venerdì 22 ottobre 2010

Te ciapi 'na crògna

In questo far parlare i bambini in italiano c'entra la paura che poi "si trovino male a scuola", che è infondata, anzi - ne sono sicuro - contraria al vero: il vantaggio psicologico e culturale di sapere sul serio una lingua, col fondo del proprio essere, è quasi impagabile. Ma c'entra anche, benché inespressa, l'altra preoccupazione ben più profonda: di farla finita in fretta con ogni richiamo al mondo della povertà, il mondo delle strettezze e delle tribolazioni, sentite come una sorta di "cose in dialetto". A questa linea di condotta che il nostro popolo ha scelto da sé, non per effetto di propaganda, non si può decentemente opporsi, e del resto sarebbe abbastanza fatuo provare. Ma sarebbe anche fatuo illudersi sulle conseguenze. Ora che abbiamo cominciato a mutilare i bambini, bisogna rassegnarsi al pensiero che la nostra lingua morirà presto, non c'è niente da fare. E non si tratta solo di una mutilazione linguistica. Bepi, araldico della posa di guardia aggressiva, minacciare (anni fa) col pugnetto un vile italofonino di città, ardendo di ironico furore, e dirgli Te ciapi 'na crògna...! mi ha rivelato in un lampo che morendo una lingua non muoiono certe alternative per dire le cose, ma muoiono certe cose.

Luigi Meneghello, Pomo Pero - Paralipomeni d'un libro di famiglia, Oscar Mondadori, 1987

Crògna: colpo dato con le nocche, preferibilmente in testa, preferibilmente dall'alto verso il basso. Se ben assestata, può causare crògnoe (bernoccoli). Se i colpi diventano numerosi, in sequenza, si possono trasformare in crognoade. Ciapàr vuol dire prendere. I puntini di sospensione esaltano il senso della minaccia. Insomma, difficilissimo rendere l'espressione in italiano: guarda che rischi di prenderti un colpo di quelli!



Congedo

Il piano inferiore del mondo
Ha un orlo di monti celesti
Ed è colmo di paesi.

Nei broli annerisce l’uva
che nessuno vuole raccogliere,
ne prendono qualche graspo
gli operai dell’officina,
uno ne piluccano uno ne gettano,
giacciono i gioielli neri
sotto le viti tra le erbacce.
Smurata è la mura dell’orto,
dilaniato il core,
mucchi di strame ingombrano
la corte, coppi caduti,
rotti rametti, pali fradici.
Intorno si vede sorgere
un mondo di cose nuove,
questa roba si spazza via,
trionfa un rigoglio
banale e potente.
Non è più una parodia,
è vero uso moderno,
i geometri se ne intendono
delle cose e dei loro nomi,
mio piccolo popolo
forzato da un ramo villano
di storia italiana,
è una foto ricordo - sorridi.

Va libretto mio, va a roccolare.

Luigi Meneghello, Pomo pero, cit.

(Cfr., volendo)

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