martedì 30 novembre 2010

Senza titolo

Il titolo non riesco proprio a sceglierlo, oggi.

Avrebbe potuto essere, molto semplicemente, Corso Magenta, quello che per me è stato Corso Magenta a Milano, per prima cosa le fughe dall'ufficio per andare a sentire Vittorio Sermonti recitare Dante a Santa Maria delle Grazie per poi finirne, a parte un'unica volta, non la più bella, fuori, al limite estremo del sagrato, seduta sul bordo del marciapiede, ad ascoltare - tram permettendo - la voce emessa dagli altoparlanti esterni per riscoprirne i versi, letti e riletti la sera prima e durante il percorso nella versione minuscola della Hoepli, che di tanto in tanto finisce tuttora in qualche mia tasca (ha volontà proprie, il Dante minuscolo hoepliano), ma soprattutto ad osservare, alquanto inaspettate, le sfilate di edizioni di Divina Commedia nuove, seminuove o vecchie, estratte da biblioteche casalinghe da brevi o lunghi torpori e portate a spasso per l'occasione da centinaia e centinaia di mani di tutte le età.



Avrebbe potuto però anche essere il mio primo incontro con Luigi Ghirri, che ebbe luogo proprio in Corso Magenta, al Palazzo delle Stelline, e la scoperta dal vivo della ricchezza dei suoi silenzi, della pienezza dei suoi vuoti, ed il mio ritrovarvi, forse per la prima volta concretamente, l'evidenza di una poetica che rispondeva totalmente alla mia radicata, seppur sostanzialmente inespressa, poetica del togliere togliere togliere, del togliere senza togliere il significato, anzi esaltandolo ed arricchendolo di spessore e di contenuto e di carica espressiva, di gioia o di rabbia, a seconda del caso.

Avrebbe anche potuto essere tre. O due.

Avrebbe potuto essere Il profilo delle nuvole.

Avrebbe potuto essere il titolo di un altro libro di Ghirri, quello che ho trovato a New York, senza cercarlo affatto (niente da fare, certi libri hanno volontà proprie), un libro che era destinato a una persona cara che non ho più rivisto dal mio soggiorno negli Stati Uniti. Un libro, in realtà, che non ha mai cessato di essere destinato a lei.

Avrebbe potuto essere l'Italia che il turista sembra non volere. O almeno non cercare. E che nemmeno moltissimi italiani sembrano volere. O cercare.

Lo svolgimento, invece, quello vero, lo lascio, come in molte altre occasioni, ad un poeta, offrendone una versione che, paradossalmente, ma per definizione, è tradimento al quadrato della versione originale.
Anche se non capisco molto di fotografia, ho sempre pensato che Ghirri fosse un genio. Gliel'ho detto una volta, in effetti, che pensavo fosse un genio. Si è un po' ritratto e ha detto "ma dai", ma si capiva che ci credeva e ne era contento. Ha finito per dire: "Ma molta gente non mi capisce". All'epoca l'idea che qualcuno non lo capisse mi sembrava impossibile, e comunque gli ho detto veramente così: "Sei il solo genio che io conosca". Ho cominiciato a pensare che fosse un genio quando ho visto il suo libro "Paesaggio italiano", quello delle edizioni Electa. Fino ad allora avevo pensato che le sue foto fossero molto belle; ma vedendole tutte assieme in questo libro, vedendo il montaggio che aveva fatto in questo libro con sua moglie Paola, ho capito che dietro alle sue foto c'era una concezione molto forte, onnipresente, eclatante del mondo, e che tutto quello che faceva rispondeva a questa concezione, che faceva avanzare con una lucidità e con una coerenza che mi fecero proprio venire in mente l'idea del genio, vale a dire di qualcuno che non si accontenta di avere delle grandi capacità espressive o di fare delle cose notevoli in campo artistico, ma che ha un'idea del mondo, che ha un'idea radicale e rivoluzionaria del mondo e la sviluppa con estrema facilità. E questa concezione del mondo, a me che non capisco molto di fotografia, è sempre sembrata questa: Ghirri ha continuamente sfiorato la banalità, ha applicato la sezione aurea nelle sue fotografie, ha sempre rischiato che le sue foto fossero prese per delle cartoline, e l'ha fatto proprio per mostrarci quello che è dietro al cartolina e che la cartolina non mostra più. Non so come esprimere meglio questa cosa: è come se Luigi Ghirri avesse voluto mostrarci, sempre, o almeno diciamo dopo la fase sperimentale, nell'età matura della sua opera, è come se avesse voluto mostrarci quello che la realtà avrebbe dovuto essere. Non so se vi sia un'idea platonica dietro questo, ma Ghirri mi ha sempre fatto pensare ad un uomo del Quattrocento, per questo sentimento di armonia, il carattere classico di cui ha impregnato tutta la sua opera, mostrando delle cose che non sono classiche, e facendole diventare classiche: ma in fondo, questo carattere classico è solo una maniera di vedere le cose; conoscendo un po' meglio la sua fotografia, l'equilibrio che esiste nei suoi negativi mi ha impressionato e continua ad impressionarmi questa idea del mondo che si fa senza sforzo, il numero tre che è sempre presente nelle sue foto, il numero perfetto, il numero della sezione aurea, tutte le sue foto possono dividersi in tre parti, o in due parti, hanno sempre avuto un centro, così ci sono certi numeri magici: uno, due e tre; sono in apparenza statiche e immobili e composte come lo sono le statue di Fidia e Prassitele e le madonne di Botticelli e come lo è tutta l'arte classica. Così mi sono sempre rappresentato Ghirri come un grande alchimista, come qualcuno che, in fondo, mostrava il mondo come avrebbe dovuto e potuto essere, ma è anche là, un po', l'idea della idealizzazione classica della realtà. Che poi, dietro al suo modo di mostrare il mondo come avrebbe dovuto essere, dietro questa maniera classica, ci sia una polemica molto forte, una posizione politica molto forte, una protesta molto forte contro quello che è il mondo e quello che ne stiamo facendo, è là, secondo me, la fonte del suo carattere classico, di questo carattere classico così profondamente "italiano". Così è, penso, quello che c'è dietro a questa apparente, stupefacente "semplicità", questa idea di un mondo semplice, che si crea da solo, e che non ha alcuna possibilità di essere diverso.
Carlo Bordini, luglio 1992
Traduzione della traduzione di Olivier Favier 

