mercoledì 31 marzo 2010

L'infinito


La poesia L'infinito in lingua italiana dei segni (LIS) interpretata da studenti dell'Istituto Statale di Istruzione Specializzata per Sordi "Antonio Magarotto" di Torino.
Link diretto al video.

Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare.

La traduzione in francese di Yves Bonnefoy.

(was it necessary?)

For its concentration of sheer drama, it bears comparison with another contemporary masterpiece, Shakespeare's Macbeth.
From a note printed on the verso of a postcard showing The beheading of St John the Baptist (La decollazione di san Giovanni Battista) by Caravaggio.  


La sogli(ol)a di accettazione

Gli errori, nella vita come per chi scrive, sono inevitabili. Provo grande solidarietà nei confronti di chi li commette, in particolare per quelli linguistici, visto che ne compio quotidianamente molti sia parlando sia scrivendo, e capisco che in francese non vi sia bisogno di scrivere l'accento nelle parole tronche, però, se si sceglie di riportare dei nomi nella lingua originale, una revisione potrebbe aiutare a mantenerli al di sotto della sogliola di accettazione.

Nel capitolo del libro Voyager vers des noms magnifiques di Béatrice Commengé, éditions Finitude 2009, dedicato a Trieste, si trovano, nello spazio di una ventina di paginette (tra parentesi la versione corretta):

Trieste ad Italia (sulla falsariga di Alexandria ad Egyptum, ma se ad regge l'accusativo e se Italia si declina come rosa, allora dovrebbe essere ad Italiam, credo)
Palazzo dello Stella (Palazzolo dello Stella)
Piazza Unita (piazza Unità)
Senilita (Senilità)
Via San Nicolo (via San Nicolò)
Penne All'arrabiata (penne all'arrabbiata)
Cafè Specchi, Caffe Italia, Caffe Tommaseo, Caffe San Marco (Caffè degli Specchi, Caffè Italia, Caffè Tommaseo, Caffè San Marco)
Cimetero Greco-Orientale (Cimitero Greco-Orientale)
Ταξιδιωτηζ (Ταξιδιώτης)
via Battista (via Battisti)

La versione che ho trovato online è leggermente diversa: non contiene alcuni di questi errori, ma ne contiene altri (Senelita e TAXEIDIOTA, per esempio).

Pieta per il lettore, svp.

domenica 28 marzo 2010

Come sarebbe se avessimo anche la fantastica, oltre alla logica

Se avessimo anche una fantastica come abbiamo una logica, allora sarebbe scoperta l'arte dell'inventare. Alla fantastica appartiene in qualche misura anche l'estetica, come alla logica il giudizio (Hätten wir auch eine Phantastik wie eine Logik, so wäre die Erfindungkunst erfunden. Zur Phantastik gehört auch die Aestetik gewissermassen, wie die Vernunftlehre zur Logik).

Novalis, Fragmente.

Questo frammento di Novalis viene ricordato nell'Antefatto a La grammatica della fantasia di Gianni Rodari, frutto dell'esperienza dello scrittore a Reggio Emilia, città cui il libro è dedicato, in occasione degli Incontri con la fantastica, ivi organizzati nel 1972. È un frammento che Rodari trovò nell'inverno 1937-38, quando imparò un po' di tedesco insegnando l'italiano a dei bambini in casa di ebrei tedeschi che credevano di aver trovato in Italia un rifugio contro le persecuzioni razziali. La mattina insegnava l'italiano, il pomeriggio lo passava nei boschi a camminare e a leggere Dostoevskij.

Una delle storie riportate dal libro nacque in una scuola materna in cui i bambini erano stati invitati dalla maestra, che il giorno precedente aveva partecipato ad uno degli incontri, ad inventare una storia a partire da un binomio di parole: "luce" e "scarpe". Questo fu il risultato inventato da un bambino di cinque anni e mezzo, aiutato, nell'operazione, da tre compagni:

C'era una volta un bimbo che si metteva sempre le scarpe del suo papà. Una sera il papà si era stufato che il bimbo gli prendeva sempre le scarpe, allora lo mette attaccato alla luce, e poi a mezzanotte cade, e allora dice il papà: - Cosa c'è, un ladro?
Va a vedere e c'era il bimbo per terra. Il bimbo era rimasto tutto acceso. Allora il papà ha provato a girargli la testa ma non si è spento, ha provato a tirargli le orecchie ma non si spegneva, ha provato a schiacciargli il naso ma non si spegneva, ha provato a tirargli i capelli ma non si spegneva, ha provato a schiacciargli l'ombelico ma non si spegneva, ha provato a tirargli via le scarpe e c'è riuscito, si è spento.

Al termine della storia, i bambini, soddisfatti di sé e soprattutto della trovata finale, sentirono il bisogno di applaudirsi.

sabato 27 marzo 2010

Come sarebbe se dedicassimo alla poesia anche un solo minuto al giorno

Oggi, 2 versi.

*

W każdej kieszeni nosił ołówki, szkicowniki,
Z okruchami bułki, akcydensami życia.

