domenica 25 gennaio 2015

Domenica, 25 gennaio 2015

Mi trovo in quel tempo sospeso che si interpone alla realtà delle cose, in cui abbandono per un po' il presente, un presente uguale ad altri presenti, e guardo al futuro e, per farlo, mi metto a scrivere, in modo che il tempo si fermi per il tempo necessario alla riflessione, di cui sarò libera, come quasi sempre accade, di pentirmi, per la probabile pochezza e la certa effimerità dei suoi risultati.
In questo preciso presente, l'asse da stiro è pronto, ma la mia mano non ancora ad affrontare il ferro, delle carte da leggere impigriscono sul tavolo, un dolce aspetta di prendere forma dalle mie mani, una poesia inglese non riesce ad attraversare la frontiera con l'italiano e rimane un abbozzo (Mi sono messa il cappotto largo ché fa freddo./È un indumento esterno./Ruvido, di lana./Di origine sconosciuta./Ha una fodera interna raffinata, ma è/come oggetto esterno che lo vedi — una grazia),
e la strage di Charlie Hebdo e dell'Hyper Casher,
le sirene continue, i falsi allarmi, il métro che si fa nemico,
la consultazione compulsiva di Twitter/Le Parisien/Libé/Le Point/i giornali italiani... (Le Monde è inutile, nell'immediatezza di fatti),
il giro in bici intrapreso per andare a vedere la via in cui abiteremo da marzo e finito giocoforza poco prima di arrivarci, inghiottito dai luoghi degli attacchi con le lacrime che mi rigano il volto in orizzontale, a fianco del marciapiede dove Ahmed è caduto per sempre ed in cima alla via che ospita la sede del giornale, dove un violoncellista, davanti a montagne di fiori e matite e biglietti, a una processione laica e silenziosa e ad un giornalista televisivo americano in posa per il trucco, sistema la sedia e lo strumento ed intona Bach,
le domande e le discussioni con i passanti che per la prima volta in quasi sei anni mi vedono e si fanno all'improvviso ciarlieri,
l'obbligo di sentirsi Charlie,
la manifestazione più grande, per numero di partecipanti e contraddizioni, cui abbia mai preso parte, 
le parole repubblicane sacralizzate, ripetute e scandite a voce e per iscritto, forse mai così deboli, almeno a mia memoria,
la fila al chiosco dei giornali al buio delle sette di mattina,
un giornaletto dalla copertina verde che ora pende, ripiegato male, da una mensola, 

tutto questo ed altro sta per prendere posto nei miei ricordi,
mentre decine di persone trovano invece posto in carcere ogni giorno per apologia di terrorismo,
in questo preciso presente guardo alla Grecia e al futuro dell'Europa e il passato, recente e meno recente legato alla mia esistenza, scompare, in un unico blocco di materiale composito italo-slavo-germano-francese

tutto scompare

tutto, tranne poche note di una canzone di settant'anni fa, che sorvolano per pochi istanti una piazza di Atene, in una sera di fine gennaio del 2015:


Ci hanno provato in tutti i modi, dopo ogni singola elezione, a deludermi, a farmi cambiare le mie vecchie idee, nate in un secolo ormai passato, ad instillarmi rassegnazione o cinismo, ma io, ad ogni nuova elezione, che sia di un comune o di un paese, cui abbia diritto di partecipare o meno, dimentico tutto e ritrovo spazio per la speranza.

mercoledì 7 gennaio 2015

Charlie Hebdo

« Je vais très mal. Mais c’est normal, non ? J’ai perdu tous mes amis aujourd’hui. C’était des gens tellement vivants, qui avaient tellement à cœur de faire plaisir aux gens, de les faires rire, qui avaient à cœur de leur donner des idées généreuses. C’était des gens très bons. C’étaient les meilleurs d’entre nous, forcément, comme tous les gens qui font rire, comme tous les gens qui sont pour la liberté, comme tous les gens qui sont pour qu’on puisse aller et venir librement, en sécurité. Ils ont été assassinés, c’est une boucherie épouvantable. Et il ne faut pas laisser le silence s’installer. Il faut vraiment nous aider. Il faut qu’on soit groupés contre cette horreur. La terreur ne doit pas empêcher la joie de vivre, la liberté d’expression (…) Ça serait bien si, demain, les journaux s’appelaient « Charlie Hebdo », si on titrait tous « Charlie Hebdo », si toute la France titrait « Charlie Hebdo ». Ça montrerait qu’on n’est pas d’accord avec ça, que jamais on acceptera ça, que jamais, on ne laissera le rire s’éteindre, jamais on laissera la liberté s’éteindre. »

Philippe Val, ancien directeur de la rédaction de Charlie Hebdo, au micro de France Inter.


