mercoledì 27 luglio 2011

山寨/Entschöpfung

[...]

Com'è arrivato Byung-Chul Han alla lingua e alla filosofia tedesca? Da dove ha attinto l'energia per una tale carriera, che lo ha portato fino all'abilitazione, cosa che nessun altro asiatico ha conseguito nell'ambito delle discipline umanistiche tedesche?
Han ha posto una serie di ostacoli nel gioco domanda-risposta che costituisce il fondamento di ogni ritratto giornalistico. Non solo mi ha gentilmente ma perentoriamente chiesto di spegnere il registratore e di affidarmi ai soli appunti presi a mano, si è anche rifiutato di rispondere alla mia semplice domanda sulla sua età. In Asia, spiega - in parte per vezzo, in parte scusandosi - la data di nascita di una persona ha molta meno importanza di quanta ne abbia in Occidente. Una cultura che considera il mondo come un processo che si ripete ciclicamente non affronta né la nascita né la morte pateticamente, come fa il pensiero occidentale. Niente racconti sulla genesi come in Occidente [a lezione di cinese l'insegnante mi ha parlato del caos, di un uovo e di Pángǔ], niente miti a fondamento della società. E Han è già al cuore della sua teoria della "Entschöpfung" [un suo neologismo: "decreazione"], che egli espone nel suo ultimo saggio "Shānzhai". Il neologismo cinese si può tradurre con "falso" ["prodotto contraffatto"] e designa in superficie le cose tangibili del mondo delle merci: per esempio i telefoni cellulari prodotti in Cina, che assomigliano più o meno ai loro modelli e rispondono a nomi più o meno simili come "Nokir" o "Samsing". Prodotti che si sviluppano via via in direzioni più distanti dall'originale, così che la nota marca "Adidas" dapprima è Adidos e poi diventa Adadas, Adadis, Adis ed infine Dasida.

Il significato di "contraffazione" si attaglia solo in parte a quello che in prospettiva occidentale sono efficaci appropriazioni degli originali. In fin dei conti, sostiene Han, il concetto cinese di originale non è determinato da un atto creativo estemporaneo. Non si può pensare in termini di un'identità definitiva perché tutto è sottoposto a continua trasformazione. Attraverso gli occhiali-shānzhai, l'istanza dell'unicità sembra altrettanto assurda della categoria della contraffazione. Quando per esempio si è saputo che i soldati di terracotta cinesi esposti nel 2007 dal Museo Etnologico di Amburgo non erano altro che repliche realizzate sul posto parallelamente al recupero in Cina di quelli antichi, il museo tedesco si è sentito imbrogliato e ha chiuso con sdegno la mostra. I cinesi, tuttavia, non hanno avuto la percezione di aver agito con l'inganno o di aver commesso qualcosa di vietato; ai loro occhi la pratica della copiatura si riconduceva con continuità all'antichissimo processo di produzione delle figure, che - avessero o meno una data di produzione vecchia o nuova - svolgevano comunque sempre la medesima funzione.

[...]

La parola artificiale shānzhai non designa niente altro che un metodo di decostruzione. "Shānzhai," dice Han, "è Ent-Schöpfung" e significa: prima dell'inizio del mondo occidentale, trasformato in feticcio, prima del mito, della nascita e dell'assioma filosofico, c'è sempre già qualcosa d'altro - cioè creazione ["Schöpfung"], c'è una pozza da cui attingiamo l'acqua ["schöpfen" significa anche attingere acqua]. Se abbandoniamo i concetti sclerotizzati di originalità e genio e di una creatio ex nihilo, così auspica il filosofo, potrebbe essere possibile un pensiero di gran lunga più flessibile. La filosofia potrebbe così rilassarsi in un gioco produttivo, che potrebbe farci ottenere risultati completamente nuovi. "Noi tutti dovremmo" - così richiede - "giocare di più e lavorare di meno. Allora creeremmo anche di più!" Oppure è solo per caso che i cinesi, ai quali i concetti di genio e originale sono estranei, sono responsabili di tutte le invenzioni - dalla pasta alla pirotecnica - che hanno plasmato la cultura occidentale?

[...]

Nessun commento:

Posta un commento