lunedì 29 novembre 2010

Ωδή σε μια επιτραπέζια λάμπα

Στη μνήμη του θείου μου
Παναγιώτη Kαλαμαριώτη

Παλιά επιτραπέζια λάμπα,
δουλεμένη από τεχνίτη Aνατολίτη
με φαντασία και πρόβλεψη.
Tην έφερ' ένας θειος μου δικαστής από τη Σμύρνη
και στο φως της
δεθήκανε οι νόμοι με τις πράξεις των ανθρώπων.

H πείρα της μεγάλη στα ελαφρυντικά,
στο τι βρασμός ψυχής, τι προμελέτη.
Tόσα χτυπήματα στο στήθος από ζηλοτυπία,
βεντέτες για μια μεσοτοιχία,
για μια κατσίκα που μηρύκασε ξένο χορτάρι.
Γνώρισε πάμπολλους προτέρους έντιμους βίους
κι ερωτεύτηκε ενόχους.

Kαημένε θείε,
πώς τα πας μ' αυτόν το νέο νομοθέτη
και τους νόμους του –
ύλη αδίδακτη ο θάνατος.
Tης ύπαρξής σου δεν πήγες συνήγορος.
Aλλ' είναι η ζωή
απ' τις χαμένες υποθέσεις,
ακόμα και για τους δυνατούς νομομαθείς,
όπως ήσουν.

Kληρονομιά μου τώρα η λάμπα.
Δουλεμένη με φαντασία
και προπαντός με πρόβλεψη.

Tο φως της, για νά 'ρθει να σταθεί
σαν άλλος ένας κουρασμένος αναγνώστης
του ίδιου μ' εμένανε βιβλίου
ή σαν διαιτητής ανάμεσα στο άγραφο χαρτί,
που νικητής πάλι βγαίνει απόψε
και νικημένα όσα σκόπευα να γράψω,
πηδάει μέσ' από πλούσια φύλλα φοινικιάς.
Kι αυτό υποκινεί βλάστηση.
Kάτω απ' τη φοινικιά
στέκει, σκυφτός και μειλίχιος, ένας γέροντας.
Eίχε και φλέβα πείρας ο τεχνίτης:
μόνο φως, μόνο φύλλα φοινικιάς,
φόβων και καιρών αντίπαλοι δεν γίνονται.
H μοναξιά φοβάται μόνο τον άνθρωπο δίπλα σου.