Czesław Miłosz
GUCIO ZACZAROWANY, 5, Berkeley, 1962


In ogni tasca portava matite, taccuini d'appunti,
Assieme a briciole di pane, gli accidenti della vita.

venerdì 26 marzo 2010

Come sarebbe se al posto dei cartelloni pubblicitari ci fossero poesie

Auguro al Movimento per l'Emancipazione della Poesia, che ho scoperto grazie a Il taccuino di Sonnenbarke, invisibilità notturna e visibilità diurna.

Gli dedico poi due poesie, Gedichte lesen e Piccola lode al pubblico della poesia.

'O munno cagna (il mondo cambia)

Una premessa che non è originale, che parte da uno dei poeti più (vanamente) citati in Italia, ma che mi serve prima di riportare una poesia di un altro poeta italiano che si intitola "La bicicletta", non perché abbia bisogno di spiegazioni, ma perché, come le persone, anche le poesie hanno una storia alle spalle e qualche volta è bene - trovo - tentare di riassumerla o almeno di abbozzarla.

Pasolini, in Lettere luterane, che raccoglie suoi interventi sul Corriere della Sera e sul Mondo del 1975, spiegava a Gennariello, un ragazzo napoletano, il mutamento antropologico in atto allora negli italiani: per la prima volta nella storia, da quando la produzione delle "cose" era diventata produzione industriale, di massa, un cinquantenne come lui non avrebbe più potuto insegnare ad un quindicenne come Gennariello le "cose" che lo avevano educato, e Gennariello non avrebbe potuto insegnare a lui le "cose" che lo stavano educando (cioè che stava vivendo) perché la loro natura, la natura delle "cose", era cambiata nella sua totalità. Per illustrare la profondità del salto generazionale tra lui e Gennariello e l'estraneità insanabile che ne derivava, Pasolini ricorreva al linguaggio pedagogico delle cose e per farne un esempio concreto considerava le tazzine da tè di un salotto borghese del 1944: le "tazzine coloro giallo uovo chiaro, con delle macchie a rilievo bianche" predisposte da Dante Ferretti per la scenografia del suo ultimo film, Salò o le 120 giornate di Sodoma. "Legate all'universo della Bauhaus e dei bunker, esse erano angosciose. Non potevo guardarle senza provare una fitta al cuore, seguita da un profondo malessere. Tuttavia quelle tazzine avevano in sé una misteriosa qualità, condivisa, del resto, dalla mobilia, dai tappeti, dai vestiti e dai cappellini delle signorine, dalle suppellettili, dalle stesse carte da parati: questa misteriosa qualità non dava però dolore, non causava un violento regresso (che poi la notte ho sognato) in epoche anteriori e atroci. Dava anzi gioia. La loro misteriosa qualità era quella dell'artigianato. Fino al Cinquanta, fino ai primi Sessanta è stato così. Le cose erano ancora fatte o confezionate da mani umane: pazienti mani antiche di falegnami, di sarti, di tappezzieri, di maiolicari. Ed erano cose con una destinazione umana, cioè personale. Poi l'artigianato, o il suo spirito, è finito di colpo. Proprio mentre hai cominciato a vivere tu."

Pasolini era del 1922 e scriveva queste cose negli anni Settanta. Da allora 'o munno è cagnato n'ata vota (il mondo è cambiato un'altra volta) se Guido Oldani, che è del 1947, trova argomenti per poter sostenere che la nostra società "non distingue un uomo da una bicicletta, il cielo da un impianto per idromassaggio". Oldani chiama la sua poetica la poetica del baco. Ne ho trovata una sua spiegazione nella rivista latinoamericana di poesia Prometeo:


"Più della metà del mondo vive in aree metropolitane. Il resto della gente le avvolge centripetamente, le tocca, le occlude. Questa è la nostra situazione globale. La realtà non è data dalla naturalezza, ma dagli infiniti oggetti prodotti in serie. Produciamo infinite cose, tanto desiderabili quanto, quasi sempre, inutili. Torniamo a caderci sopra, come dei boomerang. Come un baco da seta, produciamo il filo che ci avvolge, finché diventa bozzolo e poi sarcofago che ci sacrifica, come bestie sacrificate al nulla. Questa è la realtà, o meglio, questo è l'autorealismo in cui viviamo. Anche i popoli si ammassano, gli uni sugli altri, attraverso guerre e migrazioni di massa. Non c'è quasi differenza tra uomini e cose e le masse degli uni assomigliano sempre di più agli altri, che diventano termine di paragone. La realtà non si antropomorfizza, ma l'uomo si cosifica. La mia poetica consiste nel registrare questo paradosso demenziale che siamo obbligati a vivere, dandolo per scontato. Io assomiglio ogni volta di più alla mia bicicletta, e chi la incontra per strada, appoggiata ad un muro, la saluta credendo, a ragione, che lei sia me. Tuttavia, di fronte a questo la mia bicicletta, che ha la sua dignità, da qualche tempo ha cominciato a ribellarsi."

E ora, dopo questa lunga premessa, posso finalmente riportare la poesia di oggi.

