lunedì 26 novembre 2012

Della radice delle cose

L'influenza del pensiero cristiano nella storia europea è un dato di fatto, e quindi fuori discussione. Numerosi, tuttavia, volendo, sarebbero gli argomenti da sottoporre all'attenzione di coloro, altrettanto numerosi, che avrebbero voluto inserire nel preambolo della Costituzione europea il riferimento alle radici cristiane dell'Europa: un falso storico, oltre che un'ingerenza in un trattato laico, concepito per tutelare cittadini europei, e non cristiani europei. Omettendo i Papi, che svolgono il loro mestiere, e le gerarchie ecclesiastiche in generale, ne ricordo solo uno, Marcello Pera, che, in veste di Presidente del Senato, sentendosi in una vena particolarmente ispirata a principi liberali, ma non ad un altrettale respiro storico, si era spinto ad esprimere l'auspicio che vi si richiamassero le radici giudaico-cristiane.

Per dare supporto ad argomenti volti a liberare le radici dell'Europa da qualsiasi monopolio, monocolore o bicolore che sia, soprattutto se posteriore alle origini della sua cultura, che fu molteplice e fu pagana, e, in seconda battuta, ma non di minore importanza, per dare a Lucrezio (e ad Epicuro e a Democrito) quel che è di Lucrezio (e di Epicuro e di Democrito), basterebbe il ripristino di due versi due del De rerum natura.

Nel ricordare i due versi in questione, sarebbe idealmente mia intenzione resistere ad ogni inclinazione o deriva passibile di essere qualificata come anticlericale, anche se Odino sa quanto mi sia difficile. Passi quindi la chiesa di San Lorenzo in Miranda, insinuatasi nel corpo del tempio di Antonino e Faustina come un parassita. Passi l'appropriazione indebita di non poche feste pagane. Passi la promessa di una vita ultraterrena perché non ci si azzardi a sovvertire l'ordine delle cose in quella terrena. Passi l'accusa di deicidio rivolta agli ebrei. Passino le crociate. Passi l'imposizione del proprio credo a tutti i continenti. Passi il culto delle reliquie. Passino le indulgenze. Passino le braghe dipinte sui corpi del Giudizio michelangiolesco. Passino i processi a Giordano Bruno, Campanella e Galileo. Passino le stragi di eretici. Passi l'indice dei libri proibiti. Passino i roghi delle streghe. Passi tutta la Controriforma. Passi la mancata restituzione della Biblioteca Palatina a Heidelberg. Passi il Sillabo di Pio IX e passi pure la beatificazione di quest'ultimo. Passino le benedizioni dei cappellani militari a uomini mandati a morire e ad uccidere altri uomini. Passi il Concordato stipulato con l'Italia di Mussolini. Passino i silenzi durante il nazifascismo. Passi l'ospitalità concessa a Pavelić in Vaticano. Passino gli interventi nella politica italiana e non solo in quella. Passino le messe, i battesimi, i matrimoni ed i funerali celebrati a beneficio dei mafiosi. Passi la resistenza alla contraccezione e alla fecondazione artificiale e passino tutte le altre resistenze, inerzie, omissioni, silenzi, zeli ed ingerenze in territori, giurisdizioni e vite altrui*.

Passi (ma non si consegni all'oblio, se possibile) tutto, ma l'intervento, nel De rerum natura, della manina del cardinale Lambin, bibliotecario del re di Francia, che discretamente scambiò voluptas e voluntas nei versi 257 e 258 del libro II, intervento che ho potuto apprezzare con leggerissimo ritardo grazie a Heinz Wismann** (Penser entre les langues, Albin Michel, 2012) e alla sua conoscenza dei manoscritti, quello no, quello non dovrebbe passare.  

256 libera per terras unde haec animantibus exstat,
257 unde est haec, inquam, fatis avolsa voluptas?
258 per quam progredimur quo ducit quemque voluntas
Lucrezio

Infine, supponendo che tutti i movimenti siano tra loro concatenati e che il nuovo nasca sempre dal vecchio in un dato ordine, senza che gli elementi primi, deviando, producano qualche inizio di movimento che scardini i decreti del destino, impedendo che una causa segua un'altra infinitamente, da dove proviene questo libero piacere accordato sulla terra a tutti gli esseri animati, da dove proviene, dico, questo piacere strappato ai destini, che ci fa procedere dove ci conduce la volontà?