Kαλά λοιπόν που είναι εδώ αυτός ο γέροντας.
Aνατολίτη τον δείχνει η κελεμπία, το σαρίκι
και το μαυριδερό άσαρκο πρόσωπο.
Tο χέρι του, απλωμένο σε σένα,
δεν ξέρεις αν σε καλεί να πλησιάσεις,
αν απαιτεί, εξηγεί, οδηγεί ή προβλέπει.
Όλ' αυτά ένας τεχνίτης μπορεί να τα χωρέσει
στην ίδια κίνηση,
όπως κι η ζωή τα χωράει όλα στο ένα της πέρασμα.
Mπορεί να είναι μουεζίνης
κι ετούτη τη στιγμή να εξηγεί στο θεό του
τι λείπει από τον έναν κόσμο.
Mπορεί να είναι επαίτης.
Ή νυχτοφύλακας
της προεκτεινόμενης πέρ' απ' τη λάμπα τροπικότητας.
Ίσως ρήτορας ξεπεσμένος σε είδη διακοσμητικά,
ασκητής,
οδοιπόρος που πέτυχε ίσκιο αναπάντεχο
στην προεκτεινόμενη πέρ' απ' τη λάμπα έρημο.
Ποιος ξέρει; Kανένας περιηγητής,
που έχασε το δρόμο
αλλά και το νόημα της περιηγήσεώς του.
Kαι τώρα, υψώνοντας το χέρι, με ρωτάει
ποιος είν' ο δρόμος και ποιο το νόημά του.
Eμένα ρωτάει
ποιος είν' ο δρόμος και ποιο το νόημά του;

Nυχτοφύλακας ή επαίτης,
περιηγητής, ρήτορας,
μωαμεθανός ή άπατρις,
εμένα δεν με νοιάζει.
Eγώ,
έτσι που πέρασαν τα χρόνια,
έτσι που ήρθανε τα πράγματα,
Προφήτη τον ορίζω.
Γιατί Προφήτη τον χρειάζομαι,
έτσι που χάθηκαν τα χρόνια,
έτσι που στέκουνε τα πράγματα.

Κική Δημουλά, 1994


Ode ad una lampada da tavolo

Alla memoria di mio zio
Panaghiótis Kalamariótis

Vecchia lampada da tavolo,
lavorata da un artigiano d'Anatolia
con fantasia e lungimiranza.
La portò un mio zio, un giudice, da Smirne
e alla sua luce
si sono unite le leggi e le azioni degli uomini.

Lei la sa lunga sulle circostanze attenuanti,
i momenti di follia, la premeditazione.
Tutti i colpi nella pancia per gelosia,
le vendette per un muro in comproprietà,
per una capra che pascola sull'erba del vicino.
Lei ha conosciuto così tanti precedenti,
si è innamorata dei colpevoli.

Caro zio,
come va con la nuova legislatura
e le sue leggi —
la morte non è una materia in programma.
Non hai fatto causa per la tua esistenza.
Ma la vita fa parte
delle cause perse,
anche per i migliori giuristi
come te.

Ho ricevuto la lampada in eredità.
Lavorata con fantasia
e soprattutto lungimiranza.

La sua luce, quando viene a porsi
come un altro lettore stanco
del mio stesso libro
o come arbitro tra la pagina bianca
ancora una volta vincitore stasera,
e, vinto, quello che volevo scrivere
spunta tra le palme delle mani come foglie rigogliose.
E stimola la crescita.
Sotto la palma,
in piedi, ricurva, l'aria mite, un vecchio.
L'artista aveva talento ed esperienza:
la luce e le palme sole
non possono lottare contro le paure e il tempo.
La solitudine prende solo la persona a fianco.

È quindi bene che sia là, questo vecchio.
Tunica e turbante fanno di lui un anatolico
così come il suo nero viso smunto.
Il suo braccio teso, non si sa
se inviti ad avvicinarglisi,
se esiga o spieghi o indichi o preveda.
Un artista può cogliere tutto questo
in un unico gesto,
così come la vita coglie tutto in un passaggio.
Forse è un muezzin
mentre spiega al suo dio
ciò che manca a questo mondo.
Forse è un mendicante.
O un portiere di notte
che custodisce la tropicalità al di là della lampada.
Forse un retore decaduto che si occupa di decorazioni,
un asceta,
o un viandante che nel deserto al di là della lampada
ha trovato un'ombra imprevista.
Chi lo sa? Un viaggiatore
che ha perso la strada
ma anche il senso del suo viaggio.
E ora, alzando il braccio, mi chiede
quale sia la strada e cosa significhi.
È a me che domanda
quale è la strada e cosa significa?

Guardiano di notte, mendicante,
viaggiatore, retore,
musulmano, apolide,
poco importa.
Io,
quando vedo passare gli anni,
quando vedo come vanno le cose,
faccio di lui un Profeta.
Perché ho bisogno del Profeta,
quando vedo perdersi gli anni,
quando vedo come stanno le cose.

Kikí Dimulá

sabato 27 novembre 2010

Variations At Home And Abroad

It takes a lot of a person's life
To be French, or English, or American
Or Italian. And to be at any age. To live at any certain time.
The Polish-born resident of Manhattan is not merely a representative of
general humanity
And neither is this Sicilian fisherman stringing his bait
Or to be any gender, born where or when
Betty holding a big plate
Karen crossing her post-World War Two legs
And smiling across the table
These three Italian boys age about twenty gesturing and talking
And laughing after they get off the train
Seem fifty percent Italian and the rest percent just plain
Human race.
O mystery of growing up! O history of going to school!
O lovers O enchantments!

