martedì 11 ottobre 2011

Ce que j'écris en ce moment


Quello che scrivo in questo momento in una cella del Fort du Taureau, l'ho scritto e lo scriverò per tutta l'eternità, su un tavolo, con una penna, con degli abiti ed in circostanze del tutto simili. E così vale per tutti. 
Auguste Blanqui, L'éternité par les astres : hypothèse astronomique, G. Baillière, Paris, 1872

Il testo di Blanqui è un testo incredibile, se lo si legge alla luce del contesto in cui è stato scritto. Così ho fatto qualche giorno fa, ché la prima volta avevo cercato invece di non farmi distrarre da nessuna critica e nemmeno da precise note biografiche, di cui inizialmente conoscevo solo, più o meno genericamente, una vita tutta spesa per la rivoluzione e la tomba al Père-Lachaise. Quest'ultima, anche se non vede lunghe file di pellegrini pagani come avviene per la tomba di Jim Morrison, vede comunque qualche mano che discretamente vi lascia ancora un fiore. Molto meglio così, direi: non c'è alcun culto, ma non si è spenta ancora del tutto la sua memoria.
Molti pensatori, di cui alcuni illustri, che preferisco non citare perché non intendo misurarmi con i grandi, ma intendo solo scrivere, e quindi, come dice Giovanni, "creare tempo" in una notte qualsiasi di un autunno che soffre di evidenti problemi di identità, trovano nel testo di Blanqui solo una forma di pessimismo senza speranza, specialmente a causa della negazione del progresso, che vi è espressa sia esplicitamente sia implicitamente, nei passaggi in cui emerge, ben prima di molta fantascienza e un decennio prima di Nietzsche, una teoria dell'eterno ritorno. Nel tempo e nello spazio, dice Blanqui, ci sono infiniti sosia di ognuno di noi, "in carne ed ossa, ossia in pantaloni e giacca, crinolina e chignon", in tutto e per tutto uguali ad ognuno di noi.
Trovarvi però solo un radicale pessimismo significa trascurare dell'altro che nel testo pur c'è e quindi forse commettere uno sbaglio, fosse anche marginale, come si sbagliava Blanqui - del tutto perdonabilmente - nel vedere crinolina e chignon nella parte femminile dell'intera umanità, anche in quella di epoca di molto antecedente o molto posteriore al 1872.
Innanzi tutto, Blanqui, per l'ennesima volta in carcere, si ostina a scrivere e lo fa partendo dalle stelle, che probabilmente nella sua cella affacciata su uno stretto cortile gli sono precluse alla vista, dunque desidera: "de-siderare", secondo un'interpretazione che, precisa o meno che sia, ho lo stesso da tempo registrato ed integrato così tra le mie convinzioni, esprime la condizione di chi, non potendo vedere le stelle quando il cielo è coperto, anela di rivederle.
E poi Blanqui afferma anche che resta pur aperto alla speranza "il capitolo delle biforcazioni". Resta aperto "solo" quello, dice: mi sembra già qualcosa, anzi, mi sembra già moltissimo, considerato quanto ne ha saputo trarre uno scrittore come Borges e quanto ognuno di noi può dedurne provando solo a fantasticare un po'.
Blanqui, in una biforcazione, avrebbe potuto per esempio svoltare di nuovo verso le tre condanne a morte, così, non per massima sfortuna, nessuna delle condanne essendo stata eseguita, ma per sommo di ironia, solo per il gusto di assecondare la teoria dell'eterno ritorno, o avrebbe piuttosto potuto svoltare da tutt'altra parte, sperabilmente lontano dalle aule dei tribunali e dal carcere - in cui spese più della metà della sua lunga vita - e verso la vittoria della Comune.
Se ci si allontana poi dall'interpretazione letterale, e quindi se non solo si accettano le crinoline e i chignon esclusivamente come degli esempi, ma anche le biforcazioni come semplici forme rappresentative di "pluriforcazioni", Blanqui avrebbe potuto morire nell'esecuzione della prima condanna a morte, o non nascere mai, o riuscire ad abolire la proprietà privata in Francia, provocandone, poi, con un effetto domino, la medesima sorte in tutta Europa e nel mondo. Nelle bi- o pluriforcazioni favorevoli, se la Comune avesse prevalso su Thiers, non avremmo oggi quella bruttura architettonica e simbolica del Sacré-Cœur(*) a svettare su Montmartre, la rivoluzione avrebbe contagiato prima una ricettiva Germania e poi la Russia, qualche decennio prima del 1917 e in forme a noi oggi ignote, la famiglia degli ex zar avrebbe conosciuto una morte naturale ed anonima in un condominio periferico di Pietroburgo, Mussolini sarebbe rimasto un giornalista con la passione per il violino, il nazismo non sarebbe nato perché privo simultaneamente sia del trattato di Versailles sia del proprio modello ideologico italiano di riferimento, Gasparri non saprebbe trovare Salò sulla cartina d'Italia e, non da ultimo, uno dei grandi pensatori cui mi riferivo avrebbe potuto ultimare la sua opera Das Passagen-werk.
Perché poi, se da una parte Blanqui nega il progresso, dall'altra si apre senza remore su mille altre possibilità, qui ancora inesplorate:
Non dimentichiamo che tutto ciò che si sarebbe potuto essere qui, lo si è altrove, da qualche parte. 
C'è qualcun altro, su Sirio ed altrove, che ha scritto e scriverà queste mie parole, ma, una volta imboccato il sentiero dello scrivere bene, quel qualcuno ha avuto e avrà l'accortezza di correggere tutti gli errori, di accorciare le frasi, di eliminare molti aggettivi e tutto il superfluo e di cancellare tutte le parole inutili, a cominciare dalla parola Gasparri.

