sabato 28 dicembre 2013

Un trasloco

9.2.1973
Das Bewusstsein, dass ich noch drei oder vier Jahre habe, brauchbare Jahre; aber es wird kein Alltagsbewusstsein, daher immer wieder Erschrecken. Vorallem beim Erwachen. Darüber ist mit niemand zu sprechen.
Warten auf Handwerker, ich kann nicht einmal lesen, gehe in der leeren Wohnung auf und ab, Hall der Schritte; Musik aus dem Transistor, dazwischen Sprache der DDR. Ich bin froh.

La consapevolezza di avere ancora tre o quattro anni, anni utilizzabili, intendo; ma non sarà una percezione quotidiana, da cui un continuo spavento. Specie al risveglio. Meglio non parlarne con nessuno.
Attesa del tecnico, non riesco neanche a leggere, vado su e giù per l'appartamento vuoto, eco dei passi; musica dalla radio, in mezzo lingua della DDR. Sono felice.

NZZ

mercoledì 18 dicembre 2013

L'italiano

Великолепен стихотворный голод итальянских стариков, их зверский юношеский аппетит к гармонии, их чувственное вожделение к рифме — il disio!

Уста работают, улыбка движет стих, умно и весело алеют губы, язык доверчиво прижимается к нёбу.

Внутренний образ стиха неразлучим с бесчисленной сменой выражений, мелькающих на лице говорящего и волнующегося сказителя.

Искусство речи именно искажает наше лицо, взрывает его покой, нарушает его маску…
Когда я начал учиться итальянскому языку и чуть-чуть познакомился с его фонетикой и просодией, я вдруг понял, что центр тяжести речевой работы переместился: ближе к губам, к наружным устам. Кончик языка внезапно оказался в почете. Звук ринулся к затвору зубов. Еще что меня поразило — это инфантильность итальянской фонетики, ее прекрасная детскость, близость к младенческому лепету, какой-то извечный дадаизм.

Осип Мандельштам, Разговор о Данте



Друг Ариоста, друг Петрарки, Тасса друг --
Язык бессмысленный, язык солено-сладкий.
И звуков стакнутых прелестные двойчатки --
Боюсь раскрыть ножом двустворчатый жемчуг.

Май 1933 - август 1935



È magnifica la fame di versificazione dell’italiano antico, il suo appetito animalesco, da adolescente, per l’armonia, il suo desidero sensuale di rima: il disio!

La bocca lavora, il sorriso muove il verso, le labbra rosseggiano, intelligenti e allegre, la lingua si stringe fiduciosa al palato.

Non è possibile scindere l’immagine interiore del verso dall’infinita varietà di espressioni che guizzano sul viso del narratore mentre questi parla e si emoziona.

È l’arte del parlare che altera il nostro viso e ne sconvolge la quiete rompendo la maschera.
Avevo da poco cominciato a studiare la lingua italiana e ne conoscevo appena la fonetica e la prosodia, quando capii di colpo che in essa il baricentro dell’attività fonica è più vicino alle labbra, si sposta verso l’esterno della bocca. La punta della lingua assurge a improvviso onore; il suono si precipita verso la barriera dei denti. Un’altra cosa mi colpì: la puerilità della fonetica italiana, il suo bellissimo infantilismo, l’affinità con un melodico balbettio, con un dadaismo originario.

Osip Mandel'štam, Discorso su Dante, in Sulla poesia, traduzione di Maria Olsoufieva, Milano, Bompiani 2003


Amica di Ariosto, amica di Petrarca, di Tasso amica
Lingua assurda, lingua dolce-salata.
E fatta di meravigliose bivalve fonetiche, in cui suono echeggia suono
Non vorrei mai introdurre il coltello tra le valve di un'ostrica.

Maggio 1933 - agosto 1935

lunedì 16 dicembre 2013

no tu scjampe pì


Andrèes

Quatre cjases in crous
Se no tu fai ad ora a scjampâ
uchì tu devente vecje e tu mour
Un po' de prâtz
dos tre montz
se no tu scjampe
no tu scjampe pì
tu devente Andrèes



Andreis

Quattro case in croce
Se non fuggi in tempo
qui diventi vecchio e muori
Un po' di prato
due tre montagne
se non fuggi
non fuggi più
diventi Andreis.

mercoledì 11 dicembre 2013

Schönstes Bad, weil man sich selbständig einrichten konnte/Bellissimo bagno, perché ci si è potuti organizzare da soli

Wir badeten in den Waldbächen - denn Kafka und ich lebten damals des seltsamen Glaubens, daß man von einer Landschaft nicht Besitz ergriffen habe, solange nicht durch Baden in ihren lebendig strömenden Gewässern die Verbindung geradezu physisch vollzogen worden sei. So haben wir später auch die Schweiz durchzogen, indem wir in jedem erreichbaren Seengebiet unsere Schwimmkünste übten.

Max Brod


Facevamo il bagno nei torrenti dei boschi, perché Kafka ed io vivevamo allora nella curiosa convinzione che non si potesse possedere un paesaggio finché non si fosse stabilita l'unione fisica diretta attraverso un bagno nel flusso vitale delle sue acque. Così abbiamo esplorato dopo anche la Svizzera, in cui abbiamo esercitato le nostre arti natatorie in ogni specchio d'acqua a nostra portata.

martedì 10 dicembre 2013

Nuvole

(Non sono solo nuvole le nuvole
che nuvola più nuvola più nuvola
fanno disfanno nel cielo figure
di maghi di draghi o serpi o sirene
ma sillaba più sillaba con cura
staccano voci musiche serene
queste che fra parentesi ho posate
sulla prora di nuvole d’estate)

Pierluigi Cappello, Assetto di volo, Crocetti 2006

Parole povere

Uno in piedi, conta gli spiccioli sul palmo
l'altro mette il portafoglio nero
nella tasca di dietro dei pantaloni da lavoro.

Una sarchia la terra magra di un orto in salita
la vestaglia a fiori tenui
la sottoveste che si vede quando si piega.

Uno impugna la motosega
e sa di segatura e stelle.

Uno rompe l'aria con il suo grido
perché un tronco gli ha schiacciato il braccio
ha fatto crack come un grosso ramo quando si è spezzato
e io c'ero, ero piccolino.

Uno cade dalla bicicletta legata
e quando si alza ha la manica della giacca strappata
e prova a rincorrerci.

Uno manda via i bambini e le cornacchie
con il fucile caricato a sale.

Uno pieno di muscoli e macchie sulla canottiera
Isolina portami un caffé, dice.

Uno bussa la mattina di Natale
con una scatola di scarpe sottobraccio
aprite, aprite. È arrivato lo zio, è arrivato
zitto zitto dalla Francia, dice, schiamazzando.

Una esce di casa coprendosi un occhio con il palmo
mentre con l'occhio scoperto piange.

Una ride e ha una grande finestra sui denti davanti
anche l'altra ride, ma non ha né finestre né denti davanti.

Una scrive su un involto da salumiere
sono stufa di stare nel mondo di qua, vado in quello di là.

Uno prepara un cartello
da mettere sulla sua catasta nel bosco
non toccarli fatica a farli, c'è scritto in vernice rossa.

Uno prepara una saponetta al tritolo
da mettere sotto la catasta e il cartello di prima
ma io non l'ho visto.

Una dà un calcio a un gatto
e perde la pantofola nel farlo.

Una perde la testa quando viene la sera
dopo una bottiglia di Vov.

Una ha la gobba grande
e trova sempre le monete per strada.

Uno è stato trovato
una notte freddissima d'inverno
le scarpe nella neve
i disegni della neve sul suo petto.

Uno dice qui la notte viene con le montagne all'improvviso
ma d'inverno è bello quando si confondono
l'alto con il basso, il bianco con il blu.

Uno con parole proprie
mette su lì per lì uno sciopero destinato alla disfatta
voi dicete sempre di livorare
ma non dicete mai di venir a tirar paga
ingegnere, ha detto. Ed è già
il ricordo di un ricordare.

Uno legge Topolino
gli piacciono i film di Tarzan e Stanlio e Ollio
e si è fatto in casa una canoa troppo grande
che non passa per la porta.

Uno l'ho ricordato adesso adesso
in questo fioco di luce premuta dal buio
ma non ricordo che faccia abbia.

Uno mi dice a questo punto bisogna mettere
la parola amen
perché questa sarebbe una preghiera, come l'hai fatta tu.

E io dico che mi piace la parola amen
perché sa di preghiera e di pioggia dentro la terra
e di pietà dentro il silenzio
ma io non la metterei la parola amen
perché non ho nessuna pietà di voi
perché ho soltanto i miei occhi nei vostri
e l'allegria dei vinti e una tristezza grande.

Pierluigi Cappello, Mandate a dire all'Imperatore, Crocetti 2010

sabato 30 novembre 2013

Tre storie

Link n. 1, link n. 2

Non ho ancora avuto il coraggio di leggerlo, davvero. Nel mio caso, l'autore mi autorizzerebbe a farlo solo quando avrò compiuto 90 anni. Prima che finisse in rete, avrei potuto leggerlo nella biblioteca di Princeton, dopo aver compilato due formulari, in una stanzetta, sorvegliata da addetti della biblioteca. Dopo aver sottoscritto, immagino, di aver compreso ed accettato il divieto di fotocopiare, fotografare o anche solo prendere appunti.