The subject is not over because the photograph is over.
The photographer sits down. Murnau makes the movie.
Everything is a little bit off, but has a nationality.
The oysters won't help the refugees off the boats,
Only other human creatures will. The phone rings and the Albanian
nationalist sits down.
When he gets up he hasn't become a Russian émigré or a German circus
clown
A woman is carrying a basket—a beautiful sight! She is in and of
Madagascar.
The uniformed Malay policeman sniffs the beer barrel that the brothers of
Ludwig are bringing close to him.
All humanity likes to get drunk! Are differences then all on the surface?
But even every surface gets hot
In the sun. It may be that the surface is where we are all alike!
But man and woman show that this isn't true.
We will get by, though. The train is puffing at the station
But the station isn't puffing at the train. This difference allows for a sense
of community
As when people feel really glad to have cats and dogs
And some even a few mice in the chimney. We are not alone
In the universe, and the diversity causes comfort as well as difficulty.
To be Italian takes at least half the day. To be Chinese seven-eighths of it.
Only at evening when Chang Ho, repast over, sits down to smoke
Is he exclusively human, in the way the train is exclusively itself when it is
in motion
But that's to say it wrongly. His being human is also his being seven-eighths
Chinese.
Falling in love one may get, say, twenty percent back
Toward universality, though that is probably all. Then when love's gone
One's Nigerianness increases, or one's quality of being of Nepal.
An American may start out wishing
To be everybody or that everybody were the same
Which makes him or her at least eighty percent American. Dixit Charles
Peguy, circa 1912,
"The good Lord created the French so that certain aspects of His creation
Wouldn't go unnoticed." Like the taste of wheat, sirrah! Or the Japanese.
So that someplace on earth there would be people who were
Writing haiku. But think of the human body with its arms
Its nose, its eyes, its brain often subject to alarms
Think how much energy, work, and time have gone into it,
To give us such a variegated kind of humanity!
It takes fifteen seconds this morning to be a man,
Twenty to be an old one, four to be an American,
Two to be a college graduate and four or five hours to write.
And what's more, I love you! half of every hour for weeks or months for
this;
Nine hundred seconds to be an admirer of Italian Renaissance painting,
Sixteen hours to be someone awake.
One is recognizably American, male, and of a certain generation. Nothing
takes these markers away.

Even if I live in Indonesia as a native in a hut, someone coming through
there
Will certainly gasp and say Why you're an American!
My optimism, my openness, my lack of a sense of history,
My distinctive facial muscles ready to look angry or sad or sympathetic
In a moment and not quite know where to go from there;
My assuming that anything is possible, my deep sense of superiority
And inferiority at the same time; my lack of culture,
Except for the bookish kind; my way of acting with the dog, come here
Spotty! God damn!
All these and hundreds more declare me to be what I am.
It's burdensome but also inevitable. I think so.
Expatriates have had some success with the plastic surgery
Of absence and departure. But it is never absolute. And then they must bear
the new identity as well.

Irish or Russian, the individuality in them is often mistaken for nationality.
The Russian finding a soul in the army officer, the Irishman finding in him
someone with whom he can drink.
Consider the Volga boatman? One can only guess
But probably about ninety percent Russian, eighty percent man, and thirty
percent boatman, Russian, man, and boatman,
A good person for the job, a Russian man of the river.
This dog is two-fifths wolf and less than one-thousandth a husband or
father.
Dogs resist nationality by being breeds. This one is simply Alsatian.
Though he may father forth a puppy
Who seems totally something else if for example he (the Alsatian) is attracted
To a poodle with powerful DNA. The puppy runs up to the Italian boys
who smile
Thinking it would be fun to take it to Taormina
Where they work in the hotel and to teach it tricks.
A Frenchwoman marvels at this scene.
The woman bends down to the dog and speaks to it in French.
This is hopeful and funny. To the dog all human languages are a perfumed
fog.
He wags and rises on his back legs. One Italian boy praises him, "Bravo!
canino!"
Underneath there is the rumble of the metro train. The boy looks at the
woman.
Life offers them these entangling moments as—who?—on a bicycle goes
past.
It is a Congolese with the savannah on his shoulders
And the sky in his heart, but his words as he passes are in French—
"Bonjour, m'sieu dames," and goes speeding off with his identity,
His Congolese, millennial selfhood unchanging and changing place.