La bicicletta

e come si usa, a un certo punto della vita
ridurla quasi a un volto che le diamo
per scorgerla da fuori e compatirla
io, tralasciando quanto sia in natura,
ricorro a un alter ego manufatto
probabilmente ad una bicicletta
che certo non compete alle volate
neppure sta nel gruppo condiviso,
magari è dentro un vicolo sterrato
e quando il troppo adagio la barcolla
per non cadere dà una pedalata
un breve sbando e seguita la corsa,
l’arrivo si confonde alla sortita.

Guido Oldani

mercoledì 24 marzo 2010

Ideenspiel fortgeschrittener Sommer

lass uns jemand anderes sein und Orte erzeugen,
Fingertreffpunkte, Tauchwälder oder
Wellblechwiesen: das hält eine Zeit lang
beschäftigt – wie Fernschnee zu spielen
gegen die aufsässige Hitze, bis zum Abbruch der Übung
durch einen lauen Schild-des-Achill-Mond
im neu entdeckten Sternzeichen Champagnerglas.

Ron Winkler


Gioco mentale di tarda estate

diventiamo qualcun altro e inventiamoci dei posti,
punti di ritrovo per dita, boschi per immersioni o
prati di lamiere ondulate: questo ci tiene occupati
per un po' - come giocare alla teleneve
contro il caldo ostinato, fino ad interrompere l'esercizio
con una fiacca luna-scudo-di-Achille
nel nuovo segno zodiacale del bicchiere di champagne.

Winkler è nato a Jena nel 1973. È poeta e traduttore di poeti statunitensi. Vive a Berlino.

martedì 23 marzo 2010

gaststuben in der provinz

hinter dem tresen gegenüber der tür
das eingerahmte foto der fußballmannschaft:
lächelnde helden, die sich die rostenden nägel
im rücken ihrer trikots nicht anmerken lassen.

Jan Wagner

Laute Verse, Gedichte aus der Gegenwart, dtv 2009


trattoria in provincia

dietro il bancone di fronte alla porta
la foto incorniciata della squadra di calcio:
eroi sorridenti che nascondono
l'arrugginirsi dei chiodi dietro le loro magliette.

*

Una nota dell'autore rivela che questa poesia, nella sua prima versione, era lunga circa trenta righe. Nel suo grandioso sviluppo iniziale comprendeva paesaggio, uomini e disposizioni d'animo. Nel tempo, però, una riga dopo l'altra è stata "naturalmente" omessa, un po' come quando si segano progressivamente le gambe di un tavolo. Le quattro righe sopravvissute a questo lavoro per sottrazione, che si è fermato un attimo prima che la poesia sparisse, gli sembravano contenere più cose delle iniziali trenta.

Jan Wagner è nato ad Amburgo nel 1971 e vive a Berlino dal 1995, è poeta e traduttore (Charles Simić, James Tate, Simon Armitage, Matthew Sweeney, Jo Shapcott, Michael Hamburger, Tim Turnbull). Nelle sue poesie si possono trovare pomodori, meloni, fish and chips e bustine da tè.

domenica 21 marzo 2010

Dizionario di tutte 'e cose - P come polipropilene

Dopo aver appreso ed applicato lo studio ai raggi X delle strutture cristalline per la soluzione di problemi chimici e strutturali fin da studente negli anni Venti, dopo aver appreso ed applicato i metodi a diffrazione elettronica all'esame della struttura dei polimeri lineari e dei catalizzatori eterogenei negli anni Trenta, dopo avere studiato la polimerizzazione delle olefine e la cinetica delle reazioni secondarie fin dal 1938, dopo aver esteso la ricerca effettuata da Ziegler sui catalizzatori organometallici in grado di sviluppare reazioni stereospecifiche e dopo avere scoperto nuove classi di polimeri con una struttura stericamente ordinata, giovedì, 11 marzo 1954 Giulio Natta produce per la prima volta il polipropilene isotattico, in cui tutti i gruppi metilici (-CH3) sono dallo stesso lato della catena.


Questa la nota di quel giorno sul suo diario.


Fatto il polipropilene.

Nel 1963 Natta riceverà il premio Nobel per la chimica assieme a Karl Ziegler.

Il testo del brevetto, in cui Natta è coinventore assieme a Piero Pino e a Giorgio Mazzanti, depositato l'8 giugno 1954.

Sizin için

Sizin için, insan kardeşlerim,
Her şey sizin için;
Gece de sizin için, gündüz de;
Gündüz gün ışığı, gece ay ışığı;
Ay ışığında yapraklar;
Yapraklarda merak;
Yapraklarda akıl;
Gün ışığın da binbir yeşil;
Sarılar da sizin için, pembeler de;
Tenin avuca değişi,
Sıcaklığı,
Yumuşaklığı;
Yatıştaki rahatlık;
Merhabalar sizin için;
Sizin için liman da sallanan direkler;
Günlerin isimleri,
Ayların isimleri,
Kayıkların boyaları sizin için;
Sizin için postacının ayağı,
Testicinin eli;
Alınlardan akan ter,
Cepheler de harcanan kurşun;
Sizin için mezarlar,mezar taşları,
Hapishaneler, kelepçeler, idam cezaları;
Sizin için;
Her şey sizin için.

