lunedì 2 agosto 2010

Podría decir/Vorrei dirvi

Ésta será una historia de terror. Será una historia policiaca, un relato de serie negra y de terror. Pero no lo parecerá. No lo parecerá porque soy yo la que lo cuenta. Soy yo la que habla y por eso no lo parecerá. Pero en el fondo es la historia de un crimen atroz.
Yo soy la amiga de todos los mexicanos. Podría decir: soy la madre de la poesía mexicana, pero mejor no lo digo. Yo conozco a todos los poetas y todos los poetas me conocen a mí. Así que podría decirlo. Podría decir: soy la madre y corre un céfiro de la chingada desde hace siglos, pero mejor no lo digo. Podría decir, por ejemplo: yo conocí a Arturito Belano cuando el tenía diecisiete años y era un niño tímido que escribía obras de teatro y poesía y no sabía beber, pero sería de algún modo una redundancia y a mí me enseñaron (con un látigo me enseñaron, con una vara de fierro) que las redundancias sobran y que sólo debe bastar con el argumento.
Lo que sí puedo decir es mi nombre.
Me llamo Auxilio Lacouture y soy uruguaya, de Montevideo, aunque cuando los caldos se me suben a la cabeza, los caldos de la extrañeza, digo que soy charrúa, que viene a ser lo mismo aunque no es lo mismo, y que confunde a los mexicanos y por ende a los latinoamericanos.
Pero lo que importa es que un día llegué a México sin saber muy bien por qué, ni a qué, ni cómo, ni cuándo.

Roberto Bolaño, Amuleto, Anagrama, 2007

Per poco fra le tenebre

*


Si metta a verbale che non cerco poesie, sono le poesie a cercare me. A volte mi trovano, in tutte le loro forme. Io mi limito ad associarle ai miei ricordi. Come tutti i ricordi che si rispettino, i miei ricordi sono per lo più sghembi.


*


Vorrei dirvi: sono nato in Carso, in una casupola col tetto di paglia annerita dalle piove e dal fumo. C’era un cane spelacchiato e rauco, due oche infanghite sotto il ventre, una zappa, una vanga, e dal mucchio di concio quasi senza strame scolavano, dopo la piova, canaletti di succo brunastro.
Vorrei dirvi: sono nato in Croazia, nella grande foresta di roveri. D’inverno tutto era bianco di neve, la porta non si poteva aprire che a pertugio, e la notte sentivo urlare i lupi. Mamma m’infagottava con cenci le mani gonfie e rosse, e io mi buttavo sul focolaio frignando per il freddo.
Vorrei dirvi: sono nato nella pianura morava e correvo come una lepre per i lunghi solchi, levando le cornacchie crocidanti. Mi buttavo a pancia a terra, sradicavo una barbabietola e la rosicavo terrosa. Poi son venuto qui, ho tentato di addomesticarmi, ho imparato l’italiano, ho scelto gli amici fra i giovani più colti; - ma presto devo tornare in patria perché qui sto molto male.
Vorrei ingannarvi, ma non mi credereste. Voi siete scaltri e sagaci. Voi capireste subito che sono un povero italiano che cerca d’imbarbarire le sue solitarie preoccupazioni. È meglio ch’io confessi d’esservi fratello, anche se talvolta io vi guardi trasognato e lontano e mi senta timido davanti alla vostra coltura e ai vostri ragionamenti. Io ho, forse, paura di voi. Le vostre obiezioni mi chiudono a poco a poco in gabbia, mentre v’ascolto disinteressato e contento, e non m’accorgo che voi state gustando la vostra intelligente bravura. E allora divento rosso e zitto, nell’angolo del tavolino; e penso alla consolazione dei grandi alberi aperti al vento. Penso avidamente al sole sui colli, e alla prosperosa libertà; ai veri amici miei che m’amano e mi riconoscono in una stretta di mano, in una risata calma e piena. Essi sono sani e buoni.
Penso alle mie lontane origini sconosciute, ai miei avi aranti l’interminabile campo con lo spaccaterra tirato da quattro cavalloni pezzati, o curvi nel grembialone di cuoio davanti alle caldaie del vetro fuso, al mio avolo intraprendente che cala a Trieste all’epoca del portofranco; alla grande casa verdognola dove sono nato, dove vive, indurita dal dolore, la nostra nonna.


Scipio Slataper, Il mio Carso, Rizzoli


Parle-moi de ma mère

Nessun commento:

Posta un commento