lunedì 19 settembre 2011

Il gioco di tradurre la pioggia in versi (e Omer in Omero)

Siccome le nostre fonti ci dicono che oggi, 19 settembre, il nostro esercito si sta ridisponendo nel teatro di guerra settentrionale e la puntata isolata di una divisione di fanteria russa è stata respinta sanguinosamente e che domani, 20 settembre, la posizione sul fronte occidentale resterà nel complesso immutata (Feldblatt, 20 e 21.9.1914 - non stavo ovviamente scherzando, quando ho accennato a letture di rapporti dal fronte e bollettini di guerra), e quindi possiamo dormire sonni tranquilli, allora ne approfitto per ricordare che dei versi possono nascere anche da gocce di pioggia, anche durante la guerra: è così che Danilo Kiš incontrò per la prima volta la poesia.
Quelle sere nascevano dal silenzio, da cui tutto prende avvio.
Per cominciare, mia madre ed io restavamo a lungo silenziosi ad ascoltare la storia che raccontava la pioggia; erano dei lunghi versetti ritmici pronunciati in un sol fiato, poi erano strofe intere di giambi o dattili, tutto un lungo poema epico-lirico secondo lo stile di Omer e Merima*, un poema sulle streghe che spiano, pronte all'imboscata all'angolo del caminetto, sulla fata che passa di là tutta avvolta da lampi, il viso velato, tutta vestita di bianco, sul coraggioso giovane che la porterà in sella all'ultimo minuto, sul lago dei cigni, sugli zingari che brandiscono i loro coltelli ed estraggono dal fango delle monete d'oro insanguinate.
Questi racconti, ripetuti di sera in sera, di autunno in autunno, la ballata del principe stregato e della fata cattiva, si succedevano senza fine, portati di tetto in tetto, di finestra in finestra, cancellati e dispersi dal vento, subivano prodigiose metamorfosi, ma conservavano, nelle loro innumerevoli versioni, la loro trama lirica complicata, piena di avventure pericolose e di un amore che alla fine trionfa. E alle volte, mutilata dal vento e dall'oblio, la trama lasciava  apparire dei pezzi mancanti, delle righe troncate, nei punti dove una volta c'erano stati dei versi d'amore o la smagliante descrizione del re, del suo destriero, delle sue armi e dei suoi paramenti. È vero che, non comprendendo del tutto la lingua originale, mia madre ed io traducevamo liberamente qualche verso, confidando a volte solo nell'assonanza delle parole, dirottati dagli arcaismi che non significavano più nulla o che non avevano più il senso originario; le nostre traduzioni erano certamente piene di errori e, quando le comparavamo, divergevano in modo ridicolo. La nostra traduzione era identica solo nel ritornello; erano dei lunghi giambi con la cesura dopo il quinto piede e, se i miei ricordi sono esatti, conservavano l'onomatopea dell'originale, tutte le sue ingenue allitterazioni, le sue consonanti fricative postalveolari e occlusive. E, ovviamente, il ritornello parlava d'amore. Del giovane principe galoppante attraverso la notte e il temporale sul suo cavallo pomellato, portando in sella la pallida fata fradicia fino alle ossa.
Ma la sera in cui tutto cominciò eravamo già sazi di racconti, spossati dalla fame e nervosi. Mia madre era divenuta visibilmente gelosa e sospettosa, perché cominciavo ad interpretare troppo liberamente certi versi e ad identificarmi pericolosamente a volte con i principi ed i re, a volte con il bello zigano (quando aveva il ruolo dell'eroe innamorato), perdendo tutte le remore imposte dalla morale e dalla religione.
"D'altra parte, mio caro, con che cosa rima tutto questo?" mi domandò improvvisamente mia madre, senza smettere di agitare i suoi ferri da maglia che si incrociavano come gladi di minuscoli cavalieri condannati a battersi eternamente in duello per vincere la maglietta di qualche bellezza lillipuziana.
Evidentemente, le mie esagerazioni liriche la inquietavano. 
Danilo Kiš, Giardin, cendre (Bašta, pepeo, 1965), traduit du serbo-croate par Jean Descat, Gallimard, 1971
*Anche Omer i Mejrema o Smrt Omera i Merime (La morte di Omer e Merima), i protagonisti di una ballata popolare serba, non esattamente equivalenti, come suggerito dalla traduzione inglese del romanzo di Kiš, ad Omero e Mérimée (sic), quanto piuttosto a Romeo e Giulietta, amore contrastato e morte inclusi:

Dvoje su se zamilili mladih;
Omer momce, Mejrima djevojce,
U proljece kad im cvjeta cvijece,
Kad im cvjeta zumbul i karanfil;
Upazi ih jedna mala straza,
Mala straza Omerova majka...


In primavera i giacinti fiorivano;

fiorivano i garofani per i due giovani amanti,
Omer il ragazzo, Merima la ragazza,
ma una piccola sentinella li spiava;
la madre di Omer, sempre guardinga...

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