceva loro così tanto, senza peraltro rinunciare a parlare il djudyo a casa, che così imparai anch'io.

Prima di scriverti, Antonio, devo chiudere gli occhi per ricordarmi della lingua dei miei antentati. La cosa difficile è che molte parole mi vengono in mente senza potermici esprimere. Che dirti con  “yaka” ? (“Questo non mi passa per la yaka[collo, in turco], diceva mia nonna), con l'espressione “il culo del cetriolo” che ci faceva scoppiare a ridere, con “figlio di Mamzer” [bastardo, in ebraico], con tutte le cose che sono “cose da trasalire”...? 
Le parole sono folli, Antonio. Vanno e vengono. Non c'è altro da aspettarsi da loro. Non esprimono che l'odore, la dolcezza lontana del dondurma [gelato, in turco], delle keftikas [polpette turche], dei piccoli piatti che si cucinavano a casa. Non rendono che il gusto ed il tormento del passato, la follia del tempo. Se ne vanno, le parole, e mi sfuggono, muoiono come le nuvole del cielo.

La lingua materna: così si chiama quello che si sente a casa, ma, in questo caso, Antonio, è una madre che non muore mai. Resta sempre forte. Può intraprendere il viaggio più lungo; quando ritorna, la trovi ancora ben salda sulle gambe. In lei vive il tuo passato, in lei ti senti presente a te stesso. Le parole sono il tuo vero paese e la tua speranza. Bisogna essere folli per pensare che, in esse, potresti diventare, un giorno, straniero a te stesso. In fondo a te stesso sai che le cose, o almeno la loro percezione, non muoiono mai.
Ma quando la tua lingua si sgretola, quando si disfa, diluendosi nel mabul [diluvio, in ebraico], quando devi chiudere gli occhi, solo nella tua cameretta, e pensare per ore prima di portarne qualche brandello alla luce, quando non c'è niente da leggere nella tua lingua, nessuno dei tuoi amici con cui poterla parlare, quando il poco che te ne resta non lo trasmetterai a nessuno dopo di te, quando la donna della tua vita ti guarda come un malato che a poco a poco perde il senno e ogni giorno ti senti in dovere di dimenticare te stesso per poter stare bene al suo fianco, quando guardando il suo caro volto ti vedi, i giorni in cui ti ricordi del passato, come uno zingaro che non abbia mai dormito con lei e che mai potrebbe perché sa che, in quei momenti, la distanza tra di voi è tanto grande da sembrare il mare, lei riuscendo a vedere solamente una particella di te, allora, Antonio, sai che la morte parla attraverso la tua bocca.

venerdì 15 agosto 2014

La France

La Francia, come qualsiasi altro paese, dà il meglio di sé grazie alle sue minoranze e alle sue minorità. Voici un piccolo esempio, con un accento d'altri tempi, tra l'altro.

La Chine excelle dans le textile
La Thaïlande, dans les grains de riz
Le Japon fait des automobiles
Et les US, du RNB
La Suisse attire les comptes en banque
Les anglais ont un humour exquis
Le Nicaragua produit la cocaïne,
et la revend au meilleur prix,
La France, la France, des photocopies,
la France, la France, des photocopies

La mer fait pousser les poissons
Et le ciel fait péter la pluie
Quant à Dieu, assis sur l'horizon
Il nous envoie des messies
La lune produit des cratères
Et le soleil à se faire chaud
Luc Skywalker vote pour les Verts
Dans l'univers, quelle harmonie
La France, la France, des photocopies,
la France, la France, des photocopies

Les savants disent que dans quelques siècles
Il y aura sur terre plus de forêts
Je lis déjà dans vos pensées inquiètes
Sans arbres, plus de papier
Mais la France prévoyant la disette,
Rassurez vous ne payera pas le prix
Photocopiant sur un air de fête
Tous les arbres du pays
Chênes, cerisiers et hêtres
Pour faire face à la pénurie

La France, la France, des photocopies,
la France, la France, des photocopies
La France, la France, des photocopies,
la France, la France, des photocopies



La Cina eccelle nel tessile
La Tailandia nei chicchi di riso
Il Giappone fa automobili
E gli USA, il rhythm and blues,
La Svizzera attrae i conti in banca
Gli inglesi hanno un umorismo delizioso
Il Nicaragua produce la cocaina,
e la rivende al miglior prezzo,
La Francia, la Francia, fotocopie,
la Francia, la Francia, fotocopie