256 libera per terras unde haec animantibus exstat,
257 unde est haec, inquam, fatis avolsa voluntas?
258 per quam progredimur quo ducit quemque voluptas
Lucrezio dopo l'intervento del cardinale Lambin

Infine, supponendo che tutti i movimenti siano tra loro concatenati e che il nuovo nasca sempre dal vecchio in un dato ordine, senza che gli elementi primi, deviando, producano qualche inizio di movimento che scardini i decreti del destino, impedendo che una causa segua un'altra infinitamente, da dove proviene questa libera volontà accordata sulla terra a tutti gli esseri animati, da dove proviene, dico, questa volontà strappata ai destini, che ci fa procedere dove ci conduce il piacere?

Il terrore della voluptas, specie se libera, condannata a finire nel corto circuito del piacere = peccato.
Porre rimedio ad un simile intervento è ormai impossibile, almeno a breve termine. Tuttavia, anche una revisione delle future edizioni e persino, fin d'ora, una minuscola doppia freccia disegnata a matita in calce ai due versi di Lucrezio nei testi già in circolazione sarebbe sempre un buono, per quanto tardivo, inizio.
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*L'elenco non è esaustivo: per esempio, per limitarsi alla materia trattata, l'elenco non comprende il furto di un manoscritto del De rerum natura in Germania da parte del segretario della cancelleria papale, Poggio Bracciolini, nel 1417, e la censura, da parte dell'Inquisizione, dello stesso testo quando iniziò ad essere pubblicato a stampa (prima edizione: 1473, Brescia), particolarmente severa quando ne fu pubblicata la traduzione in italiano.
**Scrive Wismann, ed è un piacere riportarlo, tanto quanto lo è stato leggerlo: "come può l'uomo godere di una così grande libera voluttà (libera voluptas) quando è incatenato dalla volontà? Ora, nella logica dell'opera di Epicuro, è la volontà che è legata al meccanismo atomico, comandata in modo assoluto da questo. La correzione di Lambino è del tutto ideologica, nella misura in cui egli interpreta la voluttà come il peccato, e la libertà come la capacità del cristiano di liberarsi dalla costrizione.
Ma come si può parlare di una libera voluttà, e non di una libera volontà? Per Epicuro (e quindi per Lucrezio), mentre la volontà è interamente comandata dal meccanismo atomico, solo la voluttà è libera nella misura in cui essa è clinamen, vale a dire lo scarto minimo che appartiene alla riflessione, una deflessione che è in effetti una riflessione. E la voluttà non sta nel compimento degli atti che la volontà bruta ci impone; essa risiede in un piccolo scarto riflessivo rispetto a questa necessità di compiere gli atti dettati. Il vero godimento non sta nell'obbedire a degli imperativi fisici, quanto nello scostarsene un po', in modo da sapere quel che si fa, in un certo qual modo. È dunque quest'idea che permette subito di capire che il clinamen non funziona solamente a livello della caduta libera degli atomi in questa sorta di grande vuoto che è all'origine di tutte le cose, ma che opera anche nel mondo costituito dagli atomi. Si può dunque cominciare ad intravvedere in che cosa consista il piacere dell'amicizia, per esempio, precisamente fondato sul fatto di discostarsi, di non aderire a quello che è necessario, di essere in una forma di gratuità che trova conforto nella convinzione condivisa nello scarto. E il lathe biôsas, il fatto di non vivere questa vita visibile, che è la vita regolata della società, con tutti i suoi rituali, e la sua maniera di conformarsi alle aspettative. La vera voluttà è discostarsene e godere di una forma di convivenza originata dalla condivisione del sentimento di non essere completamente comandati. È questa, la piccola musica epicurea.
È tanto più espressivo, per come la vedo io, di centinaia di articoli che tentano di spiegare come, nell'orizzonte dell'epicureismo, si possa parlare di libera volontà. Questo non ha nessun senso. E quindi per far collimare la tradizione epicurea con la convinzione ideologica di una visione cristiana del mondo, il cardinale non poteva fare altro che sostituire una parola con l'altra."

4 commenti:

  1. Cara Francesca,
    come sai è sempre un piacere per me leggerti. Ma oggi al piacere si aggiunge altro.
    Pur non avendo la tua preparazione filologica e la tua conoscenza delle lingue, grazie a Gramsci e Pasolini sono arrivato anch’io a comprendere il rapporto stretto che c’è sempre stato nella storia tra lingua e potere.
    Oggi, grazie a te, l’assunto di sopra trova una ulteriore conferma.
    Saluti

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  2. Ho deciso di condividere il tuo pezzo sul mio blog.
    Un caro saluto

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  3. Francesco, sono una dilettante sostenuta da un po' di curiosità, ma grazie lo stesso.

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  4. Se tutti i dilettanti fossero come te...

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