J.D., non lo so se vivrò tanto a lungo da poter rispettare le tue volontà, anche mettendoci tutta la mia, di volontà. Facciamo così: ora preparo due formulari pieni di caselle, li compilo, li firmo e li controfirmo, mi assicuro che la macchina fotografica ed il telefono siano fuori dalla mia portata, tolgo dalla mia stanza tutte le penne e matite, chiudo la porta e le imposte, mi metto a letto e faccio finta che la luce del comodino mi sia puntata addosso dalla manona ferma di un bibliotecario di Princeton.

venerdì 29 novembre 2013

XIX

Ancora una volta
espongo un poeta.
Al solito, errando.
Aggiungo un errore:
di tutti i poeti,
espongo di nuovo,
il dì ventinove
novembre, un uomo,
un poeta d'aprile,
e pur di virgole
e versi andando.
F.

Lassaitmi cussì come
ch'o stoi cence rasons
cence vuadagn nì dam
dei vòi davierts ai fonts

rasonaments dal cîl
ch'al sta parcè che o stedi
fer cussì come ch'o stoi.
Lassaitmi achì ch'o sedi

la sissule plui scarte
ta l'aiarfuart di Avrîl,
il svoledon di cjarte

poiât tal vert dal prât,
la maravee dal frut
ch'al dîs ch'al à svolât.

Pierluigi Cappello,
Il me donzel, Boetti, Mondovì 1999


Lasciatemi così come
rimango senza ragioni,
senza guadagno né danno,
due occhi aperti ai fondi

ragionamenti del cielo
che sta perché io rimanga
fermo così come sto
Lasciatemi qui, che io sia

la scheggia più scadente
dentro l'ariaforte di aprile,
l'aeroplano di carta

posato nel verde del prato,
la meraviglia del bambino
che dice che ha volato.

giovedì 28 novembre 2013

en durmen sus un chivau

Farai un vers de dreit nien,
Non er de mi ni d'autra gen,
Non er d'amor ni de joven,
Ni de ren au,
Qu'enans fo trobatz en durmen
Sus un chivau.

Guillaume IX de Poitiers,



Farò una poesia di puro niente,
non parlerà né di me né di altra gente,
non sarà né d'amore né di gioventù
né di nient'altro,
ché anzi fu scritta mentre dormivo
su un cavallo.

Guglielmo IX d'Aquitania

(cfr., volendo)

mercoledì 27 novembre 2013

déchu

un o qu'on met
devant l'u de
au-dessus de la loi

martedì 19 novembre 2013

Мне? Тридцать два. - Смех.

Ирина. Что вы молчите, Александр Игнатьич?
Вершинин. Не знаю. Чаю хочется. Полжизни за стакан чаю! С утра ничего не ел...
Чебутыкин. Ирина Сергеевна!
     Ирина. Что вам!
Чебутыкин. Пожалуйте сюда. Venez ici.

     Ирина идет и садится за стол.

     Я без вас не могу.

     Ирина раскладывает пасьянс.

     Вершинин. Что ж? Если не дают чаю, то давайте хоть пофилософствуем.
Тузенбах. Давайте. О чем?
     Вершинин. О чем? Давайте помечтаем... например, о той жизни, какая будет после нас, лет через двести
     - триста.
     Тузенбах. Что ж? После нас будут летать на воздушных шарах, изменятся пиджаки, откроют, быть может,
шестое чувство и разовьют его, но жизнь останется все та же, жизнь трудная, полная тайн и счастливая. И
через тысячу лет человек будет так же вздыхать: "ах, тяжко жить! " - и вместе с тем точно как же, как
теперь, он будет бояться и не хотеть смерти.
Вершинин (подумав). Как вам сказать? Мне кажется, все на земле должно измениться мало-помалу и уже
меняется на наших глазах. Через двести - триста, наконец, тысячу лет, - дело не в сроке, - настанет новая,
счастливая жизнь. Участвовать в этой жизни мы не будем, конечно, но мы для нее живем теперь, работаем, ну,
страдаем, мы творим ее - и в этом одном цель нашего бытия и, если хотите, наше счастье.

     Маша тихо смеется.

     Тузенбах. Что вы?
Маша. Не знаю. Сегодня весь день смеюсь с утра.
Вершинин. Я кончил там же, где и вы, в академии я не был; читаю я много, но выбирать книг не умею и
читаю, быть может, совсем не то, что нужно, а между тем, чем больше живу, тем больше хочу знать. Мои
волосы седеют, я почти старик уже, но знаю мало, ах, как мало! Но все же, мне кажется, самое главное и
настоящее я знаю, крепко знаю. И как бы мне хотелось доказать вам, что счастья нет, не должно быть и не
будет для нас... Мы должны только работать и работать, а счастье - это удел наших далеких потомков.

     Пауза.

     Не я, то хоть потомки потомков моих.

     Федотик и Родэ показываются в зале; они садятся и напевают тихо, наигрывая на гитаре.

     Тузенбах. По-вашему, даже не мечтать о счастье! Но если я счастлив!
Вершинин. Нет.
     Тузенбах (всплеснув руками и смеясь). Очевидно, мы не понимаем друг друга. Ну, как мне убедить вас?

     Маша тихо смеется.

     (Показывая ей палец.) Смейтесь! (Вершинину.) Не то что через двести или триста, но и через миллион лет
жизнь останется такою же, как и была; она не меняется, остается постоянною, следуя своим собственным
законам, до которых вам нет дела или, по крайней мере, которых вы никогда не узнаете. Перелетные птицы,
журавли, например, летят и летят, и какие бы мысли, высокие или малые, ни бродили в их головах, все же
будут лететь и не знать, зачем и куда. Они летят и будут лететь, какие бы философы ни завелись среди них;
и пускай философствуют, как хотят, лишь бы летели...

     Маша. Все-таки смысл?
Тузенбах. Смысль... Вот снег идет. Какой смысл?

     Пауза.

     Маша. Мне кажется, человек должен быть верующим или должен искать веры, иначе жизнь его пуста,
пуста... Жить и не знать, для чего журавли летят, для чего дети родятся, для чего звезды на небе... Или
знать, для чего живешь, или же все пустяки, трын-трава.

     Пауза.

     Вершинин. Все-таки жалко, что молодость прошла...
Маша. У Гоголя сказано: скучно жить на этом свете, господа!
Тузенбах. А я скажу: трудно с вами спорить, господа! Ну вас совсем...
Чебутыкин (читая газету). Бальзак венчался в Бердичеве.

     Ирина напевает тихо.

     Даже запишу себе это в книжку. (Записывает.) Бальзак венчался в Бердичеве. (Читает газету.)

     Ирина (раскладывает пасьянс, задумчиво). Бальзак венчался в Бердичеве.
Тузенбах. Жребий брошен. Вы знаете, Мария Сергеевна, я подаю в отставку.
Маша. Слышала. И ничего я не вижу в этом хорошего. Не люблю я штатских.
Тузенбах. Все равно... (Встает.) Я не красив, какой я военный? Ну, да все равно, впрочем... Буду
работать. Хоть один день в моей жизни поработать так, чтобы прийти вечером домой, в утомлении повалиться в
постель и уснуть тотчас же. (Уходя в залу.) Рабочие, должно быть, спят крепко!
Федотик (Ирине). Сейчас на Московской у Пыжикова купил для вас цветных карандашей. И вот этот
ножичек...
     Ирина. Вы привыкли обращаться со мной, как с маленькой, но ведь я уже выросла... (Берет карандаши и
ножичек, радостно.) Какая прелесть!
     Федотик. А для себя я купил ножик... вот поглядите... нож, еще другой нож, третий, это в ушах
ковырять, это ножнички, это ногти чистить...
Родэ (громко). Доктор, сколько вам лет?
     Чебутыкин. Мне? Тридцать два.

     Смех.

Антон Чехов, Три сестры, 1901



Irina: Perché ve ne state zitto, Aleksandr Ignat’ič?
Veršinin: Non so. Vorrei del tè. Metà della mia vita per un bicchiere di tè. Non tocco cibo da questa mattina…
Čebutykin: Irina Sergeevna!
Irina: Comandi.
Čebutykin: Venite qua. Venez ici.

Irina va alla tavola e si siede.

Non riesco a stare senza di voi.

Irina dispone un solitario.

Veršinin: Ebbene, se non ci portano il tè, ci lascino almeno filosofare un po’.
Tuzenbach: Suvvia. Da che cosa cominciamo?
Veršinin: Da che cosa? Sogniamo un po’... per esempio, quella vita che ci sarà dopo di noi, fra due, trecento anni.
Tuzenbach: Ah, dopo di noi voleranno in pallone aerostatico, cambieranno le giacche, scopriranno probabilmente un sesto senso e lo svilupperanno chissà come, ma la vita resterà tale e quale, dura, piena di misteri e felice. E fra mille anni l’uomo sospirerà proprio come oggi: “Ah, che pena vivere!”, e poi, proprio come adesso, avrà paura e rifiuterà la morte.
Veršinin: [pensieroso] Che vi posso dire? A me pare che su questa terra tutto dovrà cambiare, a poco a poco, anzi stia già cambiando, sotto i nostri occhi. Fra due, trecento, mille anni, non è questione di tempo, comincerà una vita nuova, felice. Noi non la vedremo questa vita, ma oggi viviamo per lei, lavoriamo, soffriamo, la creiamo, e solo in questo sta la ragione del nostro essere, se volete, della nostra felicità.