Kenneth Koch


Ci vuole gran parte di una vita di una persona
per essere francese o inglese o americano
o italiano. E per avere una qualsiasi età. Per vivere in un certo periodo.
Il residente di Manhattan di origine polacca non è solo un rappresentante
dell'umanità in genere
e non lo è nemmeno questo pescatore siciliano che dà lenza
O per essere di qualsiasi sesso, nato in qualsiasi posto o momento
Betty che tiene un grande piatto
Karen che accavalla le sue gambe da dopoguerra
e sorride dall'altra parte del tavolo
Questi tre ragazzi italiani di circa vent'anni che gesticolano e parlano
e ridono dopo essere scesi dal treno
sembrano per il cinquanta percento italiani e per il resto solo semplice
razza umana.
O mistero della crescita! O storia dell'andare a scuola!
O amanti O incantamenti!

Il tema non è finito solo perché è finita la fotografia.
Il fotografo si siede. Murnau realizza il film.
Tutto è un po' distante, ma ha una nazionalità.
Le ostriche non aiuteranno i rifugiati a sbarcare dalle navi,
solo altre creature umane lo faranno. Il telefono squilla e il nazionalista
albanese si siede.
Quando si alza non è diventato un émigré russo o un pagliaccio da circo
tedesco.
Una donna sta portando un cesto—una bellissima visione! È in e del
Madagascar.
Il poliziotto in uniforme malese annusa il barilotto di birra che i fratelli di
Ludwig gli stanno portando accanto.
A tutta l'umanità piace ubriacarsi! Sono quindi le differenze solo superficiali?
Ma persino ogni superficie si riscalda
al sole. Magari è la superficie il posto in cui siamo tutti simili!
Ma l'uomo e la donna dimostrano che ciò non è vero.
Ce la faremo, però. Il treno sta sbuffando alla stazione
ma la stazione non sta sbuffando al treno. Questa differenza consente di provare un senso
di comunità
come quando le persone si sentono molto felici di avere gatti e cani
e alcuni persino qualche topo nel camino. Non siamo soli
nell'universo, e la diversità provoca consolazione e anche difficoltà.
Per essere italiano ci vuole almeno mezza giornata. Per essere cinese sette ottavi della stessa unità di tempo.
Solo la sera quando Chang Ho, dopo cena, si siede a fumare
è esclusivamente umano, nello stesso modo in cui il treno è esclusivamente se stesso quando è
in movimento
ma questo è un brutto modo di esprimerlo. Il suo essere umano è anche il suo essere per sette ottavi
cinese.
Innamorandosi, si può recuperare, diciamo, il venti percento
di universalità, per quanto sia probabilmente tutto. Poi quando l'amore se ne va
la propria nigerianità aumenta, o lo fa la propria qualità di essere nepalese.
Un americano può cominciare ad augurarsi
di essere chiunque o che tutti siano uguali
il che lo/la rende almeno per l'ottanta percento americano. Disse Charles
Peguy, nel 1912 circa,
"Il buon Dio creò i francesi per evitare che alcuni aspetti della Sua creazione
finissero ignorati." Come il gusto del frumento, signore! O il giapponese.
In modo tale che da qualche parte sulla terra ci sia gente che scrive
haiku. Ma pensate al corpo umano con le sue braccia,
il suo naso, i suoi occhi, il suo cervello spesso soggetto ad allarmi
Pensate quanta energia, lavoro e tempo vi si sono spesi,
per darci una così variegata umanità!
Ci vogliono quindici secondi stamattina per diventare uomini,
venti per diventare vecchi, quattro per diventare americani,
due per diventare un collega laureato e quattro o cinque ore per scrivere.
E quel che c'è di più, vi voglio bene! per mezz'ora ogni ora per settimane o mesi per
questo;
ci vogliono novecento secondi per diventare ammiratori della pittura rinascimentale italiana,
sedici ore per essere svegli.
Si è palesemente americani, maschi e di una certa generazione. Nulla
toglie questi segni.

Anche se vivo in Indonesia da autoctono in una capanna, qualcuno che ci
arrivi
resterà inevitabilmente senza fiato e dirà Perché sono un americano!
Il mio ottimismo, la mia apertura, la mia mancanza di senso storico,
i miei caratteristici muscoli facciali pronti a sembrare arrabbiati o tristi o cordiali
in un momento e non a sapere bene dove andare da lì;
il mio dare per scontato che tutto sia possibile, il mio profondo senso di superiorità
e al contempo di inferiorità; la mia mancanza di cultura,
a parte quella libresca; il mio relazionarmi col cane, vieni qui
Spotty! Dannazione!
Tutte queste cose e centinaia d'altre dichiarano quello che sono.
È gravoso ma anche inevitabile. Almeno lo penso.
Gli espatriati hanno avuto un certo successo con la chirurgia plastica
di assenza e partenza. Ma non è mai assoluto. E poi devono sopportare
anche la nuova identità.