«Sto molto male. Ma è normale, no? Ho perso tutti i miei amici, oggi. Erano delle persone talmente vivaci, cui stava talmente a cuore far piacere alla gente, farla ridere, cui stava a cuore dare loro delle idee generose. Erano delle persone molto buone. Erano i migliori tra di noi, necessariamente, come tutte le persone che fanno ridere, come tutte le persone che sono per la libertà, come tutte le persone che sono a favore del fatto che si possa andare e venire liberamente, in sicurezza. Sono stati assassinati, è una carneficina spaventosa. E non bisogna che prenda il sopravvento il silenzio. Bisogna davvero aiutarci. Bisogna essere contro questo orrore. Il terrore non deve impedire la gioia di vivere, la libertà di espressione (…) Sarebbe bello se, domani, i giornali si chiamassero «Charlie Hebdo», se li intitolassimo tutti «Charlie Hebdo», se tutta la Francia intitolasse «Charlie Hebdo». Ciò mostrerebbe che non siamo d'accordo con questo, che non accetteremo mai questo, che non lasceremo mai spegnersi il riso, non lasceremo mai spegnersi la libertà.»

Philippe Val, ex direttore della redazione di Charlie Hebdo, al microfono di France Inter.

sabato 3 gennaio 2015

venerdì 2 gennaio 2015

Lieber Felix - gestern wollte ich euch zum neuen Jahr glückwünschen

An Felix Weltsch
(Postkarte. Prag, Stempel: 2. I.1917)

Lieber Felix - gestern wollte ich euch zum neuen Jahr glückwünschen, aber es ging nicht. Ich sah Dich so friedlich, tief in Ruhe, lesen, dann sogar die Mappe öffnen, Papier herausnehmen und schreiben, daß es für mich gar keine Frage war, daß ich Dich nicht stören dürfe. Allerdings stand neben Dir eine Tasse und die Tür zum beleuchteten Wohnzimmer war halb offen - ich sagte mir also, falls Du Dich stärker mit der Tasse zu beschäftigen anfängst oder falls Deine Frau hereinkommt, dann dürfe auch ich vielleicht kommen. Das war aber ein Irrtum. - Denn als schließlich Deine Frau hereinkam, und Du, mit gutem Appetit in etwas hineinbeißendend, mit ihr zu sprechen anfingst, schämte ich mich natürlich weiter zuzuschauen, konnte deshalb nicht feststellen, ob die Arbeitsunterbrechung eine längere war und ging deshalb. Nächstens.
Viele Grüße. Übrigens gute Zeitungsnachrichten.
Franz


A Felix Weltsch
(Cartolina. Praga, timbro: 2.1.1917)

Caro Felix - ieri avrei voluto farvi gli auguri di buon anno, ma non mi è riuscito. Ti ho visto leggere così tranquillo, così serafico, e poi persino aprire la cartella, estrarne della carta e scrivere, che non mi sono sentito in alcun diritto di disturbarti. Certamente vicino a te c'era una tazza e la porta che dava sulla sala illuminata era mezza aperta, per cui mi sono detto che se avessi iniziato a occuparti più seriamente della tazza o se tua moglie fosse entrata, allora forse avrei potuto venire anch'io. Tuttavia l'ipotesi era sbagliata, perché quando infine tua moglie è effettivamente entrata e tu, addentando qualcosa con appetito, hai iniziato a parlare con lei, mi sono naturalmente vergognato di continuare a guardare, tanto da non poter stabilire se l'interruzione del lavoro fosse stata un'interruzione lunga, per cui me ne sono andato. Sarà per la prossima volta.
Tanti saluti. A proposito, buone notizie nei giornali.
Franz