domenica 20 novembre 2011

L'omino

Una volta B. ed io siamo andati a vedere una mostra di pittura che interessava ad entrambi. Dal momento della partenza, a Francoforte, fino all'arrivo ad Essen, abbiamo ininterrottamente ascoltato musica dei Rammstein (potenza dell'affetto per B.), parlandoci spesso sopra. Al ritorno, niente musica e solo qualche rara parola scambiata tra di noi (potenza dell'effetto di Caspar David Friedrich), tra cui il mio ricordargli che i tedeschi si sono furbescamente appropriati dello svedese Friedrich (debolezza del mio tendere alla provocazione). Con tutto l'affetto possibile per B. e per i suoi gusti musicali, il silenzioso viaggio di ritorno, se escludiamo la mia provocazione, è stato più bello di quello dell'andata.

La presenza di una Rückenfigur, una figura umana vista di spalle nel paesaggio, che ha generato molti scritti sulla capacità dello svedese di interpretare una visione romantica del mondo, esercita in me un'influenza di gran lunga più forte non nelle opere in cui un omino di spalle attira lo sguardo e contribuisce a condurlo nella direzione voluta dall'autore, ma in quelle in cui lo cerco a lungo senza trovarlo, perché in queste opere - e non sono poche - l'omino non c'è. È lì, nella sua presenza-assenza, proprio al culmine della sua rarefazione, che, libera di guardare la natura privata della presenza umana, divento io stessa l'omino che non c'è.

Non mi capita solo con Friedrich, ma anche con molte fotografie di Luigi Ghirri, che ha provato a guardare il mondo nei due modi detti. Non solo anche lui ha realizzato una lunga serie di opere in cui ha preso di spalle degli uomini e delle altre in cui la figura umana è apparentemente assente, ma si è occupato a fondo, ed esplicitamente, della questione dell'omino.
Fin da bambino, le fotografie che mi piacevano maggiormente erano quelle di paesaggio, che vedevo intercalate negli Atlanti con le carte geografiche. Mi affascinavano particolarmente queste fotografie, dove immancabile, immobile, appariva un piccolo uomo sovrastato dalle cascate del Niagara, monti, rocce, alberi altissimi e palme grandiose, o sul ciglio di un burrone. Questo omino lo trovavo poi nelle cartoline, che raffiguravano piazze più o meno celebri, oppure arrampicato su monumenti storici, o disperso nel foro di Roma, o sotto la torre di Pisa. Quello dell'omino era uno stato di continua contemplazione del mondo, e la sua presenza nelle immagini conferiva a queste un fascino particolare. Non solo era il metro di misurazione delle meraviglie rappresentate, ma grazie a questa misura umana mi restituiva l'idea dello spazio; io lo vedevo in questo modo e credevo attraverso questo omino di comprendere il mondo e lo spazio.
Quando più tardi ho iniziato a fotografare, ho continuato a guardare le fotografie di paesaggio, ma non ho più trovato l’omino. Scenari stupendi, fondali, spazi sempre più deserti ed incomprensibili si susseguivano, si frantumavano, si moltiplicavano in modo sempre più vertiginoso. Ma tutto questo mi sembrava inabitabile, o meglio i luoghi si erano dissolti, erano rimasti splendidi fondali in bianco e nero o in technicolor, l’omino era sparito; se ne era andato via ed aveva portato con sé la rappresentazione dei paesaggi e vi aveva lasciato il loro simulacro.  
Italian Studies, Heffers Printers, 2000
È probabilmente per la scelta dei suoi simulacri, delle parvenze che questi lasciano intravvedere, che le nature morte di Ghirri mi sembrano piene di vita e di presenza umana. Ce n'è una che mi piace particolarmente, scattata nell'atelier di Giorgio Morandi, perché fa elegantemente il verso alle bottiglie di questi usando altri oggetti (dei libri), giocando così con la nostra memoria, e perché lascia ampio spazio al vuoto, al silenzio e alla sospensione del tempo. Per una fortunata coincidenza, i libri di cui si riescono a leggere le copertine nella foto di Ghirri sono delle raccolte di poesie di Tagore e di Leopardi e, per un'altrettanto fortunata coincidenza, la raccolta leopardiana è scompaginata, quasi disossata, mentre quella di Tagore è integra.