Maša ride sottovoce.

Tuzenbach: Che c’è da ridere?
Maša: Non so. È da questa mattina che rido.
Veršinin: Io ho fatto la stessa vostra scuola, all’accademia non ci sono andato; leggo molto sì, ma di scegliere i libri non sono capace e leggo, probabilmente, ciò che non dovrei. Comunque più vivo, più mi viene voglia di sapere. I capelli imbiancano, sono quasi vecchio, ma so molto poco, molto poco! Comunque l’essenziale mi sembra di averlo imparato e di conoscerlo come si deve. Ah, quanto mi piacerebbe riuscire a dimostrarvi che la felicità non esiste, non deve esistere e non esisterà per noi… Noi dobbiamo soltanto lavorare e ancora lavorare, mentre la felicità toccherà ai nostri nipoti, ai nostri lontani nipoti.

Pausa.

Ai nipoti dei miei nipoti.

Fedotik e Rode compaiono nel salone; prendono posto e canterellano sottovoce accompagnandosi con la chitarra.

Tuzenbach: Secondo voi neanche sognarla si potrebbe, la felicità! Ma se io sono così felice!
Veršinin: No.
Tuzenbach: [con un gesto di meraviglia e ridendo] È chiaro che non ci capiamo. Come posso fare per convincervi?

Maša ride sottovoce.

[Mostrandole il dito]. Ridete, ridete! [A Veršinin]. Non tra due o trecento anni, ma fra un milione di anni la vita resterà tale e quale; la vita non cambia, rimane eterna, seguendo le proprie leggi, contro le quali voi nulla potrete, o per lo meno che mai arriverete a conoscere. Gli uccelli migratori, le gru, per esempio, volano e volano, e indipendentemente da quali pensieri, sublimi o meschini, attraversino le loro menti, continueranno a volare senza sapere perché e dove. Volano e voleranno, per quanti filosofi si possano trovare fra di loro; e che filosofeggino pure, come vogliono, purché continuino a volare...
Maša: E il senso dove sta?
Tuzenbach: Il senso… Poniamo: nevica. Il senso dove sta?

Pausa.

Maša: L’uomo, io credo, deve essere credente o cercare una fede, altrimenti la vita è vuota, vuota… Vivere e non sapere perché volano le gru, perché nascono i bambini, perché ci sono le stelle in cielo… O sapere perché siamo al mondo, o altrimenti è tutto una sciocchezza, un’idiozia. 

Pausa.

Veršinin: Peccato però che la giovinezza se ne sia andata…
Maša: Gogol' dice: che noia la vita in questo mondo, signori!
Tuzenbach: E io dico: è difficile discutere con voi, signori! Io proprio di voi…
Čebutykin: [leggendo il giornale] Balzac si è sposato a Berdičev.

Irina canterella sottovoce.

Me lo scrivo addirittura sul taccuino. [Prende nota]. Balzac si è sposato a Berdičev. [Legge il giornale].

Irina: [dispone un solitario] Balzac si è sposato a Berdičev.
Tuzenbach: Il dado è tratto. Sapete, Marija Sergeevna, che ho dato le dimissioni?
Maša: L’ho sentito dire. E non ci trovo niente di buono. Non mi piacciono i borghesi.
Tuzenbach: Non fa nulla… [Si alza]. Io non son bello, che militare sarei? E poi è lo stesso… Lavorerò. Almeno una giornata di lavoro nella mia vita, per arrivare a casa la sera e buttarmi a letto stravolto e addormentarmi di colpo. [Andando verso il salone]. Gli operai, bisogna credere, dormiranno sodo!
Fedotik: [a Irina] Da Pyžikov, in via Moskovskaja, ho appena comprato per voi due pastelli colorati. E questo temperino…
Irina: Continuate a trattarmi come una bambina, ma sono grande ormai… [Prende i pastelli e il temperino, felice]. Che bellezza!
Fedotik: Anche per me ho comprato un temperino… guardate… una lama, un’altra lama, una terza, questo è per pulire le orecchie, queste sono forbicine, e questo per le unghie…
Rode: [ad alta voce] Dottore, quanti anni avete?
Čebutykin: Io? Trentadue.

Risate.

Anton Čechov, Tre sorelle, Atto II, in Teatro, traduzione di Gian Piero Piretto, Garzanti, 2003.

domenica 10 novembre 2013

не сделав за свою жизнь ни одного чуда

Теперь мне хочется спать, но я спать не буду. Я возьму бумагу и перо и буду писать. Я чувствую в себе страшную силу. Я все обдумал еще вчера. Это будет рассказ о чудотворце, который живет в наше время и не творит чудес. Он знает, что он чудотворец и может сотворить любое чудо, но он этого не делает. Его выселяют из квартиры, он знает, что стоит ему только махнуть платком, и квартира останется за ним, но он не делает этого, он покорно съезжает с квартиры и живет за городом в сарае. Он может этот сарай превратить в прекрасный кирпичный дом, но он не делает этого, он продолжает жить в сарае и в конце концов умирает, не сделав за свою жизнь ни одного чуда.

Даниил Хармс, Старуха, 1939


 
Willem Dafoe e Michail Baryšnikov in The old woman di Robert Wilson

Ora vorrei dormire, ma non dormirò. Prendo un foglio ed una penna e mi metto a scrivere. Sento dentro di me un potere terribile. Ci ho pensato e ripensato ieri. Sarà una storia di un taumaturgo che vive ai nostri tempi e che non compie alcun miracolo. Sa di essere un taumaturgo e di poter compiere qualsiasi miracolo, ma non lo fa. Viene sfrattato dal suo appartamento e sa che che gli basta muovere un dito, per mantenere l'appartamento, ma non lo fa; accetta arrendevolmente di lasciare l'appartamento e va a vivere fuori città in una baracca. Sarebbe in grado di trasformare questa baracca in una meravigliosa casa di mattoni, ma non lo fa; continua a vivere nella baracca e alla fine muore, senza aver compiuto un solo miracolo in tutta la sua vita. 

Daniil Charms, La vecchia, 1939

domenica 3 novembre 2013

Grand progrès

Le prophète de notre âge, Fourier, avait prédit qu'un jour, au lieu de se rencontrer dans des batailles ou des conciles œcuméniques, les portions rivales de l'humanité se disputeraient l'excellence dans la confection des petits gâteaux. Sans doute ce grand progrès n'est pas encore pleinement accompli. 

Ernest Renan, Essais de morale et de critique, Calmann Lévy Éditeurs, Paris 1889



Il profeta della nostra era, Fourier, aveva predetto che un giorno, al posto di incontrarsi in battaglia o nei concilii ecumenici, le parti rivali dell'umanità si sarebbero contese il primato nella confezione di dolcetti. Senza dubbio questo grande progresso non è ancora pienamente compiuto.

Se non l'avete già fatto

Leggete Questa libertà di Pierluigi Cappello, edito da Rizzoli. È il suo primo romanzo (e il mio primo invito del genere). Se non ne scriverà altri, bisognerà ingegnarsi collettivamente per fare in modo che la voglia di scrivere romanzi - e non solo poesie - non lo abbandoni più.

venerdì 1 novembre 2013

Picio muleto biondo ovvero l'europeo


dice un verso di Giotti. Piccolo bambino biondo, sarebbe, chiaro. Ma piccolo bambino biondo puzza di Gozzano. Giotti scomparirebbe, in una trasposizione in italiano. Per capire il senso della versione originale in dialetto non ci vuole molto, per chi non sia triestino, basta aver sentito dire almeno una volta che a Trieste le ragazze ed i ragazzi sono mule e muli, per quanto strano possa sembrare, immagino, almeno la prima volta e forse anche la seconda e la terza. Immagino, perché io picia sono nata e picia muleta sono diventata nel giro di qualche anno e altri muleti ne ho visti per un bel po' di tempo, nella prima parte della mia vita. Quello che non si recupera, credo, è l'effetto del verso in un orecchio madrelingua, per così dire, che lo percepisce senza filtri, ausilii o trasposizioni, in modo immediato, per quello che è, l'esemplare più classico ed indifeso del mondo dell'infanzia, solo, isolato da tutto il resto, che è a misura di adulto:

picio muleto biondo.

