domenica 1 maggio 2011

I fatti di questi giorni

Quando vivevo a Trieste, i dibattiti ciclici che vi si svolgevano sulla sua storia e sulla sua presunta specialità (e l'identità di frontiera e il crocevia dell'Europa e l'incontro di culture e il crogiuolo di popoli e la Trieste cosmopolita e la Trieste mitteleuropea  e la Trieste italiana e la Trieste slava (Trst) e la Trieste ebraica e via litaniando), nella loro ripetizione, molte volte superficiale, e nel loro continuo sollevare contrapposte reazioni pavloviane nelle sue diverse anime a seconda degli episodi storici  ricordati (e la politica antislava del fascismo e la Risiera e le foibe e l'esodo degli istriani e dalmati), mi infastidivano. Idealmente, nei momenti in cui il fastidio raggiungeva i suoi picchi, avrei voluto essere nata in un posto anonimo, un paesello di qualche migliaio di persone, al centro dell'Italia o pure all'estero, ma al centro, lontano da qualsiasi frontiera, politica o naturale che fosse, quindi anche lontano dal mare, con (nella versione italiana) una piazza, un municipio, una chiesa e un bar e una qualsiasi, immutabile, toponomastica paesana comprendente via del Campo, via della Stazione, piazza delle Erbe e Corso Centrale e, al più, un viale Garibaldi. Solo col tempo ho accettato fino in fondo non solo di esserci nata, ma anche la mia personale impossibilità di saperne trarre una visione di insieme che sia in grado di rispettarne la molteplicità delle voci e delle visioni passate e presenti senza piegarsi per nulla ai clichés e ai miti propagandistici, sia politici sia letterari, che l'hanno attraversata e che continuano ad attraversarla, a volte mortificandola, più spesso esaltandola al di là dei suoi meriti. È per questo che quando trovo chi tuttora si sforza, nonostante l'abbondanza del già scritto e del già detto, di misurarcisi con umiltà e serietà provando anche a cambiarne almeno un po' la tradizionale chiave di lettura, quella dell'identità nazionale, lo apprezzo moltissimo.

La chiave di lettura in cui ora mi sono imbattuta è quella sociale ed è proprio una di quelle potenzialmente più semplici, ma in quel contesto meno esplorate, forse - almeno credo - perché meno remunerative dal punto di vista dell'immediatezza e del grado di visibilità politica che si riesce a ricavarne. L'unico elemento da tenere ben presente per seguire il breve filo delle parole che ho estratto e, nella loro introduzione, solo leggermente rielaborato per presentarlo qui è semplicissimo ed è questo: San Giacomo è un quartiere residenziale triestino, tradizionalmente molto popolare (se vogliamo trascurare il dettaglio personale, che infilo tra parentesi, che il mio nonno paterno era nato e cresciuto proprio lì e che lì mi ha portato in giro spesso, nella mia infanzia, da una bettola all'altra, dove amava giocare a carte, briscola e scopa, soprattutto, meno a coteccio e tressette: un'esperienza impagabile, a pensarci oggi).

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Il 27 maggio 1915, tre giorni dopo la dichiarazione di guerra all'Austria e i tumulti e gli attacchi portati a Trieste, allora austriaca, contro i luoghi simbolo dell'italianità (la sede de Il Piccolo incendiata, quella della Ginnastica triestina e diversi caffè messi a soqquadro, la statua di Verdi imbrattata di pece, molti negozi di proprietà di italiani saccheggiati), attacchi che più volte in passato sono stati attribuiti esclusivamente ad una messa in scena austriaca, Maria Sfetez, maestra della quinta elementare femminile della scuola popolare comunale del quartiere proletario di San Giacomo, assegna alle 26 alunne un tema dal titolo I fatti di questi giorni. I 26 temi sono tutti sopravvissuti e, grazie alla Storia d'Italia di Isnenghi (cit.), posso riportarne per intero due, non prima di aver aggiunto che, secondo la testimonianza dello storico, non ce n'è uno, neanche tra quelli di chi non ha partecipato agli assalti, che giunga a conclusioni sostanzialmente diverse da questi due:
I fatti di questi giorni erano molto dannosi, tutta la gente andavano per i negozi a svalligiare. Fra di quella folla ero anch'io che andavano per i negozi. E non basta solo questo, Ma davano anche fuoco la palla[z]ina del piccolo e la ginnastica. Molti negozi italiani erano tutte le porte rotte tutte le lastre infrantumi[L']l'[i]Italiano Giuseppe Verdi era tutto sudicio di nero. Io che ero la avevo preso una camicia e una cravatta, e il resto aveva preso le mie sorelle.
Anna Loser
Questi giorni c'era molta confusione. Io non sono andata a vedere, ma mi hanno raccontato le mie compagne. Adesso ve le racconterò queste cause. Domenica e lunedì molta gente erano andate in città ed ànno preso molti stivali giocatoli liquori e tante altre cose. Poi [corretto minuscolo] il Caffè di Chiozza lo ànno incendiato e tutta quella gente che abitavano sopra il Caffè [inserito in seguito e scarsamente leggibile nell'originale] sono scappate per la paura che non piglino fuoco loro. La statua di Giuseppe Verdi la hanno spezzata. La Gin[corretto]nastica la ànno incendiata. Il [corretto maiuscolo] Piccolo lo hanno anche quello bruciato e perciò per parecchi giorni non si ricevera il piccolo affinche non governeranno le macchine. E tutta questa cosa e successa perche alle ore 4 di dopopranzo l'italia ha intimato guerra all'Austria per terra e per mare, perciò adesso si combattono. E perciò questa gente anno fatto bene.
Anna Castellaz

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