Irlandesi o russi che siano, la loro individualità è spesso scambiata per nazionalità.
Il russo che trova un'anima nell'ufficiale dell'esercito, l'irlandese che vi trova
qualcuno con cui poter bere.
Considerare il barcaiolo del Volga? Si può solo tirare a indovinare,
ma probabilmente per circa il novanta percento è russo, per l'ottanta percento uomo e per il trenta
percento barcaiolo, russo, uomo e barcaiolo,
uno adatto per il lavoro, un russo del fiume.
Questo cane è per due quinti lupo e per meno di un millesimo marito o
padre.
I cani resistono alla nazionalità in quanto razze. Questo è semplicemente alsaziano.
Però potrebbe generare un cucciolo
dall'aspetto completamente diverso se per esempio lui (l'alsaziano) sentisse un'attrazione
per un barboncino con un potente DNA. Il cucciolo corre dai ragazzi italiani
che sorridono
pensando che sarebbe divertente portarlo a Taormina
dove lavorano all'hotel e insegnargli dei trucchi.
Una donna francese si meraviglia della scena.
La donna si abbassa verso il cane e gli parla in francese.
È una cosa promettente e divertente. Per il cane tutte le lingue umane sono una nebbia
profumata.
Dimena la coda e si alza sulle zampe posteriori. Un ragazzo italiano lo loda "Bravo!
canino!"
Sotto c'è il rumore della metropolitana. Il ragazzo guarda la
donna.
La vita offre loro questi momenti intricati come —chi?—passa oltre
su una bicicletta.
È un congolese con la savana sulle spalle
e il cielo nel cuore, ma le sue parole mentre passa sono francesi—
"Bonjour, m'sieu dames," e si affretta con la sua identità,
la sua congolese, millenaria individualità immutabile pur mutando di luogo.

venerdì 26 novembre 2010

Dizionario di tutte 'e cose - N come niente

Niente, ci sembrava di aver sentito un botto e poi le parole di un sindacalista che invitava la gente in piazza alla calma. Ci sembrava. Ci sembrava di aver visto delle fotografie con morti e feriti. Ci sembrava. Ci sembrava di poter dire strage. Ci sembrava. Ci sembrava di aver sentito le parole Ordine Nuovo e gli acronimi SID e SISMI. Ci sembrava. Le cose che ci sembra di aver sentito e visto, alle volte. Come gli incubi, che sembrano veri e al risveglio spariscono, lasciando dietro di sé una sola traccia nei ricordi, condensata in un'immagine in bianco e nero. Ne abbiamo avuti di ricorrenti: di questo, non rimane niente altro che una piazza coperta di ombrelli.

Brogi.info

In questo luogo il 28 maggio 1974 non è successo niente
La strage di Brescia e l'ombra dei generali, di Emilia Borzì
Foto de L'Unità
Audio di Radio Radicale
Wikipedia

*
Das Beil von Wandsbek. Prolog. Gesprochen vom jüngsten Schauspieler des Hauses.

Diese Historie ist von vorgestern -
Vorgestern sagt ich? - aus dem Kambrium
Oder Silur; wer will das wissen?
Die Eiszeit war noch Zukunft jedenfalls -:
Damals regierte, raunen die Fossile
In Deutschland ein gewisser A Punkt Hiller
Oder Gittler (: A vermutlich Adolph)
Und wieder andre heißen ihn Schickelgruber
Der Erfinder der Autobahn. Der soll -
Doch das bestreiten Viele - auch abscheulich
Gemordet haben. Wir tappen im dunkeln.
Von einem Krieg ist sonderbar die Rede
gegen das eigne, oder fremdes, Volk -
Ob der gewonnen worden, ob verloren:
Man weißt nicht recht. Zwar gab es wohl Ruinen.
Ein altes Buch nennt einen Fleischermeister
Als Täter. Oder Opfer. War das der Gittler?
Kein Mensch guckt durch. Von A bis Z Legende.
In diesen Abgrund jetzt uns zu verfügen
Sind wir gewillt und wünschen viel Vergnügen.

Karl Mickel
6. Juni 1994, 50 Jahre D-Day


La scure di Wandsbek. Prologo. Recitato dal più giovane attore del teatro.