Orhan Veli Kanık, 01.05.1949


Per voi, fratelli umani,
Tutto è per voi.
Per voi la notte, anche il giorno;
Di giorno, la luce del giorno, di notte, il chiaro di luna;
Al chiaro di luna, le foglie;
Alle foglie, la curiosità;
Alle foglie, il pensiero;
Mille sfumature di verde alla luce del giorno;
Per voi i gialli, anche i rosa;
La carezza di una pelle nell'incavo del palmo,
Il suo calore,
La sua dolcezza;
La felicità di essere a letto;
I buongiorno sono per voi;
Per voi gli alberi dondolano nel porto;
I nomi dei giorni,
I nomi dei mesi,
I colori delle barche;
Per voi il passo del postino,
La mano del venditore d'acqua;
Il sudore che cola dalla fronte,
Il proiettile perduto nelle battaglie;
Per voi cimiteri, lapidi,
Prigioni, manette, pene capitali.
Per voi,
Tutto per voi.

(cfr., volendo)

sabato 20 marzo 2010

Fino ad una decina di minuti fa, la parola più antica che conoscessi per indicare la poesia era ποίησις, da ποιεῖν, fare.

Da una decina di minuti è diventata 詩 (shī).

La poesia è composta da 言 (yán) e 寺 (sì), cioè da parole nel tempio.

Come ogni lirica che si rispetti, la si cantava (Aub tenía razón: antes cantan los niños que hablan).

, a sua volta, contiene  (kǒu) (bocca): sono parole che escono dalla bocca.

 è formato da (tǔ) (terra) e (cùn) (è un'unità di misura: la larghezza del pollice in corrispondenza dell'articolazione), il che mi fa pensare che nel tempio vi sia una certa nota d'umiltà rispetto all'aria che si respira in chiesa (Εκκλησία, assemblea).

(E lo chiamiamo greco antico.)

*

Aggiornamento

Questo post ha un merito, anzi due: ha indotto Studiolum ad arricchirlo con un contributo essenziale a commento qui sotto e gli ha poi ispirato un post che apporta ulteriori significati e interpretazioni. Lo ringrazio qui, in attesa di ripassare in quella miniera d'oro che è il suo blog.

venerdì 19 marzo 2010

This piece is totally useless and also ridiculous outside Spain

Nel 1797 il compositore e violoncellista Boccherini, che è alla corte di Spagna dal 1770, scrive all'editore Ignace Pleyel per la concessione dei diritti di alcune opere. 


Madrid, 10 luglio 1797

Caro e amato Pleyel,

(...)
Nell'opera 30 Quintettini troverete uno che ha per titolo "La musica notturna delle strade di Madrid". Questo pezzo è totalmente inutile ed anche ridicolo fuori di Spagna poiché non possono gl'uditori giammai comprenderne il significato né gl'esecutori sonarlo come dev'essere sonato, per il che in suo luogo vi mando una sinfonia di più, che troverete aggiunta all'opera 37.
(...)

Dev.mo Ob.mo Servitore ed Amico
Luigi Boccherini


Youtube link

Dizionario di tutte 'e cose - D come Descrivere l'indeterminabile



Nel descrivere i fenomeni atomici - disse Niels Bohr - si può usare il linguaggio solo come è usato in poesia, in cui non si tratta tanto di descrivere precisamente i fatti quanto di creare immagini nella coscienza e stabilire connessioni mentali.

Potremmo mai capire cosa succede in un atomo? - chiese Heisenberg.

Sì - rispose Bohr, dopo un momento di esitazione - ma dovremo al contempo prima imparare che cosa significhi la parola capire.

Da die Quantenmechanik.