Ogni alterazione del verso lo avvicinerebbe, forse, alle orecchie del lettore di altri luoghi, ma lo allontanerebbe da Giotti e dalla normalità delle sue parole, che non conoscono alcuna sdolcinatura o il minimo vezzeggiamento.
Considerando il procedimento inverso, di una parola nata all'estero e trasposta in dialetto, Zanzotto avverte la necessità di tradurre Knabe in nevodet o per farlo proprio, per sentirlo meglio, con tutte le sue corde, e non solo con quelle di Hölderlin, o per un desiderio di dimostrare che lui lo sente davvero, il verso tedesco, oltre che per evitare, con un eventuale ricorso a nipotino, ancora una volta, quel povero paria della lingua italiana che è diventato, anzi, che è sempre stato, Gozzano.
Non è la solita, trita questione della possibilità o meno di tradurre, o dei limiti delle traduzioni, su cui sto cercando di ragionare, tuttavia. Sto cercando, piuttosto, di pensare al potere della parola, ed in particolare al modo in cui si considera l'altro, al modo in cui lo si fa a seconda della familiarità o della estraneità del linguaggio usato per definirlo, l'altro, e alle conseguenze dell'uso di un linguaggio familiare o estraneo. Mi sembra che un 

picio muleto biondo,

lasciato nel suo verso originale, possa suscitare umana attenzione, sensibilità ed anche immediato affetto, solo in chi percepisce il picio muleto biondo come un picio muleto biondo. Negli altri, può e potrebbe restare sempre solo un essere esotico, con cui si ha ben poco da condividere, a parte, probabilmente, la curiosità di osservarlo da lontano, oltre il vetro di una finestra o - visti i tempi - di uno schermo. Così come resta in fondo familiare nel senso, ma estraneo nel segno, Knabe nelle orecchie di Zanzotto, pur ammiratore di Hölderlin, che invocava come fosse un santo, durante la resistenza, perché potesse ispirare versi alla sua mano tremante.
Per esempio, mi chiedo: se un italiano che conosca anche pochissimo o quasi per nulla il francese sente la parola homme, cosa avverte? Io credo che capisca senza difficoltà che homme è uomo (lo capirebbe anche mia nonna, di parlata veneta, che in effetti chiama uomo allo stesso modo, solo scritto diversamente: óm), ma credo anche che ci sia la possibilità, non remota, che possa percepire homme avvolto da un'aura laicamente sacralizzata, se gli è capitato di sentire parlare più di qualche volta della déclaration universelle des droits de l'homme. Un homme che resta astratto, idealizzato, non un uomo concreto.
E una femme? Non evoca intrecci amorosi, tradimenti e il fascino che una donna, invece, senza aggettivi o in assenza di immagini concrete non riesce necessariamente a suscitare nell'immediato? Mi sbaglio?
E un uomo su un monopattino, che reazioni o visioni genera, rispetto ad un homme sur une trottinette? Non appare una venatura inevitabilmente ridicola, nel secondo caso, in un italiano? Non ricevono forme e gradi di attenzione e considerazione diverse, queste due persone, in linea di principio identiche, ma, nella realtà della lingua e delle sue varianti, diverse? Mi sbaglio anche qui?
E un sans-papiers? Non sembra altro da un emigrante - prendiamo - uzbeko? Non sembra provenire da un mondo diverso da quello dei paesi degli emigranti che arrivano in Italia? E un emigrante non è forse diverso da un migrante o da un immigrato, anche se ogni emigrante, prima di diventare - se ha fortuna - immigrato, passa sempre per una temporanea condizione di migrante, anche se, insomma, è pur sempre la stessa persona? E non sarebbe motore di una politica dell'immigrazione diversa, in Europa, un'opinione pubblica che cominciasse a leggere e a sentire parlare quotidianamente di uomini in cerca di lavoro e non di extracomunitari o di clandestini? E perché è diventato un dogma, il fatto che in mancanza di passaporto un uomo non sia più un uomo, ma un irregolare?
Negli ultimi tempi Marine Le Pen si dedica al linguaggio apertamente e con insistenza, raccomandando ai giornalisti di non chiamare il Front National un partito di estrema destra, al punto da sottoporre coloro che non si attengano alle sue raccomandazioni alla minaccia di azioni legali. Vorrebbe veder riconosciuto anche nel linguaggio ufficiale il raggiungimento dell'obiettivo - maldestro, non riuscito, in linea di principio, ma di fatto già pagante, in termini di bacino elettorale in continua espansione - che si è data da tempo, cioè quello di dédiaboliser il partito; di sdoganarlo, direbbero gli italiani, che da buoni cattolici non credono al diavolo, ma che diabolici debbono considerare le dogane, i dazi e, in senso lato, lo stato e le imposte.
Ci tiene anche Hollande, alle parole. Quando era partito lancia in resta, nel corso di una delle fasi più acute della crisi siriana (più acute all'estero, ché in Siria va da schifo da un bel po'), prima di trovare davanti a sé il muro del Parlamento inglese e pure quello del Congresso statunitense, aveva dichiarato che la Francia si sarebbe assunta le responsabilità militari e che se le sarebbe assunte in modo semantico. Ci teneva ad esprimere, credo, il fatto che l'Eliseo non avrebbe tentennato, nella sua azione in risposta all'uso di armi chimiche in Siria. Cosa che poi, in realtà, ha fatto. Aveva inconsciamente confessato tutta la sua indecisione, con quel suo de façon sémantique.
Quando Silvio Berlusconi avverte la necessità di chiamare i suoi avversari politici o i magistrati "comunisti", ne marca la diversità da sé, cerca di identificarli come esponenti politici e funzionari ideologizzati, intrinsecamente illiberali ed antidemocratici, incapaci di dialogare e di garantire una giustizia giusta, in una parola pericolosi, perché è al pericolo rosso, che si richiama, in un paese conservatore come l'Italia. Da qui la facilità e la spavalderia - impunita, priva di conseguenze - con cui è riuscito a designare come coglioni gli elettori dei partiti di sinistra. Perché sa che il serbatoio elettorale della destra, in Italia, ha delle potenzialità enormi: dei coglioni di sinistra non ha mai avuto bisogno, come non ha mai saputo che farsene, del dialogo con l'opposizione, una volta assunto il potere. È, Berlusconi, uno che è bastato e basta a se stesso. La cultura del confronto democratico, all'interno del suo partito e nell'ambito del rapporto con gli altri partiti o le istituzioni o, più in generale, con la società, gli è estranea, ma ha pur sempre bisogno vitale di giustificare il suo rifiuto delle regole di base democratiche, interne ed esterne ai partiti e alle istituzioni, e la voglia di stravolgerle in favore dei propri interessi, addossando all'altro, e non a sé, la responsabilità intera del mancato confronto. Da qui, la necessità di trovare un nome per escludere l'altro dal proprio mondo: questa esclusione, lui, l'ha trovata nella parola comunista. Non è diverso dal modo in cui molti statunitensi considerano gli stati europei: sono tutti socialist countries, ai loro occhi, con la notevole eccezione dell'Inghilterra. E nei socialists non si può riporre alcuna fiducia, sono rappresentanti di un mondo vecchio, antimoderno, che non merita alcun rispetto o considerazione e che non suscita alcuna curiosità, salvo, al più, quella che può emanare da un luogo decadente, ma condannato a scomparire. È difficile trasmettere ad uno statunitense che mi dica che vivo in un socialist country la mia mentale risposta italiana: magari! Così come è difficile spiegare ad un francese o ad un tedesco chi siano mai i comunisti in Italia, il primo pensando all'Italia come ad un paese prima di tutto cattolico, ed in seconda battuta disonesto e furbeggiante (dicono imbroglio tale e quale, i francesi, in francese), e il secondo sentendosi orfano di quel paese, privato di un luogo bello, uno dei più belli cui abbia mai potuto pensare, uno dei luoghi della sua anima, assieme alla Grecia.
Berlusconi, tuttavia, pur con tutte le cadute di stile, volgarizzazioni e castronerie, resta ancorato al tradizionale filone di chi usa il linguaggio per affermare la propria identità, non per sopprimere l'altro, ma solo per tenerlo a bada, possibilmente in minoranza, fino a renderlo incapace di intervenire nel percorso della storia del paese. A pensarci, sarebbe persino capace di trarne qualche beneficio economico, se potesse, dai comunisti, se riuscisse ad esempio a raccoglierli in un grande parco giochi, visitabile a pagamento, ovviamente, in un posto che ribattezzerebbe Milano 4 o, meglio, Sesto 2.
Beppe Grillo è altra cosa. Il salto operato dal metodo verbale di Grillo è di gran lunga peggiore, rispetto a quello di Berlusconi e fa male chi assimila Grillo a Berlusconi e non ne vuole vedere le differenze, che pur ci sono. Chi non è con Grillo puzza automaticamente di anziano, vecchio, se non di cadavere. Sono tutti morti, quelli che non stanno con lui. È la deligittimazione dell'altro più radicale che l'Italia abbia conosciuto negli ultimi anni, anche se non è un fenomeno nuovo. Durante il fascismo, era la giovinezza, che veniva esaltata: anche il quel caso, il fascismo era il nuovo, il resto era vecchiume, putrefazione. È strano come poi i simboli di morte e l'idea stessa della bella morte abbiano finito per contraddistinguere il fascismo sempre di più, in un crescendo, fino alle sue fasi finali, quelle della repubblica di Salò, il trionfo del teschio. Una vendetta operata dalle parole offese in un ventennio di dittatura, anche di dittatura delle parole, probabilmente.
Tutto questo - e molto altro, al di là al linguaggio, che qui non sto considerando - non vuol dire affatto che Grillo sia fascista. Significa, però, che Grillo punta, come Berlusconi, ma ben peggio di Berlusconi, a non considerare come parte imprescindibile del sistema democratico chi non la pensa come lui. Fino a prova contraria, se si sommano gli anziani, i vecchi e i morti, questi formano sicuramente un gruppo molto più numeroso dei comunisti, nell'Italia di oggi. Non è detto che il linguaggio di Grillo debba essere per forza prodromico di un regime, se mai dovesse conquistare la maggioranza parlamentare, ad un certo punto - cosa di cui personalmente dubito, perché, in genere, chi si richiama alla purezza senza macchia si ritrova prima o poi a fare pulizia in casa, e a farla radicalmente, per dimostrare la serietà della dichiarata voglia di purezza, ostracizzando, espellendo, purificando tutto fino a ritrovarsi solo, ché tutti gli uomini, persino quelli del proprio partito o movimento, sono vita ma sono assieme anche portatori di morte, se ci vogliamo calare per un istante nel mondo verbale di Grillo. Però, se un regime si stabilisce, è per quell'anticamera di linguaggio di morte, che necessariamente il regime passa. Perchè il regime poi si stabilisca e si possa sviluppare, basta che il messaggio di morte, esplicito o implicito, figurato o meno, sia assimilato, integrato, si faccia linguaggio quotidiano di molte persone, come quando, a forza di insistere, strepitare e bastonare, l'invenzione della questione ebraica, la Judenfrage, è stata percepita ed accolta come una questione reale dalla popolazione tedesca e da quella austriaca, e non rigettata come il parto di un uomo disturbato.
Saprà resistere agli ennesimi affronti cui è ogni giorno sottoposta, la lingua italiana? E potrà passare, un eventuale rinnovamento democratico, per un politico come Renzi che, oltre a rottamare anche lui le persone come robe vecchie, quando si mette a scrivere, scrive così?
La riforma prioritaria di cui ha bisogno l'Italia non è la rottamazione di Renzi e tantomeno la democrazia diretta di Grillo, è quella del linguaggio. Viene prima di tutte le altre. Purtroppo, non si può attuare per decreto o per via legislativa o referendaria e non si può tentare che un po' alla volta, su tempi lunghi, investendo nella scuola, ampliando le fonti di informazione, aprendo e rendendo accessibili biblioteche, fisiche e virtuali, ascoltando i nonni, adottando, almeno nell'ambito familiare, le loro parole*, ampliando il vocabolario in qualsiasi modo, per acquisire una certa immunità o almeno resistenza a tutti i tentativi di introdurne uno scarso e monolitico, aprendo il paese al mondo e alle parole degli altri, prima di tutto al Mediterraneo, dialogando con i paesi del Maghreb, per cominciare, insegnando il numero più ampio possibile di lingue straniere ai bambini (fin da pici muleti), promuovendo, al contempo, l'adozione di una lingua unica - purchessia - in Europa, da affiancare a quella nazionale, se mai l'Europa vuole davvero avere un senso.