Questo racconto è dell'altro ieri -
Ho detto l'altro ieri? - del Cambriano
o del Siluriano; chi lo vuole sapere?
L'era delle glaciazioni era ancora in ogni caso futuro -:
all'epoca governava, sussurrano i fossili,
in Germania un certo A punto Hiller
o Gittler (: A presumibilmente Adolph)
e degli altri lo chiamano Schickelgruber
l'inventore dell'autostrada. Deve -
per quanto molti lo contestino - aver anche
orribilmente assassinato. Brancoliamo nel buio.
Si parla in particolare di una guerra
contro il proprio popolo o un popolo straniero. 
Se sia stato vinto, o abbia perso
non si sa con precisione. Sicuramente ci sono state macerie.
Un vecchio libro ritiene un mastro macellaio
il carnefice. O la vittima. Era Gittler?
Nessuno ci capisce niente. Leggenda dalla A alla Z.
A disporci ora in questo abisso
siamo pronti ed auguriamo buon divertimento.

6 giugno 1994, 50° anniversario del D-Day

mercoledì 24 novembre 2010

Infanzia

Sün ün banc
suot il sulai
tschainta ün uffant
e disch
plajà aint in seis sömmi
ad üna chavra
chi passa speravia:
Bun di

Leta Semadeni


Su una panchina
sotto il sole
è seduto un bambino
e dice
perso nei suoi sogni
ad una capra
che passa:
Buongiorno

Miklós Erdély, 1976
(a sinistra l'autore della foto, a destra anche)

martedì 23 novembre 2010

Zelebration

wir haben gebacken
weiches weißes brot das zufrieden macht
brot für die brottasche

weißt du noch wie wir fuhren
auf dem containerschiff in Gdynia stolz
wie die Spanier rotes halstuch weiße bluse
träumten wir uns ans andere ende der welt
Crusoe waren wir und Karl May seine bücher
unterm ladentisch kaufte großmutter
für gutes geld
aber papier hat keine geduld
und den abstand zwischen zwei punkten
kann man durch geschwindigkeit
nicht schmelzen

im grunde sind wir noch die kinder
vom schiff das uns zum tanken mitnahm
doch wenn die tochter in der wirform spricht
meint sie uns nicht mit

weißt du noch wie wir russisch lernten
in Polen um Gottes willen kein deutsch
in Serbien reden die kinder nur Englisch

du segnest den laib mit dem messer
reichst zuerst der großmutter ein stück

wie immer siehst du wie sie zitternd
in zeitlupe den mund sich zur hand führt
in den augen die freude am brot

Róža Domašcyna


abbiamo cotto
morbido pane bianco che soddisfa
pane per il cesto del pane

ti ricordi come viaggiavamo
sulla nave portacontainer a Gdynia orgogliosi
come gli spagnoli fazzoletto rosso al collo camicetta bianca
ci sognavamo dell'altro capo del mondo
eravamo Crusoe e Karl May i suoi libri
sotto il bancone la nonna comprava
a buon prezzo
ma la carta non ha pazienza
e la distanza tra due punti
non si riesce a colmare
con la velocità

in fin dei conti siamo ancora i bambini
della nave che ci portava a fare benzina
però quando nostra figlia parla al plurale
non intende noi

ti ricordi come imparavamo il russo
in Polonia per l'amor di Dio non il tedesco
in Serbia i bambini parlano solo inglese

tu benedici la pagnotta col coltello
ne porgi innanzi tutto un pezzo alla nonna

come sempre vedi come tremante
porta al rallentatore la bocca alla mano
negli occhi la gioia per il pane

Date le origini dell'autrice, nata a Zerna (Sernjany), la Serbia dovrebbe essere la regione posta tra Germania, Polonia e Repubblica Ceca in cui vivono i sorbiun tempo nota come Serbia bianca

Pane bianco di mia madre, cotto il 10 marzo 2008

mercoledì 17 novembre 2010

101 ragioni per imparare l'ungherese - 11

Per scoprire chi è quel burlone di un ungherese che, dalla sera alla mattina, e per il solo gusto di prendersi gioco di Dante, ha cambiato il sì ungherese da  a igen.

*

Dante aveva fatto un unico ceppo delle lingue di slavi, ungheresi, tedeschi, sassoni ed inglesi, accomunandole tra loro in base al modo comune di dire sì (jo). Una svista, un sentito dire non verificato, una gran sparata, chissà. Senza che il fascino del suo trattato ne abbia risentito di una iota, tra l'altro.


Dante Alighieri, De vulgari eloquentia, Jacopo Corbinelli, Parigi, 1577

La copia da cui sono tratte le immagini è la copia del De vulgari eloquentia e reca delle note manoscritte gustosissime. Ne riporto solo due, per lasciare a quelli che si perdono in cose così il piacere di trovare le altre. 

J'ai acheté ce livre le 26. Novemb. 1754. Fr. Jos. Des Billons. Soc. J.
Ho acquistato questo libro il 26 novembre 1754. Fr. Jos. Des Billons. Soc. J.