mercoledì 17 marzo 2010

Contrasti

- Vui vinite, signore, su 'l chiù meglio, e vui, lombardo e neutro, siete il cadì chiù naturale e giusto: si contrastava, tra i riveriti pastori qui presenti, se sia opportuno, nel poetare o pure rivolgere al sicolo idioma tragedia antiqua oppur poema, sia opportuno dicìmo per nui nativi d’Arcamo, patria del primo e granne, onore de la cosca de' poeti e luce di cinnàca, di Ciullo intenno, chiaro al monno intero, e surtutto per nui de l’Accademia ardente che al nome suo s'appenne, sia opportuno far crescere la cima sicola da ràdica toscana o puramente far sbocciare in aura toscana la semente sicola. Giudicate vui, vah, giudicate vui! - E sopra la gran panza, stralucente di catene, di medaglie e orioli, incrociò le braccia, s'assestò sopra lo scranno, e mi fissò co' i suoi occhi a calamaro, quel nero del Soldano. E come lui, co' gli stessi occhi, mi fissaro gli accademici o pastori in attesa ch'io profferissi la sentenza.
- Ma veramente, - balbettai vergognoso - mi so nient di lingua e di poesia. Io son solo un modesto cultore d'antiquaria e ancor più modesto suo ricopiatore.
- Checchecchè ?! - fece il Soldano.
- Non m’intendo, non m’intendo... - dissi allargando le braccia.
- No, no, no, corpo d'un Bacco! - urlò ancora l'ospite battendo il pugno sopra la tavola. - Non m'ingannate. Siete, come scrive il Seppotta nella littra, un grande artista, e dunca il più adatto a giudicare...
- Vi prego...- insistei. Ma quello non s'arrese.
- Allora ascortate, - disse - ascortate due campioni de le due manère contrapposte di poetare: primo è l'illustrissimo don Erminio Chinigò, in Accademia inteso Abelio Zenòdoto, di cui domani, festa di Santa Maria dei Miracoli, si rappresenta nella Badia Nuova la Tirannide rintuzzata nel martirio di Santa Venera e Petrulla, opera tragicorsara; secondo, il reverendissimo padre don Getulio Camàro, in Accademia Aristeo Apollonio, autor di rinomate ottave in purissima lingua sicola-toscana. Attaccate, don Erminio! - ordinò quel signore. Esultante quindi l'accademico, con voce forte, chiara, si mise a recitare versi oscuri, incomprensibili, a me, a voi, a chicchessia, mi credo, non fusse nato in Alcamo, che romorosi applausi si ebbero, e numerosi brindisi, di tutta l'adunanza.
Poscia seguì il prete, grevio, untuoso, che pur poetando nel più cercato e prezioso italico linguaggio, tanto dolz e pien de schiribizz, de pezz, e pazz, e pozz, e puzz, e pizz, come ridendo dice il nostro Maggi, erano i versi suoi sì gonfi di metafore, e di immagini e concetti sì peregrini e falsi, e manierato il tono, e il ritmo artefatto, di sì insomma eunucata poesia, che ricordavano la frutta artificiale di zucchero e di mandorla, o quello stile stracarico di chiese, a pietre mischie e tramischie, che chiaman gesuitico, e più di questo, e quella, mi davan la nausea, e gli impulsi impellenti (che la scusa!) di ributto.
Sursi improvviso pallido, sudato, e chiesi di uscire all'aria, che il clima e il viaggio m'aveano straccato: che scusassero... E solo allora il Soldano si convinse di richiamare il figlio e farmi accompagnare alle mie stanze.

Vincenzo Consolo, Retablo, Sellerio editore Palermo 2009, pagg. 54-57 (prima edizione 1987)

Il retablo (retro tabula altaris) è "l'invenzione (derivata da El retablo de las maravillas, uno degli entremés di Cervantes) di far veder nel quadro ciò che si vole, dietro ricatto d'essere, se non si vede, fortemente manchevole o gravato d'una colpa".

Cosa non si è inventato Consolo per far fuggire il proprio alter ego, il pittore Fabrizio Clerici, dalla Milano di Craxi.

I had to write a composition for Stradlater

The thing was, I couldn't think of a room or a house or anything to describe the way Stradlater said he had to have. I'm not too crazy about describing rooms and houses anyway. So what I did, I wrote about my brother Allie's baseball mitt. It was a very descriptive subject. It really was. My brother Allie had this left-handed fielder's mitt. He was left-handed. The thing that was descriptive about it, though, was that he had poems written all over the fingers and the pocket and everywhere. In green ink. He wrote them on it so that he'd have something to read when he was in the field and nobody was at bat. He's dead now. He got leukemia and died when we were up in Maine, on July 18, 1946. You'd have liked him. He was two years younger than I was, but he was about fifty times as intelligent. He was terrifically intelligent. His teachers were always writing letters to my mother, telling her what a pleasure it was having a boy like Allie in their class. And they weren't just shooting the crap. They really meant it. But it wasn't just that he was the most intelligent member in the family. He was also the nicest, in lots of ways. He never got mad at anybody. People with red hair are supposed to get mad very easily, but Allie never did, and he had very red hair. I'll tell you what kind of red hair he had. I started playing golf when I was only ten years old. I remember once, the summer I was around twelve, teeing off and all, and having a hunch that if I turned around all of a sudden, I'd see Allie. So I did, and sure enough, he was sitting on his bike outside the fence - there was this fence that went all around the course - and he was sitting there, about a hundred and fifty yards behind me, watching me tee off. That's the kind of red hair he had. God, he was a nice kid, though. He used to laugh so hard at something he thought of at the dinner table that he just about fell off his chair. I was only thirteen, and they were going to have me psychoanalyzed and all, because I broke all the windows in the garage. I don't blame them. I really don't. I slept in the garage the night he died, and I broke all the goddam windows with my fist, just for the hell of it. I even tried to break all the windows on the station wagon we had that summer, but my hand was already broken and everything by that time, and I couldn't do it. It was a very stupid thing to do, I'll admit, but I hardly didn't even know I was doing it, and you didn't know Allie. My hand still hurts me once in a while when it rains and all, and I can't make a real fist any more - not a tight one, I mean - but outside of that I don't care much. I mean I'm not going to be a goddam surgeon or a violinist or anything anyway.
Anyway, that's what I wrote Stradlater's composition about. Old Allie's baseball mitt. I happened to have it with me, in my suitcase, so I got it out and copied down the poems that were written on it. All I had to do was change Allie's name so that nobody would know it was my brother and not Stradlater's. I wasn't too crazy about doing it, but I couldn't think of anything else descriptive. Besides, I sort of liked writing about it. It took me about an hour, because I had to use Stradlater's lousy typewriter, and it kept jamming on me. The reason I didn't use my own was because I'd lent it to a guy down the hall.
It was around ten-thirty, I guess, when I finished it. I wasn't tired, though, so I looked out the window for a while. It wasn't snowing out any more, but every once in a while you could hear a car somewhere not being able to get started. You could also hear old Ackley snoring. Right through the goddam shower curtains you could hear him. He had sinus trouble and he couldn't breathe too hot when he was asleep. That guy had just about everything. Sinus trouble, pimples, lousy teeth, halitosis, crumby fingernails. You had to feel a little sorry for the crazy sonuvabitch.

