sabato 13 novembre 2010

Ghirigori (poca voglia di far bene)

Vi sono delle espressioni di creatività che riescono a sfuggire ai dettami della cultura ufficiale, a quello che è bene dire, o a quello che ci si aspetta debba venire dalla cultura considerata "alta". Se queste espressioni nascono al di fuori del palazzo e del suo sistema di potere e percorrono canali di comunicazione non ufficiali, generalmente sopravvivono all'azione censoria e a quella del tempo solo se si radicano nella cultura popolare e si affidano alla forza della sua capacità di trasmissione, tipicamente di natura orale. C'è chi le apprezza per il contesto stesso in cui nascono: se ad esempio una musica è underground, c'è chi è naturalmente predisposto ad attribuirle un valore intrinsecamente elevato, o comunque di per sé meritevole di attenzione, quando è evidente che anche la musica underground, specialmente quando arriva ad essere definita così, è già uscita dall'ombra e quindi dalla propria magia - quando c'è - e non è esente dai rischi di qualsiasi realizzazione, compreso quello del conformismo, contro cui vorrebbe innalzare la propria voce. 

Vi sono però altre manifestazioni di espressione creativa che, pur finanziate direttamente dal principe (il minuscolo è voluto), forse per calcolata tolleranza, forse per distrazione o sottovalutazione, forse per puro caso, sopravvivono alla censura e lasciano intravvedere in controluce dell'altro, un mondo diverso, che esprime senza timore, con naturalezza, alla maniera del popolo, il "basso" e anche ciò che non è bene dire. Considerato che lo fanno completamente a spese del principe e del potere, paradossalmente se ne può apprezzare il valore - quando c'è - persino con un sorriso di soddisfazione supplementare.

Negli anni in cui l'opera stava per trasformarsi da fenomeno puramente di corte a fenomeno popolare (il primo teatro d'opera al mondo aperto al pubblico fu il San Cassiano, a Venezia, nel 1637), a palazzo Barberini, centro di sviluppo dell'opera romana grazie all'omonima dinastia, che contava Maffeo Barberini (papa Urbano VIII) e i suoi nipoti Francesco e Antonio tra i suoi membri dell'epoca, Stefano Landi eseguiva, la prima volta nel nel 1632, un'opera sacra, il Sant'Alessio.

Dopo questa premessa didascalica e tortuosa, sproporzionata rispetto alla conclusione eppur in qualche modo necessaria, arrivo finalmente ad un testo piccolissimo, le cui parole e il cui significato, però, dato il contesto, riusciranno forse a rilucere meglio. Nell'opera di Landi si può ascoltare una canzone che fa semplicemente così:

Poca voglia di far bene;
viver lieto, andare a spasso
fresco e grasso mi mantiene,
la fatica m'è nemica;
e mentre io vivo così
è per me festa ogni dì.
Diridiridiridi, diridiridiridi.
Vada il mondo come vuole,
lascio andar, né mi molesto;
tutto il resto son parole.
Pazzo è bene da catene,
chi fastidio mai si dà
per saper quel che sarà.
Diridiridirida, diridiridirida.

(Little desire to do good; living contendedly, going walking, I keep myself fresh and plump, fatigue is my only enemy; and whilst I live like this, everyday is holiday for me. Diridiridiridi, diridiridiridi. Let the world do as it please, I let it be without troubling myself; all the rest is mere words. He is a raving madman who ever takes the trouble to know what the future holds. Diridiridirida, diridiridirida.)


E ora, finalmente, in una rappresentazione in cui sono due buffoni da commedia dell'arte a cantare il testo, il che spiega ancora meglio di tutti i miei arzigogolati tentativi come sia riuscita ad emergere dall'ombra della cultura popolare del '600 e a sopravvivere fino a noi, musica:



(powered by Splicd.comStefano Landi, Sant'Alessio

Se la cantate ad alta voce la mattina, può dare il meglio di sé. In bicicletta, poi, sui tratti pianeggianti e con sufficiente spazio per poter curvare e controcurvare a tracciare un invisibile ghirigoro sinusoidale per terra, può sfiorare il sublime.

Nessun commento:

Posta un commento