(*) Sul Sacré-Cœur ha scritto e scriverà benissimo Barbara Spinelli in "Una parola ha detto Dio, due ne ho udite". Lo splendore della verità, Laterza, 2011:
[...] per capire questo nostro presente, è forse alla Terza Repubblica francese che bisogna risalire: fu allora che nacque, impetuosa, l'idea di un Ordine Morale da instaurare, con la sua graduatoria di valori massimi e minimi e la fusione tra politica, cultura, etica individuale, religione. Il nuovo ordine fu promesso nel 1873 dal maresciallo Mac-Mahon, appena nominato capo dello Stato.
Mai si parlò tanto di valori come in quell'epoca senza sete vera, ma con enormi ubriacature. Già allora se ne mettevano in risalto alcuni, a scapito di altri: se ne cercavano di impareggiabili, universali, affidati alla saggezza superiore della Chiesa. Già allora essi erano considerati, come ai tempi d'oggi, non negoziabili. La storia della Terza Repubblica e dell'era Mac-Mahon è l'esempio di come la politica può perire: alle spalle la Francia aveva una delle più umilianti sconfitte, quella del 1870 a Sedan nella guerra secolare con la Germania, seguita appena un anno dopo dalla rivolta della Comune di Parigi, finita in un massacro.
L'Ordre Moral parte da lì, il suo seme è nel nazionalismo scatenato da sanguinose esperienze e nel congiungersi di due disfatte: disfatta nella convivenza fra nazioni, e disfatta nella convivenza fra cittadini. La costruzione dell'abnorme cupola bianca del Sacré-Cœur di Montmartre, a Parigi, comincia nel 1875 e ambisce a essere la risposta moralizzatrice a queste sfide: anche architettonicamente la basilica è un Machtwort, una parola di potere che fissa, senza grazia, sommi valori. È il dispositivo ideale per una guerra attorno ad essi, combattuta con tanto più accanimento e ansia d'unanimismo in tempi che di valori sono vuoti, che sono incattiviti, inadatti ad affrontare con calma le avversità e gli avversari. È l'ora in cui la diversità e lo scetticismo fanno più paura. In cui i sovrani sognano la sospensione delle opposizioni, della democrazia, e l'avvento di unioni nazionali indeperibili. In cui clandestinamente sognano addirittura l'eternarsi di catastrofi, l'instabilità che cuoce a fuoco lento senza mai attenuarsi: perché le catastrofi rendono ineluttabile l'unione nazionale, auspicabili le tregue d'ogni conflitto, riprovevole qualsiasi moto dell'animo che non sia dominato dalla sequela del delitto e del castigo, della condanna e della redenzione. Il Sacré-Cœur è considerato dai partigiani dell'Ordine Morale come un mezzo per espiare Sedan e la Comune, oltre che per opporsi simbolicamente all'anticlericalismo dei repubblicani. È la Storia che si tramuta - qui, subito - in Giudizio Universale. 

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