J.D. Salinger, The catcher in the rye, Chapter 5

Come sarebbe se una stessa persona posasse per due pittori diversi

Una persona che si mettesse a posare per due pittori diversi,
anche nella stessa giornata,
ad esempio la mattina per Antonello da Messina
ed il pomeriggio per Francis Bacon
(il viceversa sarebbe inverosimile),
nel ritratto sarebbe la stessa persona, in fondo,
ma in superficie non esattamente.
Che giornata, comunque.

I am a failed poet

Sono un poeta mancato. Forse ogni autore di romanzi vuole dapprima scrivere poesie, scopre di non farcela, e allora prova con il racconto, che, dopo la poesia, è la forma più esigente. È solo quando non vi riesce che si mette a scrivere romanzi.

William Faulkner a Jean Stein, The Paris Review, 1956

Poema

És cert
que no tinc diners
i és patent que la major part de
monedes són de xocolata;
però si agafeu aquest full,
el doblegueu pel llarg
en dos rectangles,
després en quatre,
feu llavors un plec
oblic amb els quatre
papers i el separeu
en dos gruixos,
obtindreu
un ocell que mourà
les ales.

Joan Brossa i Cuervo, 1963



אדם

Uomo

Iniziarono a farmi dagli occhi
dopo aggiunsero altri organi
infine si venne conformando il corpo
cui aggiunsero pure un osso caudato,
perché non mi montassi la testa.
Dopo aggiunsero altri sensi:
orecchio per sentire, naso per odorare e cuore per piangere
o da indurire davanti all'altrui dolore.
Sono uomo. Ho delle alternative.
Opera perfetta, posso scegliere
fra il bene e il male, e perfino il male peggiore.
Sono uomo. Posso fare
qualunque sciocchezza al mondo a mio piacere
perché sono umano
fra tutti gli uomini e le donne del mondo
sono proprio come gli altri,
non sono mai mancato a nessuno
e nessuno in particolare mi è mancato.
Morendo
mancherò a tutti
e tutti mi mancheranno!

Natan Zach, Sento cadere qualcosa - Poesie scelte 1960-2008, Giulio Einaudi Editore 2009
Traduzione di Ariel Rathaus

(cfr., volendo)

(אדם è uomo, ma è anche il nome proprio Adam)

domenica 14 marzo 2010

حجر/piera/stone



Se solo fossi una pietra

Non desidero niente
Non passa nessun ieri
Non arriva nessun domani
Il mio oggi non declina né scorre.
Non mi succede né l'uno né l'altro.
Ho detto se solo fossi una pietra
Qualsiasi pietra da far lambire dall'acqua
fino a diventare verde o gialla
da mettere su un piedistallo in una stanza
come una scultura
o un esempio di lavoro d'intaglio
o uno strumento per sbrogliare il necessario da quello che non lo è...
Se solo fossi una pietra
allora potrei desiderare tutto!

Mahmoud Darwish, Diari

Ho azzardato più del solito: se l'originale arabo è proprio quello tratto dal numero 88/89 del 2006 della rivista letteraria al-Karmel, ho avuto un gran bel colpo di fortuna. Se no, lo si ignori e mi si perdoni.


*

Megio 'l silensio
erba d'un prào,
griso d'assensio,
barco fondào.

No' stâ svolâ.
Dalongo i trae;
no' stâ cantâ,
gnanche d'istàe.

Sii piera grisa
che nissun bada,
polvere grisa
sora la strada.

Caligo fisso
che passa via,
svodo d'abisso
dopo una ssia.

No' stâ fidâte
de le to ore:
lássele scôre,
sensa voltâte.

Biagio Marin, Il non tempo del mare, 1964


Meglio il silenzio
erba di un prato,
grigio d'assenzio,
barco affondato.

Non volare.
Subito ti sparano addosso;
non cantare,
neanche d'estate.

Sii pietra grigia
cui nessuno bada,
polvere grigia
sopra la strada.

Nebbia fitta
che passa via,
vuoto d'abisso
dopo una scia.

Non fidarti
delle tue ore:
lasciale scorrere
senza voltarti.

*

Stone

Go inside a stone
That would be my way.
Let somebody else become a dove
Or gnash with a tiger's tooth.
I am happy to be a stone.