* Anche se l'indiscussa specialista della discliplina dell'andar a palpeta era la mia bisnonna, pare, quell'espressione è giunta, attraverso due generazioni intermedie, fino a me, che continuo a riprodurla, per quanto la eserciti con meno perizia, quando mi muovo per casa senza accendere la luce.
Una delle discipline in cui invece mia nonna è più versata è sempre stata quella di sgamare quelli della spedocina. È un'attività ancora fiorente, per chi ci si voglia cimentare, nonostante la DC sia morta da un pezzo. Alla spedocina, in passato, hanno appartenuto non pochi degli esponenti della classe politica italiana della mia generazione, come Renzi, Alfano e Francesco Russo, il relatore PD della Giunta del Regolamento del Senato.
Non ho idea, tra l'altro, dell'origine della parola spedocina. Esattamente come non ho idea da dove venga aver un fià de ere, altra espressione di mia nonna: una specie di eleganza discreta, senza fronzoli, pulita, di porsi nel mondo.

martedì 29 ottobre 2013

povere ma pulite

Мне уже по вкусу бедные, но опрятные стихи.
Mi piacciono le poesie povere, ma pulite.


Parché a tuti i ghe piasi,
ben ghe voi tuti ai fioi.
Xe che capimo noi,
che avanti el mondo,
chi che lo fa andar,
i xe lori.

Virgilio Giotti
Da Prima storia
Caprizzi, canzonete e storie, 1921-1928

Perché a tutti piacciono,
bene vogliono tutti ai bambini.
È che capiamo, noi,
che avanti, il mondo,
quelli che lo fanno andare,
sono loro.

*

Prima storia è una poesia triste, con solo pochi, ma decisi raggi di luce. La si può leggere integralmente solo se si è in una disposizione d'animo abbastanza forte e se si sa almeno che la Maddalena era un ospedale triestino per la cura delle malattie infettive, dove molti malati venivano tenuti in isolamento, Montebello è un quartiere triestino e il sìnter l'accalappiacani (dal tedesco Schinder: scorticatore, carnefice, aguzzino, dice il Doria, perché l'accalappiacani, nell'Ottocento, aveva licenza di scuoiare gli animali e di fare commercio della pelle), se, per qualsiasi motivo, non ci si accontenta di un'estrapolazione e se si preferisce una poesia povera ma pulita ad una prosa e ad una visione ricche, eppure ottuse, come quelle del ministro Montebourg, quello che ha contribuito a promuovere la creazione del "marchio Francia" avallando parole come dès que la France touche à quelque chose, elle le rend plus intelligent, plus inattendu, plus pointu et plus productif e che lo scorso 12 settembre ha lanciato la politica industriale francese con questo video, il cui contenuto imbarazzante e per niente pulito è probabilmente dovuto alla presenza di improvvide note italiane di fine stagione estiva e all'origine, tutta statunitense, delle prove più dure che la Francia ha dovuto superare:


E ora Prima storia, senza l'ausilio di Vivaldì o d'altro. Mi si perdonerà il décalage, spero, tra l'altisonanza e la povertà, tra la Francia dei socialisti Montebourg e Hollande e il piccolo, popolare e trascurabile quartiere di Montebello di Giotti. Del resto, è voluto.

Una dona xe morta
sola a la Madalena,
giòvine de compena
trenta ani; e quatro fioi la ga lassà.

Tre i li ga mandai via,
un qua un là pal mondo:
el più picio, nel fondo
ch'i stava, a Montebelo el xe restà.

El zoga in strada, e, solo,
pai su' afari el va 'torno:
a le ùndise ogni giorno
co' una pignata el va cior el magnar.

C'una zia 'l sta e su' nona,
che le combati e sgoba:
con lore quela boba
el magna, e el pan che se devi comprar.

'Desso 'scoltè. 'Na cagna
el gaveva, che iera
pròpio sua. Una sera,
trovada el la gaveva in un canton

drio i legni, incrufolada,
par tera anca col muso:
ma i oci voltai in suso
el putel i vardava de sbrisson.

No' aver par sè e cior suso
'na bestia, quela cagna,
che pocossai la magna
anca ela e dà de far! Ma xe cussì!

Parché, quei che no 'riva
'ver mai quel che ghe ocori,
de tignir strento lori
el iozz' ch' i ga, no' i bazila: so mi.

Putel e cagna insieme
sempre se li vedeva:
pìcio el la difendeva
lu' d'i altri muli, e el pensava al magnar.

Del soldà, che spartiva
la pasta o i risi fora
del stagnaco, par sora
mezo cazziul el se fazeva dar

par ela, par la cagna.
E lui el stava 'tento
de farla scampar drento
co se vedeva el sìnter de lontan.

El sìnter el passava
sul caro; là d'in alto
el spionava; e zo un salto
el fazeva liger co iera un can.

Gavè mai visto el sìnter
ciapar un can? Arente
el ghe va indifarente,
vardando in alto; o pian pian de scondon.

El lazzo el lo tien sconto,
strento in man, drio la schena;
e el speta. Ma compena
ch'el capissi che xe el momento bon,

là ch'el xe fermo, 'l alza
su par indrio el lazzo,
e co' un giro de brazzo
el lo sgnaca, e po' el strenzi co' un zucon.

Bala staltro; e lu', dopo
'ver dita una bulada
par la gente ingrumada,
el lo strassina e fica in t-el casson.

Là anca lui sempre el iera
ch'el vardava; e contento:
- la cagna la xe drento -
el pensava - e lu' el sìnter lu' no' sa.

Ma un giorno, par un buso
che mancava 'na tola,
la ghe xe andada sola
fora in strada. La iera cùcia là,

do' che col vial el nostro
stradon fa cantonada,
e là la ga becada
el sìnter. De lontan el ga sintù

lu' el putel, e el xe corso.
A fianco del careto,
pìcio biondo muleto,
el coreva, vardando l'omo in su.

El coreva discalzo
pianzendo e el lo pregava.
L'omo se lo vardava
còrerghe drio. Adesso ve dirò

come ch'el lo pregava.
- El me la moli, dei,
lo prego. El xe bon lei.
Mi son un pòvaro putel. No' go

più nò papà nò mama. -
E po' de soravia:
- La me dà zo mia zia. -
E el sìnter ghe la ga molada! A quel

su' can ciapà col lazzo
el ghe ga perdonado,
el se ga discordado
de chi ch'el xe par via de quel putel.

Parché a tuti i ghe piasi,
ben ghe vol tuti ai fioi.
Xe che capimo noi,
che avanti el mondo, chi che lo fa andar

i xe lori. Se disi:
'na casa senza fioi
xe morta. E pòari noi
co li perdemo: xe finì el cantar.

Che glorioso ch'el iera!
Ma po' la scarlatina
el ga 'vu. In portantina
el xe andà via, e un mese via el xe sta.

Co de la Madalena
el xe tornado indrio
casa, pòvaro fio,
la su' cagneta no'l ga più trovà.


Ognuno vede Hölderlin come crede

dann seegne den Enkel noch Einmal,
Daß dir halte der Mann, was er, als Knabe, gelobt.