Il mare fa crescere i pesci
E il cielo fa scoppiettare la pioggia
Quanto a Dio, seduto sull'orizzonte
Ci manda messia
La luna produce crateri
E il sole fa caldo
Luc Skywalker vota per i Verdi
Nell'universo, che armonia
La Francia, la Francia, fotocopie,
la Francia, la Francia, fotocopie

I saggi dicono che nel giro di qualche secolo
Sulla terra non ci saranno più foreste
Leggo già nei vostri pensieri preoccupati
Senza alberi, niente carta
Ma la Francia, prevedendo la carestia,
State tranquilli, non ne pagherà il prezzo
Fotocopiando su un'aria festiva
Tutti gli alberi del paese
Querce, ciliegi e faggi
Per far fronte alla penuria

La Francia, la Francia, fotocopie,
la Francia, la Francia, fotocopie
La Francia, la Francia, fotocopie,
la Francia, la Francia, fotocopie

Bonus track

mercoledì 13 agosto 2014

Bettelein

When I was little [my grandmother] would bounce me on her leg, hobby-horse style, and sing an old German nursery rhyme:

Bettelein
Ging allein
In die weite Welt hinein.
Stock und Hut
Steht ihr gut
Ist gar wohlgemut.
Aber Mutter weinet sehr,
Hat ja nun kein Betty mehr!
Wünsch' ihr Glück
Sagt ihr Blick,
Kehr' nur bald zurück!

Lauren Bacall
Myself and then some, Harper Collins, 2010


Quando ero piccola, [mia nonna] mi faceva sempre andare a cavalluccio sulle sue gambe e mi cantava una vecchia filastrocca tedesca:

Bettina
se n'è andata stamattina
per il mondo sola solettina.
Col cappello ed il bastone
- che bel trio, la perfezione -
non c'è che dire, sta benone.
Ma la mamma piange assai,
perché Betty non ha più ormai.
A parole le augura ogni bene
ma con lo sguardo le dice: 
torna presto, mio caro bene!

venerdì 8 agosto 2014

Kiosk am Meer

Freiheit - und weiter ging der Verkehr. Die Idee
Hat sich ausgedehnt unterwegs. Am Ende der Mole
Stand ein Topf aus Beton, keiner wüßte wofür.

Der Kiosk am Meer, das war sie. Im Fenster hingen
Blaustichige Ansichtskarten verblichener Sommer.
Wie sind wir hierher gekommen? Der Brandung wegen?
Wer ist noch derselbe nach Jahren der Egomanie?

Über den Wolken schlafen die Mauersegler,
So geht die Legende. Aber wie geht sie weiter?
Verzeihung, wir kannten uns kaum. Und Zeit war
Kein Eigentum, das der Einzelne schützte wie die Natur.
Ist der Sand enttäuscht, wenn die Dämmerung fällt?

Wir sprechen, blinzeln solang wir am Feuer sitzen.
Wenn du sie siehst, grüß sie von mir. Sag Guten Tag.

Durs Grünbein


Chiosco sul mare

Libertà - e il traffico, imperturbato, continuava. L'idea
si è poi diffusa, cammin facendo. In cima al molo
c'era un vaso in cemento, ma se ne ignorava il motivo.

Il chiosco sul mare, ecco, lei era questo. Sui vetri della finestra,
cartoline illustrate di estati passate di un azzurro slavato.
Come siamo arrivati qui? Con la risacca?
Chi è rimasto lo stesso, dopo anni di egomania?

Oltre le nubi i rondoni dormono in volo,
così dice la leggenda. Ma come prosegue?
Pardon, ci conoscevamo poco. E il tempo non era
una proprietà protetta da ognuno, come la natura.
È delusa la sabbia quando viene buio?

Intorno al fuoco, parliamo socchiudendo gli occhi.
Se la vedi, salutala da parte mia. Buongiorno, dille.

domenica 3 agosto 2014

Lenen van de grieken

Net alsof je Ptolemaeus Euergetes bent
vraag je de Atheners
Aeschylus, Sophocles en Euripides aan jou uit te lenen
(de manuscripten van al hun toneelstukken,
ook die die later verloren zijn)
en je geeft hen vijftien zilveren talenten
die zij mogen houden
als je ze niet onbeschadigd zou terugsturen.

Je schrijft de manuscripten over
en stuurt de kopieën terug,
niet in het geheim, maar alsof je op het podium staat
leg je meteen uit dat de Atheners
de vijftien talenten kunnen houden
als boete voor wat je hen aangedaan hebt.