From the outside the stone is a riddle:
No one knows how to answer it.
Yet within, it must be cool and quiet
Even though a cow steps on it full weight,
Even though a child throws it in a river;
The stone sinks, slow, unperturbed
To the river bottom
Where the fishes come to knock on it
And listen.

I have seen sparks fly out
When two stones are rubbed,
So perhaps it is not dark inside after all;
Perhaps there is a moon shining
From somewhere, as though behind a hill—
Just enough light to make out
The strange writings, the star-charts
On the inner walls.

Charles Simić, What the Grass Says, 1967

sabato 13 marzo 2010

Quantitatif

Güzel kadınları severim,
İşçi kadınları da severim,
Güzel işçi kadınları
Daha çok severim.

Orhan Veli Kanık, 1938

Amo le belle donne,
Amo anche le operaie,
Amo ancora di più
Le belle operaie.

venerdì 12 marzo 2010

L'infinì

E cossa ghe volerà mai a scriver una po

giovedì 11 marzo 2010

Las paraulas

Las paraulas estèlan la nuòch de las causas;
Se miralhan dins l’estanh das monstres abandonats
au fons dau potz etern de la tenèbra.

Las paraulas son de lutz en camin,
que sabon pas se quaucun las espèra.

La nuòch inacabada.

Max Rouquette (in occitano Max Roqueta), Lo maucòr de l'unicòrn (Il tormento dell'unicorno)


Le parole costellano la notte delle cose;
Si specchiano nello stagno dei mostri abbandonati
nel fondo del pozzo eterno della tenebra.

Le parole sono luce in cammino,
che non sanno se qualcuno le aspetta.

La notte infinita.

Stanott u sugnà

Stanott u sugnà
che te me 'mparavet a lègg e a scriv
e mi bona bona te dumandavi
se fa cumè la A
se fa cumè la V?
Fasevi finta de savè nient
per restà lì inscì a vardat
intant che te me spiegavet
el filett de la A
e 'l ricciulin de la V.
E anca i maiuscul i minuscul
e 'l cursif e 'l stampatel
mi stavi lì a vardat e pœu
cont el did smaggiaa d'incioster
provavi, visina a ti
i curvett de la S
'l taiètt de la T.
E pœu la letura: te me disevet
asculta Vivian...
A come i al di rundin che vulen su nel ciel
B come i banc de la scola cont i scolaritt
C come i bei cà cont 'l tètt ross ross
F come i finester avert spalancà
N come la nèbbia la nèbbia grisa grisa
O come i occh, i occh bei bianc
U come l'uga dolza cont i gandolin rutund
V come i vel, i vel in mezz al mar
Z come i zanzar de l'està che puarett (te suridevet)
tutti vurèm mazzà.
E mi scultavi inamurada la tua bèlla vùs pazienta
e vardavi incantada i to bei man espressiv
che disegnaven ne l'aria 'l dundulà di vel
ne l'aria 'l zzz zzz di zanzar...
mi scultavi inamurada e, oh che bèl sugnà che l'era
che bèl che bèl sugnà.

Vivian Lamarque, La gentilèssa: poesie in dialetto milanese, 1973-1975, Stampa editore 2009

mercoledì 10 marzo 2010

Te tiravet 'l pes

Te tiravet 'l pes
te tiravet 'l pes in d'un prà
e mi stavi lì silenziusa a vardàt
te seret tutt cuncentrà
te se mœuevet pianissim
come al ralentatur
quando 'l pes 'l rivava giò in tèrra
mi curevi cuntenta a ciapàl
pœu tutt a 'n tratt
l'a boffà 'l vent
e 'l pes...

... 'l pes 'l t'a purtà via
'l t'a purtà in alt
in alt luntan
mi lì a 'spetà
cont 'l nas per aria
mi lì a 'spetá
'spèti ancamò
sun semper là.

Vivian Lamarque, La gentilèssa: poesie in dialetto milanese, 1973-1975, Stampa editore 2009

martedì 9 marzo 2010

L'ospedaa

L'ospedaa se 'l mal fa minga tropp mal
l'ospedaa a mi un poo me pias:
quando riven din-din i termometri sbarlusènt
tutt bèi disinfetà
che bèl pruass la fever tutt 'nsèma
e intant vardà 'l cumudin bianc in part
cun sura 'l zùccher i biscott
la bottiglia d'acqua mineral
'l pèttin con la sóa bustina
che bèl vardà 'l via-vai de la gent che passa
i 'nfermer, i duturi bei bianc
e vardàss i man
giustàss i 'l lenzœu
parlutà cui visìn de lètt...
in cœu la fever l'è dumà trentasett e sett
e magari sabet se va a cà.
Cinq'ur, rìven i visit
la mama 'l marì i amis
me disen di bei robb gentil
i nuvità de la cà
'l temp che 'l fa de fœura
che bei fac surident
me suriden financa i parent di alter lètt
e quand a batt i man scàpen via tutti
quand sparissen tutt 'nsèma com i piviun del Domm
'l magun se manda giò con la minestrina e i per cott
e a durmentàss l'è già matina
spalanchen i finester
te disen sota! sota!
e 'l riva 'l cafelatt.

