Queste saremmo noi, se avessimo una foto che ci ritrae assieme, ma la foto non esiste, perché lei fotografa me, oltre ad altre cose, mentre io fotografo sempre meno e comunque, di preferenza, cartelli.
Lei sarebbe la bionda, con le gambe lunghe, io quella con il ciuffo bianco alla Aldo Moro, cui devo ricorrere non solo per riferimenti appresi per meri motivi d'anagrafe, ma soprattutto perché nessuno, a parte gli Stefani, conosce il ciuffo che mi viene da mia madre e, come avranno già capito i lettori più scaltri, con le gambe non altrettanto lunghe, nonostante non avessi l'intenzione di usare un eufemismo, ma ormai è fatta e non ho voglia di tornare indietro, cancellare e trovare l'espressione realistica appropriata, ché mi aspetta l'ultimo capitolo di LTI di Klemperer e non vorrei farlo aspettare troppo.
Lei sarebbe quella che usa il corpo per muoversi verso nuove mete, forare il vento - capacità da non sottovalutare, in quanto appresa nel paesaggio triestino, dove il vento può farsi muro -, arrivare in tempo a prendere l'aereo pur partendo tardi perché il tempo passato al gate sarebbe tempo perso, mentre io quella che se lo porta visibilmente dietro perché non saprebbe dove lasciarlo, quando si sposta, naturalmente con un generoso anticipo, se da sola, generoso perché regala sempre tempi supplementari per la lettura, cancellando la nozione di attesa. In una foto che ci cogliesse uscire dal portone di casa, presa verosimilmente da Maria, la portinaia portoghese, usciremmo ad un orario intermedio tra il mio ed il suo, come si capirebbe chiaramente dal fatto che non correremmo, né io mi fermerei a leggere l'avviso dell'EDF sul portone, che pure sarebbe ben visibile, sullo sfondo, ché Maria è precisa e ha la mano ferma. Il tacco alto che si vedrebbe in basso a
destra, sotto il mio piede, sarebbe di una passante: si tratterebbe
di un banale scherzo prospettico, non voluto da Maria.
Più in generale, lei sarebbe quella con gli occhiali da sole sui capelli, evidentemente fotofobici, io da vista, sul naso, a stampigliarvi una striscia bianca dietro il ponte, quando il sole è abbastanza forte da abbronzarmi.
Lei sarebbe quella con la sciarpa, io anche.
Lei sarebbe quella senza borsetta, ché è un oggetto inutile, a parte la mia.
Lei sarebbe quella pettinata, in ogni circostanza meteorologica fissata dalla foto, se ci fosse. Lei, ripeto.
Lei sarebbe quella che distrae lo sguardo per usare l'app che non è ancora uscita, io quella con lo sguardo interrogativo di chi, usando la semplice funzione telefonica, ormai abbastanza accessoria e teoricamente non troppo complicata, per parlare con la propria madre, nota una prima coincidenza nel vedere lei che risponde dopo il primo squillo e una seconda nel sentire la voce di lei, e non quella materna - due coincidenze, non una selezione di un numero sbagliato.
Lei sarebbe quella che riesce a fare un trasloco in bicicletta; non sarebbero degli oggetti fotomontati, quelli che vedeste nel suo cestino, mentre io sarei quella che arranca dietro, piccola piccola, quasi presa per sbaglio nel quadro della foto.
Lei sarebbe quella che si ritrae un po' trovando il coraggio necessario per affrontare lo scatto della macchina fotografica con un movimento delle spalle verso il ritrattista e/o socchiudendo gli occhi, io quella che trova più efficace, come rimedio, frapporre tra la macchina ed il proprio volto le mani, che lei trova belle, per inciso di vanagloria.
Lei sarebbe quella che, se la foto, oltre ad esistere, parlasse, avrebbe un
bellissimo accento austro-ungarico, discorrendo in tedesco, ereditato dalla nonna, e con qualche
lieve sfumatura milanese, nella pronuncia italiana, che non si spingerebbe tuttavia ad appropriarsi di
aperture vocaliche paragonabili alla sottil[ɛ]tta. A me non va di parlare
del mio accento, non solo perché se la foto parlasse sarebbe un video, ma anche perché ci pensano già i francesi, durante quasi ogni
primo incontro, a farlo. E, nell'ipotesi detta, sarebbero le sue, le scarpe che scricchiolano, sia chiaro.
E credo che si vedrebbe, comunque, davanti al portone di casa o in qualsiasi altro luogo, che ci amiamo.
E sì, Klemperer, scusa, arrivo.