mercoledì 9 marzo 2022

A letter to Ukraine from Sarajevo / Una lettera all'Ucraina da Sarajevo

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La pagina dovrebbe durare per più di un anno, dice la BBC. Speriamo anche noi.

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Cari amici,

le organizzazioni umanitarie qui a Sarajevo stanno raccogliendo aiuti per voi e io sono seduta di fronte all'armadio del mio appartamento cercando di ricordarmi di cosa potete avere più bisogno. Non sono le mie calze calde o la mia giacca o i miei stivali caldi di cui avete più bisogno ora: è la mia maglietta vecchia di trent'anni, stampata con lo slogan che mi ha fatto resistere durante i 1425 giorni durante cui i serbi di Bosnia hanno sparato a volontà e tenuto la mia città sotto assedio, senz'acqua, senza cibo, senza elettricità, senza riscaldamento e senza comunicazioni con il mondo esterno. Ho portato quella maglietta e letto il suo messaggio mentre più di 2 milioni di granate cadevano sulle nostre teste e schivavo innumerevoli proiettili. Quella maglietta dice: "Sarajevo sarà, tutto il resto passerà".

Vi aspettano tempi brutti, amici miei, ma vi sono state spedite armi, per cui vi potete difendere. Noi, bosniaci, contrattaccammo, ma il mondo ci impose un embargo sulle armi. Non capì di che lotta si trattava a Sarajevo. Grazie a Dio, lo capisce adesso a Kyïv.

Avrete fame, sete, freddo, sarete sporchi, perderete le vostre case, i vostri amici e parenti, ma quello che vi farà più male saranno le bugie. Le bugie secondo cui voi siete in qualche modo colpevoli per quello che vi sta succedendo. Le bugie secondo cui voi in realtà state facendo quello che è stato fatto a voi. Queste bugie pianteranno migliaia di buchi nei vostri cuori, ma senza fermare il loro battito e senza ghiacciarli.

Vedo che hanno distrutto la vostra torre della televisione: vogliono tenervi al buio, proprio come tennero al buio noi. Vogliono spegnere le luci, in modo che non possiamo vedere quello che vi stanno facendo.

Scrivete tut-to. Registratelo. Un giorno definirà la vostra storia. Spiegherà agli ucraini che non sono ancora nati che cosa è successo e, molto probabilmente, finirà per essere usato come prova in tribunale contro quelli che stanno cercando di uccidervi.

Nei tempi bui che sono davanti a voi, perderete la fiducia, qualche volta, e sarete stremati, ma vi sto scrivendo dal futuro e vi sto dicendo: vincerete, proprio come facemmo noi. Io dovevo essere morta, ma sono sopravvissuta. Porterò i miei nipoti a fare una camminata, domani. Anche voi lo farete, un giorno, perché vedo in voi la stessa resilienza che vidi qui, vi sento cantare il vostro inno mentre respingete i carri armati a mani nude. Col tempo, canterete, come facemmo noi, canzoni nuove sul vostro coraggio durante questo dramma. E troverete i vostri slogan che vi terranno in vita.

Per ora, tuttavia, vi mando la cosa più preziosa che io abbia: è il mio slogan, un po' modificato per voi: "L'Ucraina sarà, tutto il resto passerà".

Slava Ukraïni.

Sarajevo,

Aida Čerkez 

mercoledì 2 marzo 2022

Invasione/Вторжение

No, non è un conflitto Ucraina-Russia o Russia-Ucraina, non è una guerra Ucraina-Russia o viceversa,  non è una crisi ucraina, non è assolutamente una questione ucraina. L'ultima espressione è particolarmente velenosa perché avvalora e integra nel linguaggio corrente la prospettiva putiniana, esattamente come la "questione ebraica" avvalorava quella hitleriana. Tanto meno è una "operazione militare speciale" ("специальная военная операция"), come detta Putin ai suoi organi di propaganda o a quelli di informazione sottoposti al suo controllo e alla sua censura.

Quella in corso è un'invasione russa dell'Ucraina o un'invasione dell'Ucraina da parte della Russia. Non abbiamo saputo o voluto vederla venire a dispetto delle aggressioni militari precedenti, non sappiamo o vogliamo riconoscerla ora che si mostra in tutta la sua violenza e la sua estensione, non sappiamo o vogliamo neanche nominarla per quel che è. Porta alla guerra, in Ucraina e forse altrove, ma stiamo assistendo ad un'invasione.

martedì 1 marzo 2022

« La guerre en Ukraine, non, ce n’est pas la Russie qui la fait mais les chars de Poutine »

Je ne suis retourné en Tchécoslovaquie qu’une seule fois de ma vie, en 1977. Cette année-là, mes parents avaient décidé d’y passer un mois entier, à Prague, puis à la campagne, chez des amis russo-tchèques, Frantichek et Natacha, en Moravie. Et je me souviens de la façon dont les gens se retournaient sur nous, avec froideur, avec colère, quand ils nous entendaient parler russe. Je parlais français avec mon père – tout était sourire, gentillesse. J’avais le malheur de dire un mot en russe à ma mère et plus rien n’existait, qu’une haine froide, résignée. Et je me sentais coupable sans l’être, coupable de partager la langue de ces gens qui avaient délibérément tué l’espoir. Je n’ai jamais voulu retourner à Prague, à cause de ça, et c’est le même sentiment qui me revient aujourd’hui, de honte et d’amertume impuissantes.

André Markowicz, Le Monde, 1 mars 2022

La guerra in Ucraina, no, non è la Russia che la fa, ma i carri di Putin 

Sono ritornato in Cecoslovacchia una sola volta in vita mia, nel 1977. Quell'anno, i miei genitori avevano deciso di passarvi un mese intero, prima a Praga, poi in campagna, da degli amici russo-cechi, František et Nataša, in Moravia. E mi ricordo del modo in cui la gente si voltava verso di noi, con freddezza, con rabbia, quando ci sentiva parlare russo. Quando parlavo francese con mio padre, era tutto un sorriso e una gentilezza. Se per caso mi scappava una parola in russo con mia madre, non c'era altro che odio freddo, rassegnato. E mi sentivo colpevole senza esserlo, colpevole di condividere la lingua delle persone che avevano deliberatamente ucciso la speranza. Non ho mai voluto ritornare a Praga per questo motivo, ed è lo stesso sentimento che riaffiora oggi, di vergogna e di amarezza impotenti.

André Markowicz, nato a Praga da madre russa, ha tradotto in francese l'opera omnia narrativa di Dostoevskij e, con Françoise Morvan, "Il maestro e Margherita" di Michail Bulgakov.