Ma, voi, benedisè
ancora 'na òlta 'l vostro nevodet,
parché ades che l'è 'n ón, debòto consumà,
par voaltre 'l mantegne quel che, tosatèl, l'à lodà.

Ognuno vede Hölderlin come crede. Io tendo a vederlo con occhi simili a quelli di Zanzotto, di preferenza all'ombra de un capein de ua.


giovedì 24 ottobre 2013

2004-2013

Patty Smith e Harold Pinter

Patty Smith e Harold Pinter hanno presieduto
alla mia nascita. Mi portò una sera di luglio da lei
e un pomeriggio di settembre da lui.
Lei gridava FUCK THE G8 e Pinter,

un ché di bastardo nel vestito di nero, un'aria di sfida
ai cento accademici in fila, annunciava il nemico
grasso e infedele, proprio il dieci settembre,
mentre tutti pensavano all'estate che non c'era stata.

Mia madre non fece niente per impedirlo,
i miei padrini erano due sciagurati
ma lei leggeva poeti, preti, visitava chiese senza stile
gente assolutamente sconosciuta,

e andava orgogliosa di quella pancia e del suo vestito
rosso stretto che mi esponeva ancora prima di nascere.
Avesse ascoltato la nonna: di mettersi maglie larghe,
camicioni, costumi interi, e lei no in topless

al settimo mese, mentre io, ora, visibile,
leggo i libri del primo scaffale – Simenon Tolstoj Vonnegut
ballo Sex bomb, mangio i quotidiani
insomma tutto alla rovescia, tutto sbagliato.

Ma credimi, nonna, le somiglierò ma non in tutto:
andrò coperta, mi terrò i fidanzati, anche se di nascosto,
mi perdonerai, affiorerò nelle battaglie, anch'io,
come lei prima di me, starò per il maleducato vestito di nero,

andrò dove non è andata, ascolterò più da vicino
quello che lei ha solo immaginato,
lo troverò il malvagio nella sua desolazione
di mondo invecchiato e fuorilegge

e infine, in un'altra sera di luglio, molto lontano da qui
canterò, come già avevo fatto nella luce rossa
dentro la sua pelle, people have the power...

Alba Donati
Non in mio nome, Marietti, 2004


Notte di San Lorenzo

Dormite insieme nello stesso letto
con i vostri ottant'anni di differenza,
del mondo non sappiamo più niente:
non ascoltiamo i telegiornali
né tantomeno compriamo un giornale,
abbiamo scelto il silenzio, l’accadere del giorno,
lo spazio intorno alla nostra casa.

Se c'è da andare in farmacia, andiamo
se c'è da andare alla posta, anche
ma per il resto abbiamo deciso
di coprire a grandi passi il selciato
davanti alla porta e di salire e scendere
le scale tante volte per prendere e portare.

Poi quando vengo a dormire vi separo:
ti metto nel letto piccolino e io prendo
il tuo posto nel letto matrimoniale.
Salgono gli spiriti nella stanza
attratti dalla mancanza di rumori,
anche un'aria stellata avvolge le mura
e noi veleggiamo tutta la notte,
tu alla ricerca della Strega Malefica,
io di te, e tua nonna di te, di me, e del suo primo amore.

Alba Donati
Idillio con cagnolino, Fazi Editore, 2013

venerdì 18 ottobre 2013

у него корабль над головой

Auf dass sie nicht vergessen, dass nichts in dieser Welt beständig ist, auch die Heimat nicht; und dass unser Leben kurz ist, kürzer noch als das Leben der Elefanten, der Krokodile und der Raben. Sogar Papageien überleben uns.
Joseph Roth, Juden auf Wanderschaft


In einem Roman wird das Leben beschrieben, da läuft angeblich die Zeit, aber sie hat nichts Gemeinsames mit der wirklichen Zeit, da gibt es keine Ablösung des Tages durch die Nacht, da entsinnt man sich spielerisch beinah des ganzen Lebens, während du dich in der Wirklichkeit kaum an den gestrigen Tag erinnern kannst. Und überhaupt: jede Beschreibung ist falsch. Der Satz: ‘Ein Mensch sitzt, über seinem Kopf ist ein Schiff’ ist vielleicht richiger als ‘Ein Mensch sitzt und liest ein Buch.’ Der einzige seinem Prinzip nach richtige Roman ist von mir. Aber er ist schlecht geschrieben.

Olga Martynova, Sogar Papageien überleben uns, Droschl, 2010


Affinché non dimentichino che a questo mondo niente rimane stabile, neanche il proprio paese, e che la nostra vita è breve, ancora più breve della vita degli elefanti, dei coccodrilli e dei corvi. Persino i pappagalli vivono più di noi.
Joseph Roth, Ebrei erranti


In un romanzo viene descritta la vita: in un romanzo il tempo sembra passare, ma è un tempo che non ha niente in comune con il tempo reale, in un romanzo la notte non si avvicenda al giorno, in un romanzo ci si ricorda ludicamente di quasi tutta la vita, mentre nella realtà ci si riesce a stento a ricordare del giorno appena trascorso e, in generale, ogni descrizione è sbagliata. La frase: "Un uomo sta seduto, sopra la sua testa appare una nave" è forse più corretta di "Un uomo sta seduto e legge un libro". L'unico romanzo corretto secondo il suo principio è il mio, ma è scritto male.

Ol'ga Martynova, Persino i pappagalli vivono più di noi 

Le parole tedesche sono parole della Martynova, ma sono anche parole di Fjodor, un poeta russo che nel romanzo della Martynova ha smesso di scrivere poesia e scrive solo prosa. Solo che Fjodor, nel passaggio citato, cita VVedenskijE quindi, nella versione italiana qui fornita, Fjodor usa parole che ho scelto io al posto di quelle tedesche scelte dalla Martynova per raccontare di Fjodor che cita VVedenskij in russo.  

В романе описывается жизнь, там будто бы течет время, но оно не имеет ничего общего с настоящим, там нет смены дня и ночи, вспоминают легко чуть ли не всю жизнь, тогда как на самом деле вряд ли можно вспомнить и вчерашний день. Да и всякое вообще описание неверно. "Человек сидит, у него корабль над головой" все же наверное правильнее, чем "человек сидит и читает книгу". Единственный правильный по своему принципу роман, это мой, но он плохо написан.

Mi pare che il modo in cui si ricordano le cose in un romanzo, nelle parole originali di VVedesnkij, non sia più ludico, ma solo facile, e che la nave non appaia come una parvenza di nuvola sopra la testa del lettore, come ho fatto credere io partendo da über seinem Kopf ist ein Schiff, ma che sia il lettore ad avere proprio una nave sopra la propria testa e che continui ad avercela per un po', almeno finché legge. Dev'essere quella nave, l'inesauribile serbatoio da cui si attingono i ricordi nei romanzi. Chiuso il libro, la nave sparisce. Forse perché il solo attimo esistente è quello presente, come diceva lo stesso VVedenskij*.

Stamattina, leggendo die Zeit, ho avuto per un po' il Dr. Oetker a braccetto col signor Cameo, sopra la mia testa, entrambi in camicia bruna, perfettamente stirata, con stivali di cuoio luccicanti, teschio, aquila, croce uncinata e tutto. In quel frangente, così come faccio in ogni simile occasione, mi sono augurata che i secondi passati non sparissero del tutto, che possa esistere un modo equilibrato, non ossessivo, eppur fermo, di conservarli, o almeno che l'unico secondo esistente ne possa serbare la giusta traccia col rispetto che si deve alle vittime del passato, liberando al contempo i figli dalle colpe dei padri. Kompliziert, come augurio.

Потому что прежде чем прибавится новая секунда исчезнет старая, это можно было бы изобразить так: (Perché prima che si aggiunga il nuovo secondo, il precedente scompare. Si potrebbe rappresentare così:)
         
       
Только нули должны быть не зачеркнуты а стерты (Solo che gli zeri non dovrebbero essere sbarrati, bensì cancellati).

Un ricordo di Romeo Bassoli

Qui.

martedì 8 ottobre 2013

Ventidueetrentanovenovediecisessantatrè

Ricordo che in apertura della seduta pomeridiana di martedì 8 ottobre sarà commemorato il cinquantesimo anniversario del disastro del Vajont.

Signora Presidente, oggi ricorre il 45° anniversario della tragedia del Vajont. Credo siano doverosi, da parte della Presidenza e dell'Aula tutta, un momento di riflessione e un ricordo dei tragici fatti di allora.

La Presidenza crede di interpretare il sentimento di tutto il Senato associandosi all'emozione e al ricordo di quell'immane tragedia.

Signor Presidente, intervengo per ricordare, a distanza di quarant’anni, un avvenimento che fu una tragedia.

Ecc.(1)

AA.VV.(2) del Senato italiano

(1) Gli storici dicevano che la memoria storica non è una componente della storia e che la memoria era passata dalla sfera storica alla sfera psicologica, il che aveva instaurato un nuovo regime di memoria, nel quale non si trattava più di memoria dell'evento, ma di memoria della memoria.
Patrik Ouředník, EuropeanaUne brève histoire du XXe siècle, Éditions Allia, 2010
(2) In ordine di apparizione: Roberto Calderoli, Gianvittore Vaccari, Emma Bonino, Willer Bordon.

domenica 29 settembre 2013

Una tragedia in due battute (omaggio ad Achille Campanile)


Personaggi:
STALIN
SEGRETARIO di Stalin

La scena rappresenta l'ufficio di Stalin. Al centro della scena, Stalin alla sua scrivania, ricoperta da pile e pile di decreti di tre parole che il suo segretario gli consegna ogni giorno perché Stalin vi possa apportare la sua famosa virgola. Nella stragrande maggioranza dei casi, come noto, Stalin la pone dopo la parola impossibile:
Graziare impossibile, giustiziare.
Il segretario si avvicina alla scrivania.

