Nella mia tastiera, fra i tanti, è ancora imbrigliato un post, forse addirittura una poesia, che ha per tema la scienza e la letteratura e che è ancora appesantito da troppe metafore non riuscite: vi si immagina cosa ne sarebbe di un ipotetico genio della letteratura che, ignorando e disprezzando la scienza e le sue applicazioni tecnologiche, fosse disposto a vivere in un mondo letteralmente privo di tutti i loro risultati e di un ipotetico genio della scienza che, ignorando e disprezzando i versi e ogni genere di narrazione, fosse disposto a vivere in un mondo letteralmente privo di parole. Per fortuna può restare ancora imbrigliato lì, con tutte le sue pesantezze, perché ieri mattina l'ho trovato già stampato, in poche parole, nel libro in lettura nel momento esatto - per dare un minimo di contesto - in cui stavo mancando la fermata della metropolitana alla quale avrei dovuto e voluto scendere.
Ritiro la mia mano. Il mendicante chiama sulla mia testa le calamità del cielo. Non alzo nemmeno le spalle. Il cielo non mi fa paura. È popolato da gas rari e da raziocinazioni umane.
Driss Chraïbi, Le passé simple, Folio 2010
Attraversando le gallerie per cambiare direzione e riprendere la via verso la stazione mancata, con il vento che preannuncia i vagoni, sono poi arrivati questi due versi:
Serán ceniza, mas tendrá sentido;
Polvo serán, mas polvo enamorado.
Francisco de Quevedo
(Saranno cenere, ma avrà sentimento; saranno polvere, ma polvere innamorata.)Poi tutto bene, ce l'ho fatta a scendere dove dovevo.
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