Nachoem Wijnberg


Come se fossi Tolomeo Evergete
chiedi in prestito agli ateniesi
Eschilo, Sofocle ed Euripide
(i manoscritti di tutte le loro tragedie,
comprese quelle andate perdute)
e dài loro quindici talenti d'argento
che potranno tenere
se non dovessi restituirli intatti.

Ricopi i manoscritti
e restituisci le copie,
ma senza fingere, come se ti mettessi subito a spiegare
su un palco che gli ateniesi
i quindici talenti possono pure tenerli
a compensazione di quello che hai fatto loro.

sabato 2 agosto 2014

Le foto migliori

Le foto migliori dello spicchio nordoccidentale della Polonia in cui sono passata sono, al solito, quelle che ho deciso di non scattare, in questo caso quelle dei posti dove più brutali appaiono i segni dell'evoluzione intrapresa dal paese da quando è libero di comprare uno yogurt Danone in qualsiasi sklep della campagna più interna.

Non le ho fatte, queste foto, nonostante fossero impareggiabili e le avvertissi pure come necessarie, vuoi perché temevo di offendere le persone del posto vuoi perché non disponevo di un grandangolo che potesse (e non ne esiste uno che possa) racchiudere le distese circensi che si sviluppano in alcuni centri abitati della costa del Mar Baltico e che, pure fortunatamente intervallate da boschi e lunghi tratti di costa e di campagna risparmiati dalla violenza immobiliare, restano comunque uno schiaffo ed un insulto alle speranze di tutti coloro che hanno patito l'occupazione tedesca e/o il successivo regime comunista.

Alla prima categoria appartiene una foto di una bancarella di Ustka, che su un suo fianco ha appese, incorniciate tutte allo stesso modo, delle immagini che riportano, in modo alternato e regolare, riproduzioni di cani e di papi, non dissimili - papi e cani - dall'iconografia dei papibuoni e dei padripii. Un papa circondato da una luce diffusa giallastra contenente delle sfumature di rosa e di arancione. Un pastore tedesco aureolato dalla stessa identica luce, e poi altro papa, altro cane, papa-cane-papa-cane e via andare, riga per riga, e a capo alla fine di ogni riga, dall'altezza del banco di vendita fino a terra. Se si ha fortuna, si può apprezzarne la fattura e la disposizione al suono, che fa picchiettare i piedi dei clienti in attesa di ricevere l'ordinazione ad un chiosco, di Laśiatemy kantaare, con la kitarra immano, laśiatemy kantare, pekhé ne sono wiero, e di Mammammà mammammariammà cantate laiv e ridiffuse da casse potenti, tanto da bucare il suono del vento, altrove magnifico (mai come a Ustka ho provato gratitudine per il depistaggio identitario che mi assicurano i miei zigomi slavi, purché abbia l'accortezza di tenere la bocca chiusa, naturalmente).

Alla seconda categoria appartiene una foto d'insieme di Międzywodzie, da me subito, per forza di cose, affettuosamente identificata come terra di bisiacchi in salsa baltica, avendo deciso entrambi i luoghi di portarsi nel nome la comune collocazione in mezzo a delle acque: un reticolo di strade ortogonali percorse da bici a noleggio a forma di bob o di auto da formula 1, ma mai di bici, e contrassegnate da tristi condomini di recente costruzione in stile anni '70, in cui regna non solo l'horror vacui, ma anche quello per le linee curve e per qualsiasi parvenza di simmetria o di vago equilibrio, separati gli uni dagli altri da luminosi e fragorosi giochi da fiera paesana ed autoscontri, rivendite di birre e tabacchi e caramelle, variopinte baracche di pesce fritto, pizza e, soprattutto, dolci (leggasi gofry/lody/rurki e desery in generale, rigorosamente in questo ordine).

Ci sarebbe anche una terza categoria di foto belle non scattate, la più inafferrabile e la più controversa, che vede accomunate Polonia e Italia, oltre che dall'uso di alcune parole come pomidor, arancio, pałac e autostrada, anche dall'aver scelto di sotterrare, in qualche forziere al momento ben nascosto, il loro prezioso entuzjazm.

Restano quindi solo le foto peggiori di cui, per rispetto, mi permetto di lasciare solo due esemplari.

 

venerdì 1 agosto 2014

Sappiate

Voglio vivere e,
se muoio,
sappiate che
non ero
né un partigiano di Hamas
né un combattente.
Non ero nemmeno
uno scudo umano.
Ero a casa.

Gaza, 23 luglio 2014
Tweet di un palestinese riportato dalla ricercatrice Orit Perlov su Le Monde di oggi.


 
Jabalia, 24 luglio 2014. Foto della AFP riportata da Haaretz.
Cfr., volendo.