Atelier Giorgio Morandi, via Fondazza, Bologna, 1989-1990

Tutto questo per provare ad esprimere quello che Charms avrebbe potuto sintetizzare più o meno così: 

Con omino: Bosch, Bruegel
Senza omino: de Chirico
Con e senza omino: Friedrich, Turner, Ghirri

altrimenti detto

Con omino (dentro o fuori): Bosch, Bruegel, de Chirico, Friedrich, Turner, Ghirri

E questo è (quasi) tutto.

Quasi perché è chiaro che dietro ad ogni parola fin qui inserita avevo in mente una poesia:

Dicono che la mia
sia una poesia d’inappartenenza.
Ma s’era tua era di qualcuno:
di te che non sei più forma, ma essenza.
Dicono che la poesia al suo culmine
magnifica il Tutto in fuga,
negano che la testuggine
sia più veloce del fulmine.
Tu sola sapevi che il moto non è diverso dalla stasi,
che il vuoto è il pieno e il sereno è la più diffusa delle nubi.
Così meglio intendo il tuo lungo viaggio
imprigionata tra le bende e i gessi.
Eppure non mi dà riposo
sapere che in uno o in due noi siamo una cosa sola.

Eugenio Montale

È sicuramente meno chiaro che dietro ad ogni parola avevo in mente anche un'amicizia a tre di breve, ma intensa durata. Nel periodo in cui è durata, ciascuno di noi tre ha fotografato delle figure di playmobil, gli omini per eccellenza dei tempi moderni, se non ultramoderni, con quel loro imperturbabile sorriso cristallizzato, che nessun evento riesce a scalfire. Al di là degli scarsi, se non nulli, esiti artistici, il gioco, in quanto gioco, non aveva nulla di superficiale, prova ne sia che da quando il rapporto si è concluso, non ho fotografato più alcun playmobil e, più in generale, sono tornata a fotografare pochissimo, quasi nulla, come era mia abitudine prima di quell'amicizia. Gli altri due partecipanti al gioco sembrano essersi dati una spiegazione della fine del rapporto e hanno dimostrato, seppur in modo diverso, il raggiungimento di un radicato convincimento che si sta esprimendo in un lungo silenzio, tanto ostinato quanto ostinati sono stati i miei tentativi di romperlo: uno ha affermato che sono emerse delle incompatibilità che erano presenti fin dall'inizio, l'altro che alcuni rapporti sono destinati a non durare. Io non lo conosco ancora, il vero Perché di quell'interruzione, anche se ho cercato di attribuirlo ad una fase non fortunatissima della mia vita: ora so solo che non ho interesse a trovarlo più e che forse (ripeto: forse) ha avuto a che fare con una questione di assenza-presenza, distanza-vicinanza e vuoto-pieno. L'ultimo mio tentativo di rompere il silenzio risale ad un paio di mesi fa. Resterà l'ultimo da quando ho ritrovato una pagina di Marías (che con tutta probabilità pensano si attagli perfettamente a me), un autore che, suo malgrado, è destinato a fare la stessa fine delle mie fotografie, scomparire dal mio paesaggio quotidiano, forse per essere più presente in quello del ricordo.
Hay personas que no perdonan que se porte uno bien con ellas, que les tenga lealtad, que las defienda y les preste su apoyo, no digamos que les haga un favor o las saque de algún apuro, eso puedes ser la sentencia definitiva para el bienhechor, me juego lo que sea a que conocerás tus ejemplos. Parece como si esas personas se sintieran humilladas por el afecto y la buena atención, o pensaran que con eso se las hace de menos, o no soportaran creerse en imaginaria deuda, u obligados a gratitud, no sé. Claro que esos individuos no querrían lo contrario tampoco, válgame el cielo, son de una gran inseguridad. Y no perdonarían aún menos que se portase uno mal y con deslealtad, que les negara favores y los dejara metidos en sus atolladeros. Hay personas que simplemente resultan ser imposibles, y lo único sabio es apartarse de ellas y mantenerlas lejos, que no se te acerquen ni para bien ni para mal, que no cuenten contigo, no existir para ellas, ni siquiera para combatirlas. Claro que eso es un desideratum. Por desgracia uno no resulta invisible a voluntad y según su elección. 
Javier Marías, Tu rostro mañana. Fiebre y Lanza, Alfaguara
Che un giorno, ad interrompersi, sia quel silenzio, resta il mio desideratum.

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