Vivian Lamarque, La gentilèssa: poesie in dialetto milanese, 1973-1975, Stampa editore 2009

Lètter lètter

Lètter lètter
chi vœur lègg i me lètter?
Vendi i me lètter gratis
chi vœur cumprai?
Abunament setimanal
riven de sabet
gh'è dumà de dervì i bust
de tirà fœura i fœuj e lègg
(ma se pó anca saltà 'n tòcch)
insoma 'na roba svelta
se lègg se strascia fine
basta pocch a cuntentàm.

Vivian Lamarque, La gentilèssa: poesie in dialetto milanese, 1973-1975, Stampa editore 2009

Gajna malada

Da quel dì
che te m'è scritt inscì
m'è capità 'n quaicoss
me interèssa pù nient
l'è minga giust se fa no inscì
ma me interèssa pù nient e alura

alura me mètti in d'un cantun
come 'na gajna malada
la córt 'l pollé i alter gajnn
vedi tuscoss ma m'interèssa nient
l'acqua fresca de bev
i granitt giald de mangià
nient, col crapin sotta l'ala che bèl scur
che bèl caldin ch'el fa
par de vèss un poresin denter la mama
che bèl sentì i rumur luntan luntan
col crapin sotta l'ala l'è minga giust
ma che bèl caldin ch'el fa.

Vivian Lamarque, La gentilèssa: poesie in dialetto milanese, 1973-1975, Stampa editore 2009

La lèttera

T'u tant pregà
de mandamm 'na lèttera
'na lèttera vera tutta per mi
con la sóa busta bianca e 'l bullìn culurà
con denter ben piegà el foeuj
in alt Milàn, la data
e sott la parola "cara"
cara e 'l me nom visìn

t'u tant pregà
e adèss, adèss che l'è rivada
bèlla bianca rettangulara
la finissi pù de lègg l'indirizz
'l me nomm, cugnomm
legi financa 'l bullìn con stampà 'l dì e l'ura
e osi no dervìla perché mi
quel che l'è denter scritt mi 'l su giamò
l'induvini e alura, alura l'è mei dervìla no
savè nient, lassà stà
e pœu l'è inscì bèlla 'sta busta
duprada da ti solament per mi
che l'è fin peccaa rumpìla
in alt o in bass strasciàla
che bèlla 'sta busta bianca
scritta da ti propi propi a mi.

Vivian Lamarque, La gentilèssa: poesie in dialetto milanese, 1973-1975, Stampa editore 2009

lunedì 8 marzo 2010

Come sarebbe se tutta la vita entrasse nella biografia

Quando il venerabile poeta Arany aveva compiuto ottant'anni, stando a quel che diceva Pataki, gli avevano chiesto come vedeva i momenti più alti della sua celebrata esistenza di poeta leggendario, rivoluzionario, profeta, eroe e vanto nazionale. "Qualche trombata in più non avrebbe guastato", era stata la risposta.

Tibor Fischer, Sotto il culo della rana in fondo a una miniera di carbone, traduzione di Anna Maria Biavasco e Valentina Guani, Piccola biblioteca Oscar Mondadori 2000

Famm fà un gir in bicicletta

Famm fà un gir in bicicletta
dài papà.
Sto ferma ferma
mœuvi no i gamb
mèti no i pé in di rœud
parli no
famm fà un gir in bicicletta
gh'oo ses an
pesi minga tant, papà.
Stoo quièta quièta
te preghi
famm vedè finalment
'l paes de muntagna indove sun nassuda
i cà de sass la scola la gesa
e pœu 'l prà te preghi
indové t'he amà la mama
che pœu sun rivada mi
e te set sparì ti.

Vivian Lamarque, La gentilèssa: poesie in dialetto milanese, 1973-1975, Stampa editore 2009

Da un'intervista riportata in appendice alla raccolta: "Non sono milanese, ma Milano è la mia città d'adozione (in senso letterale, i miei genitori adottivi abitavano lì). La sua lingua era nell'aria, l'ho respirata soprattutto negli anni Cinquanta, allora la parlavano in molti nelle strade, nei cortili, mi è entrata dentro quietamente, è stata lì ferma, buona buona, poi tra il 1972 e il 1975, anni in cui ho scritto il maggior numero di poesie, anni di forte disagio psichico (ma non voglio gareggiare con Alda Merini, vincerebbe lei!), si è mossa e, senza averle minimamente "programmate", una quarantina di poesie in dialetto si sono infilate tra le altre centinaia, in questa raccolta ho cercato di scegliere tra le meno acerbe. Negli anni successivi non si sono più fatte vive, non ne ho scritte più".

Provo a darne una versione in triestino, nonostante la triste perdita dell'inversione milanese delle negative, per vedere l'effetto che fa.

Fame far un giro in bici
dai papà.
Stago ferma ferma
no' movo le gambe
no' meto i pie nele riode
no' parlo
fame far un giro in bici
go sei ani
no' peso miga tanto, papà.
Stago bona bona
te prego
fame veder finalmente
el paese de montagna dove son nata
le case de piera la scola la cesa
e dopo el prà te prego
dove te ga amà mama
che dopo son rivada mi
e te son sparido ti.