STALIN
Ancora il solito decreto, compagno segretario?
SEGRETARIO
No, compagno Stalin, oggi è il Grande Giorno della Libertà e della Giustizia, purtroppo ancora irrealizzate nonostante il tuo quotidiano stacanovismo. 
Leggendo ad alta voce il testo del nuovo decreto:
Sfiduciare impossibile governare.
Come vedi, il testo è nuovissimo e assolutamente rivoluzionario, al punto che persino la virgola può essere inserita in un posto diverso dal solito.

(Sipario)

Tragedia perché così Campanile chiamava i suoi pezzi. In realtà, è solo l'epilogo di un capitolo di storia italiana.
Aggiornamento del 2 ottobre: la virgola, non senza interno travaglio, è restata poi al suo solito posto.

sabato 28 settembre 2013

wia ned gschaid

schdöd se hin      fua de laid
und redt     wia ned gschaid
und de laid      ablaudian
jo hom de olle      ka hian?

Ernst Jandl


si presenta      di fronte alla gente
e parla      come un cretino
e la gente      applaude
ma sono tutti      senza cervello?

A m sun desdé stamatéina

Ho visto David Grossman. Non che ci sia stato alcun merito, in questo: è bastato pagare qualche euro per entrare in un teatro ed arrivare puntuali all'ora dell'incontro programmato.
Non mi sono emozionata per niente, non dal punto di vista strettamente letterario o artistico o creativo (biograficamente è tutto un altro paio di maniche). Delle pochissime persone molto note che ho visto in vita mia, è quella che mi ha emozionato di meno in assoluto, direi. Del resto, Bruce Springsteen è inarrivabile, quanto ad energia che è in grado di trasmettere da un palcoscenico, e la salivazione mi si è azzerata totalmente, come di fronte a pochi altri mi potrebbe mai capitare, solo una volta quando, davanti ad un'edicola di Porta Romana, ho detto ad Ilda Boccassini che non avrebbero dovuto sentirsi soli, lei e i suoi colleghi del tribunale di Milano, che c'erano molte persone che ne sostenevano il lavoro e che insomma, grazie.
I piedi di Grossman, poi, mi hanno molto distratta: sono parecchio grandi, rispetto alla sua altezza, almeno quando si vedono da una platea, appena sotto il palcoscenico. Forse è per questo che nelle foto in cui non gli si vede il solo viso li nasconde con artifizi ben congegnati.


E poi ho perso del tutto la concentrazione almeno per cinque minuti buoni quando ho avvertito l'improvviso desiderio di farmi di velluto raso rosso, come quello della sedia su cui sedevo, nel momento in cui, a fianco a me, mentre lui parlava di parole da trovare per descrivere la vita dei suoi personaggi nella sua interezza, senza alcuna reticenza o censura, è suonato il cellulare di E. con la suoneria di I will survive. Ho temuto che Grossman interrompesse l'intervista, passasse all'inglese e si rivolgesse a noi dicendo: I will survive too, but I'd feel better if you turned off your cell phone o qualcosa del genere. Invece non ha detto niente e ha continuato a seguire il filo del suo discorso, parlando, di preferenza, per immagini, e ricordando per l'ennesima volta che la differenza tra uno psicologo (che in interviste precedenti non aveva ancora completato gli studi, perché era un bagnino) e uno scrittore è che lo psicologo (o il bagnino) si tuffa per andare a salvare chi rischia di annegare, mentre uno scrittore si tuffa per andare ad annegare anche lui. Mi è parso posato ed educato, ma un po' incapace di distinguere bene uno psicologo da un bagnino.
Nella parte finale dell'incontro ha letto qualche passo della sua ultima opera in lingua originale senza l'intervento dell'interprete - bravo ed espressivo - fin lì presente in cuffia. Mi è venuto in mente Guccini quando presentava Al trist: ogni giorno alla radio ascoltate musica americana senza capire un cazzo, potete per una sera ascoltare il dialetto modenese con lo stesso effetto.

A m sun desdé stamatéina l'è primavéra ma al piòv
a m sun desdé stamatéina l'è primavéra ma al piòv,
a n pos purtéret fòra anch sl'lè dmanga
perchè a n gh'ò ménga al vsti nòv,
a n gh'ò ménga al vsti nòv, oh sé.

Grossman però, non si è espresso negli stessi termini di Guccini. Ha detto semplicemente che avrebbe letto un passo del suo ultimo libro, naturalmente senza interprete. Anche l'interprete l'ha confermato: évidemment, sans traduction, ha detto l'interprete, prima di tacere.
Al termine della lettura di Grossman, mentre continuavo a chiedermi il senso di quell'évidemment, sans traduction, tutto il pubblico ha applaudito a lungo, tranne me, ché altrettanto évidemment, non conoscendo l'ebraico, non avevo capito nulla e non me la sentivo quindi di applaudire sulla fiducia uno scrittore pur tanto educato e dai piedi così interessanti, per cui ho applaudito, ma brevemente e senza convinzione.
Non lo so se fossero pagine ben scritte, quelle che ha letto Grossman. Posso però dire che l'ebraico non fa esattamente lo stesso effetto del modenese.


Ариост

В Европе холодно. В Италии темно.
Власть отвратительна, как руки брадобрея.
О, если б распахнуть, да как нельзя скорее,
На Адриатику широкое окно.

Над розой мускусной жужжание пчелы,
В степи полуденной -- кузнечик мускулистый.
Крылатой лошади подковы тяжелы,
Часы песочные желты и золотисты.

На языке цикад пленительная смесь
Из грусти пушкинской и средиземной спеси,
Как плющ назойливый, цепляющийся весь,
Он мужественно врет, с Орландом куролеся.

Часы песочные желты и золотисты,
В степи полуденной кузнечик мускулистый --
И прямо на луну влетает враль плечистый...
Любезный Ариост, посольская лиса,
Цветущий папоротник, парусник, столетник,
Ты слушал на луне овсянок голоса,
А при дворе у рыб -- ученый был советник.

О, город ящериц, в котором нет души,--
От ведьмы и судьи таких сынов рожала
Феррара черствая и на цепи держала,
И солнце рыжего ума взошло в глуши.

Мы удивляемся лавчонке мясника,
Под сеткой синих мух уснувшему дитяти,
Ягненку на дворе, монаху на осляти,
Солдатам герцога, юродивым слегка
От винопития, чумы и чеснока,--
И свежей, как заря, удивлены утрате..

Осип Мандельштам, Май 1933, июль 1935


È freddo in Europa. È buio in Italia: uno dei pochi versi che Mandel'štam è riuscito a ricostruire, in base ai suoi ricordi, della prima versione della sua poesia dedicata al gentile Ariosto. Mi chiedo perché non riesco a trovarne in rete una versione in italiano, la lingua delle cicale, un incantevole intreccio di melanconia puškiniana e di boria mediterranea. O è incapacità mia o non interessa a nessuno. Solo per esaudire il suo desiderio di spalancare il più in fretta possibile un'ampia finestra sull'Adriatico, cerco di farne sentire uno dei suoi profumi dialettali, che non è il più elegante, ma è pur sempre il mio.

Ariosto

Xe zima in Europa. Xe scuro in Italia. El poder fa schifo come le man de un brivez. Quanta voia gavessi de verzer 'desso, ma in 'sto momento propio, un finestron sul'Adriatico!

Sula rosa muscosa tuto un ronzar de api, nela stepa del sud, un grilo tuto un nervo. Al caval co' le ale i feri i ghe pesa, clesidre zale e de oro. Nela lingua dele zigale, un stupendo misiòt de smonamento malinconico de Puškin e del solito, mediteraneo cagar fora del bucal, come un'edera infestante, che se rampiga per tuto, el conta bale senza paura, fazendo el mona con Orlando.

Clesidre zale e de oro. Nela stepa del sud, un grilo tuto un nervo. E via, direto sula luna el svola, quela boba co' le spale come un armeron. Gentile Ariosto, volpe de ambassada, felce in fior, barca, agave, te ga sentì su la luna le vosi dei lughereti e, ala corte dei pessi, te son stà un consiglier 'sai studià.

Oh zità de sariandole e senza anime, te ga fato fioi co' strighe e con giudici, Ferrara indiferente, te li ga tignudi incadenai, mentre el sol, de fiama del rosso de la sageza, se alzava tra le graie e i grembani.

Cossa xe una maravea per noi, caro Puškin? Una picia becheria, un picio che spava soto la rede de mosche dai riflessi blu, un agnel su una colina, un monaco su un mus, i soldai del Duca con una legera bala de vin, de peste, de aio; ciapai in controtempo dala perdita, nova come l'alba.

