giovedì 21 luglio 2011

O piątej godzinie rano

Alle cinque del mattino - mattinata rutilante di un sole precoce - la casa era già immersa nel chiarore ardente e silenzioso dell'alba. A quest'ora solenne in cui nessuno spia - mentre al riparo delle tende di tela abbassate per le camere correva ancora il respiro fraterno dei dormienti - tutto l'edificio entrava sempre nel braciere silenzioso della sua facciata, modellata, si sarebbe detto, da palpebre chiuse sulla soavità dei sogni. Approfittando della tregua di quelle ore propizie, priva di luce, la casa, con il suo aspetto ancora assopito, con tutto il groviglio dei suoi tratti leggermente tremolanti sotto i sogni dell'ora intensa, beveva le prime luci del giorno. Ondeggiante nel chiarore, l'ombra dell'acacia sulla piazza veniva a ripetere sulla calda superficie delle palpebre, come su una tastiera, la sua piccola frase scintillante, sempre la stessa, appena lavata dalla brezza, e si sforzava, ma invano, di penetrare fin nel vivo di quel sonno dorato. Tratto dopo tratto, la tela delle tende beveva l'incendio del mattino e, inabissandosi nello sconfinato nitore, aggiungeva sempre la sua tinta di bronzo.
A quest'ora vergine, incapace di ritrovare il sonno, Papà, sovraccarico di libri, scendeva dalle scale per aprire il negozio, situato al piano terra dell'edificio. Rimaneva così in piedi un momento, immobile, gli occhi chiusi, affrontando il potente attacco della luce solare. Dolcemente, la facciata soleggiata lo assorbiva fino all'annientamento nella sua piattezza beatamente levigata e lucida. Lo spazio di un istante, e diventava un padre piatto, si incrostava nel muro e sentiva le proprie mani tiepide e vibranti diventare ramoscelli, rapprendersi tra gli ornamenti in stucco del muro. (Quanti padri - alle cinque del mattino - sono penetrati per sempre nella facciata della loro casa, nel momento stesso in cui hanno finito di scendere dall'ultimo gradino! Quanti padri sono così assurti a bigliettai perpetui della loro porta, mascheroni d'oro scolpito, la mano ancora sulla maniglia, il viso decomposto in solchi dolcemente paralleli, ritrovati più tardi uno ad uno dalle dita che accarezzano i loro figli che ne elemosinano le ultime vestigia, per sempre fusi nell'universale sorriso della facciata!) Ma presto, per un residuo di volontà, riusciva a strapparsi dal muro, a riconquistare la terza dimensione e, di nuovo uomo, liberava la porta di ferro del negozio dal suo ciarpame di chiavistelli e lucchetti.

Arditamente da La morte-saison (Martwi sezon), Le sanatorium au croque-mort (Sanatorium pod klepsydrą), traduit du polonais par Allan Kosko
Bruno Schulz, Oeuvres complètes, Denoël 2004
(In rete circola un'altra traduzione in francese che, pur essendo dello stesso traduttore, è leggermente diversa da quella del volume qui indicato.)

Nessun commento:

Posta un commento