giovedì 9 settembre 2010

Polifem

Ti si velik

Strašan
U veličini
Svojoj

Ti si
Jak

Do boga

A ja
Niko
I ništa

To ključ je
Za tebe

Pa
Ipak
Moj si

Da ne bih
Tvoj
Bio

Ključ je to
Za mene

Čovjeka

Tvoje
Duge ruke
Neće nikada doprijeti
Do mog malog uplašenog srca

Mak Dizdar, Modra Rijeka



Polifemo

Sei grande,

terribile
nella tua
grandezza.

Sei
forte,

quasi un dio,

mentre io
sono nessuno
e niente:

questa è la chiave
per te.

Ma
tuttavia
sei mio.

Che io non
sarei
te:

questa è
la chiave
per me,

un uomo.

Le tue
lunghe braccia
non raggiungeranno mai
il mio piccolo cuore impaurito.


Dopo essermi persa qua e là nel tentativo di capire se dovessi per forza usare "bosniaco" come etichetta per la lingua di Dizdar nonostante i suoi scritti risalgano ad anni in cui il serbo e il croato erano ancora tenuti assieme da un trattino, mi sono rassegnata ad accettare questa follia, che Dizdar stesso ha in qualche modo anticipato con un suo intervento del 1970 speso in difesa del bosniaco.
Mi sono ritrovata solo dopo aver raggiunto un territorio neutro, lontano, in quanto tale probabilmente più disinteressato e meno distante dal vero, il Giappone (niente paura, impavidi cliccatori, basta avanzare fino in fondo e la lettura si fa meno incerta per un numero di lettori elevatissimo, almeno potenzialmente).


Non credo le mie parole vogliano esprimere una presa di distanza rispetto alla poesia o al poeta: non lo era nelle intenzioni prima di metterle per iscritto e non mi pare lo sia nemmeno a rileggerle ora. La poesia riportata è il segno di un interesse, che talvolta assume la forma di una debolezza capace di portarmi a mettere in secondo piano eventuali dubbi o ritrosie, per chi ha l'umiltà coraggiosa di misurarsi con l'antico e con il mito: il coraggio di confrontarsi con il già detto, l'umiltà di riconoscere la propria non esclusività. Le mie parole sono una minima testimonianza di imbarazzo e soprattutto di rammarico per gli esiti della storia jugoslava.


Credo poi, sempre di più, che la questione della lingua, in questa come in altre occasioni, non sia che un pretesto, ovvero il mio modo di occuparmi qui della parola čovjek. Un pretesto (o un mezzo, via) tendenzialmente sottovalutato rispetto ad altre discipline più nobili come la storia, la geopolitica, ecc.: non era forse già visibile, in quel trattino, tutto il senso di provvisorietà e di precarietà di quell'esperienza?


Infine, credo che da questa nota quelli bravi avrebbero tratto un post.


O ruddier than the cherry

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