Osip Mandel'štam, magio 1933 - luglio 1935

venerdì 27 settembre 2013

Mi chiamo..., abito a... Vorrei sentire "Fermandosi accanto ad un bosco in una sera innevata"

Mi chiamo ...
Non riportate il mio nome.
Abito a ...
Abito da qualche parte.
Mia moglie è morta il mese scorso.
Mio figlio si sta per sposare.
Sono triste e niente ha più senso.
Mi ricordo solo la metà delle parole.
Sono malato e vecchio.
Sono giovane ed innamorato.
Lei amava così tanto questa poesia.
Così, per fare gli auguri agli sposi.
Quei versi riescono ancora a sollevarmi.
Potreste finire il distico per me ed aiutarmi a togliermelo dalla testa? 
Datemi un po' di John Donne per aiutarmi a ricordare che una volta ero giovane ed innamorato.
Mandate in onda questa poesia. È il mio cuore che ve la chiede.
Grazie.

Ispirato da ascoltatori della trasmissione radiofonica Poetry please.
The Guardian, 26 settembre 2013 


giovedì 26 settembre 2013

Heimatlose

Ich bin fast
Gestorben vor Schreck:
In dem Haus, wo ich zu Gast
War, im Versteck,
Bewegte sich,
Regte sich
Plötzlich hinter einem Brett
In einem Kasten neben dem Klosett,
Ohne Beinchen,
Stumm, fremd und nett
Ein Meerschweinchen.
Sah mich bange an,
Sah mich lange an,
Sann wohl hin und sann her,
Wagte sich
Dann heran
Und fragte mich:
“Wo ist das Meer?”


Son davvero
quasi morto dal terrore:
nella casa in cui ero
ospite, ben nascosto per timore,
si mise a muoversi,
ad agitarsi
di colpo dietro le tavolette
di una cassa vicino al gabinetto,
senza zampette,
muto, straniero e graziosetto
un porcellino d'India.
Impaurito mi guardò,
lungamente mi guardò,
rifletté,
si arrischiò
poi a
chiedermi:
“E l'India dov'è?”

mercoledì 25 settembre 2013

Großer Vogel

Die Nachtigall ward eingefangen,
Sang nimmer zwischen Käfigstangen.
Man drohte, kitzelte und lockte.
Gall sang nicht. Bis man die Verstockte
Im tiefsten Keller ohne Licht
Einsperrte. - Unbelauscht, allein
Dort, ohne Angst vor Widerhall,
Sang sie
Nicht - -,
Starb ganz klein
Als Nachtigall.



Grande uccello

Quando l'usignolo fu sbattuto in galera,
non cantò più tra le sbarre della voliera.
Nonostante minacce, solleticamenti e promesse profuse
il canterino non cantò. Finché non lo si rinchiuse
con la sua ostinazione nella cantina più profonda
priva di luce. - Ignorato, solo
là, senza paura dell'eco,
non
cantò - -,
Morì piccolo piccolo
come usignolo.

mercoledì 18 settembre 2013

Il Grand Tour di mio nonno

Dice Barbara Spinelli che "il disfacimento raggiunge l'acme quando si parla di grazia, o di commutazione della pena da detentiva a pecuniaria (solo il politico straricco può permetterselo). Tutto si confonde ed evapora, il delitto per primo, quando le parole vengono distorte dagli eufemismi che addolciscono il reale, o dai disfemismi che lo intenebrano: quando al posto di impunità si dice agibilità, o quando la giustizia è chiamata plotone di esecuzione. Daranno un altro nome anche alla grazia. La ribattezzeranno chissà come: stabilità, responsabilità, prudenza. Apparirà saggezza, graziare un pregiudicato che lasci il Senato prima che il Parlamento si pronunci. Senza ammettere alcunché, il frodatore sarà incensato come nobile e statista".
Ha ragione. Leggendola, però, mi è venuto in mente che se anch'io mi augurerei che non si usassero né eufemismi né disfemismi, tuttavia non riesco ad arrivare alla conclusione che sia sufficiente usare le parole senza alterarle, per far fronte al disfacimento contrapponendo alle distorsioni della realtà la verità, a cominciare da quella lessicale. Per esempio, nella Scheda personale e biografica del mio nonno materno, emessa nel Campo di Sosta e Contumacia di Bari, a me evidentemente molto cara, il motivo del rimpatrio di mio nonno è stato qualificato come: rimpatrio. 

Al di là del rischio della tautologia, poi, rimangono, fra le altre, le questioni dell'interpretazione, del contesto, ecc. Per restare allo stesso esempio, quando l'otto settembre non vorrà dire più nulla e qualcuno ripasserà di qui, finirà che lo sbandamento addebitato a mio nonno Romeo in data 9 settembre 1943 sarà attribuito a lui e a lui solo, un maldestro autista sbandato in curva durante una spensierata vacanza nel Peloponneso e rientrato in Italia su una nave da crociera francese.

mercoledì 11 settembre 2013

Höhere Mathematik

Die Logik der Eliten
ist eine einfache Rechnung:

Ein Hartz IV-Bezieher
benötigt pro Tag
für Nahrung
4 Euro plus ein paar Cent

Ein deutscher Polizeihund
benötigt pro Tag
für Nahrung
6 Euro plus ein paar Cent

Aber der
arbeitet ja auch.

Urs Böke
Land ohne Verfassung, 2013

via Teflon.

Matematica superiore

La logica delle classi dirigenti
è un calcolo semplice:

chi percepisce l'indennità di disoccupazione
ha bisogno per l'alimentazione
quotidiana
di 4 euro e qualche centesimo

un cane poliziotto tedesco
ha bisogno per l'alimentazione
quotidiana
di 6 euro e qualche centesimo

ma è pur vero
che lui lavora.

martedì 10 settembre 2013

Porque a ortografia também é gente/Perché anche l'ortografia è una persona*

Sto cercando di capire la differenza tra totalitario e globale. Per il gusto di farlo e, in misura del tutto minore, per capire se abbiano dei punti in comune e quali siano. Me ne occupo nel tempo che riesco a crearmi e me ne occupo, banalmente, in ordine cronologico. Di conseguenza, non so ancora cosa voglia dire globale, anche se nel suo mare ci vivo ogni giorno, mi dicono, mentre sto mettendo da parte qualche elemento per farmi un'idea di cosa possano essere stati effettivamente gli stati totalitari e delle tracce che eventualmente sono riusciti a lasciare in eredità agli stati che hanno preso il loro posto.

Per il momento, mi sembra di aver cominciato a trovare delle coincidenze - non saprei come altrimenti chiamarle - tra il linguaggio e la logica di alcuni protagonisti presenti (inclusi sia i soggetti al potere sia non pochi dei loro antagonisti) e quelli degli stati totalitari, ad esempio se si considera la predisposizione di entrambi a creare una rappresentazione del mondo funzionale ai propri obiettivi, impermeabile ai fatti e alle loro evoluzioni, e basata su una memoria storica vuoi selettiva vuoi alterata ad arte.

Considerando gli strumenti di cui mi posso avvalere, le conclusioni, se mai ce ne saranno, saranno lunghe a venire e sofferte, soffertissime. A proposito di linguaggio, ad esempio, leggendo il testo Victor Klemperer, repenser le langage totalitaire,  sous la direction de Laurence Aubry et Béatrice Turpin, CNRS éditions, 2012, ho trovato, nello spazio di appena qualche pagina iniziale, perle come:
"un ou plusieurs membres des escouades, "squadri", du parti fasciste";
"Quella metà che vide definitiva la nostra feroce volontà totalitaria sarà perseguita con ancore maggiore ferocia";
"alla conquista plena, totalitaria de tutti le potere dello Stato";
"Der totale Staat wird keine Unterschied dulden"; e
"die liberale Machtstaaten".

Quelle souffrance.



*Não tenho sentimento nenhum político ou social. Tenho, porém, num sentido, um alto sentimento patriótico. Minha pátria é a língua portuguesa. Nada me pesaria que invadissem ou tomassem Portugal, desde que não me incomodassem pessoalmente. Mas odeio, com ódio verdadeiro, com o único ódio que sinto, não quem escreve mal português, não quem não sabe sintaxe, não quem escreve em ortografia simplificada, mas a página mal escrita, como pessoa própria, a sintaxe errada, como gente em que se bata, a ortografia sem ípsilon, como o escarro directo que me enoja independentemente de quem o cuspisse. Sim, porque a ortografia também é gente. A palavra é completa vista e ouvida. E a gala da transliteração greco-romana veste-ma do seu vero manto régio, pelo qual é senhora e rainha.

Bernardo Soares, Gosto de dizer

Non ho alcun sentimento politico o sociale. Eppure ho, in un certo senso, un alto sentimento patriottico. La mia patria è la lingua portoghese. Non m'importerebbe niente se invadessero od occupassero il Portogallo, a condizione che non mi disturbassero personalmente. Ma odio, con un odio vero, con l'unico odio che sento, non chi scrive male il portoghese, non chi non sa la sintassi, non chi scrive con un'ortografia semplificata, ma la pagina scritta male, come se fosse una persona vera; la sintassi sbagliata come se fosse gente da picchiare; l'ortografia senza ipsilon come uno sputo diretto che mi fa schifo indipendentemente da chi sputa. Sì, perché anche l'ortografia è una persona. La parola è completa se vista e sentita. E la gala della traslitterazione greco-romana me la veste col suo vero manto regio, per il quale è signora e regina.

Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine di Bernardo Soares, traduzione di María José de Lancastre e Antonio Tabucchi, Feltrinelli, 2003