Aggiornamento: se leggete i commenti, vi troverete un bellissimo errata corrige.

martedì 16 novembre 2010

Parece que no es nada una bicicleta

Visitando Poemas del río Wang, un blog-mondo, secondo una definizione di Effe, mi sarebbe venuta voglia di lasciare un segno di gratitudine nei suoi commenti, ma avrebbe rischiato di risolversi in un intervento maldestro rispetto allo spirito con cui Studiolum dedica il suo spazio alla sensibilità dei fotografi iraniani, nel caso odierno declinata al femminile, e più in generale, rispetto al modo in cui ci consente di spalancare finestre su molti luoghi "altri" e sulle persone che quei luoghi hanno reso e rendono dotati di grazia, evocativi di significati che vanno al di là, letteralmente, del qui e ora. Ripiego allora su un gesto alternativo, riprendendo una poesia di Max Aub già postata a suo tempo, pur sapendo bene che il meccanismo che rende perfetta questa piccola, modesta macchina poetica con un motore a due tempi è - per diversi motivi - solo quello originale.

Impromptu

I
Pasa una bicicleta
por la carretera.
Parece que no es nada
una bicicleta...
Pero vista detrás de una alambrada
ese trasto de dos ruedas
le llena a uno de ideas.

Por la carretera
va que vuela,
una bicicleta.

II
¿Qué treta
me juegas,
fortuna y rueda?
De mis pies nacen andas
y surgen sedas.

Por sólo altibajar mal las rodillas
yo mismo me llevo en sillas.

Ya más que Clavileño, Clavileña
dulce, metálica, sin par sorpresa:
¡Oh noble bicicleta!

Max Aub
Diario de Djelfa, 21.2.1942


I diversi motivi, dicevo. Ce ne sono in effetti diversi che mi hanno indotto a parlare di perfezione, seppure su scala ridotta, tutti esterni alla forma del testo in quanto tale. Derivano piuttosto dal contesto stesso in cui Aub scrisse questa poesia, ovvero nel campo di concentramento di Djelfa, in Algeria, dove lui, spagnolo di madre francese  e padre tedesco, socialista denunciato come comunista, di origine ebraica, nato francese, ma sans papiers ante litteram, insomma il prototipo dello straniero indesiderato dalla Francia di Pétain, fu internato. Passano anche per il trattamento di sostanziale indifferenza dedicato alla raccolta da cui è tratta la poesia. Sono inoltre legati alla forza con cui si è impresso nei ricordi visivi di uno spirito internazionalista e laico come quello di Aub il rituale, tutto cattolico, in cui il santo viene portato in processione su un fercolo (las andas) ornato di tessuti preziosi. Sono poi completati dal richiamo letterario al Quijote e al cavallo di legno alato, quello in grado di trasportare l'hidalgo e il suo scudiero in realissimi luoghi immaginari e, infine, dal ruolo svolto dalla bicicletta nel paesaggio familiare in cui si sono mossi i miei nonni e dal fatto che la mia, di bicicletta, nel momento stesso in cui ho letto per la prima volta questa poesia di Aub, si è trasformata in un cavallo alato - e considerato che la mia bicicletta cambia continuamente e si chiama Vélib', la metamorfosi si ripete di continuo, sulla scala delle mandrie.


I
Passa una bicicletta
per la strada.
Sembra che non sia niente
una bicicletta...
Però, vista da dietro un filo spinato,
questa roba a due ruote
ti riempie di idee.

Per strada
vola,
una bicicletta.

II
Che trucco
mi fai,
fortuna e ruota?
Dai miei piedi nasce un fercolo
e spunta seta.

Per il solo alternare maldestro delle ginocchia
io stesso divento il portatore della mia sella.

Sei già più di Clavilegno, Clavilegna
dolce, metallica, sorpresa inaspettata:
Oh nobile bicicletta!


I
Passe une bicyclette
sur la route.
Ça n'a l'air de rien
une bicyclette...
Mais vu de ce côté du barbelé
ce machin à deux roues
vous donne plein d'idées.

Sur la route,
ça vole,
une bicyclette.

II
Quel est ce tour
que tu me joues,
fortune et roue ?
De mes pieds naît un char d'un saint
et surgit de la soie.

Par le seul va-et-vient maladroît des genoux
moi-même je deviens le porteur de ma selle.

Déjà tu es plus que Chevillard, Chevillarde
douce, métallique, surprise inattendue :
Oh noble bicyclette !

Il maschile vélo non sarebbe filato via come una bicicletta. Me ne ha dato conforto anche la traduzione francese di Bernard Sicot. Dove la traduzione di Sicot non mi sostiene affatto è in andas, che lui ha reso con envol e che io, dopo molti dubbi, mi sono risolta a tradire con fercolo, che ho scritto 2 volte in vita mia: quelle che avete letto.

lunedì 15 novembre 2010

Danzatela, l'arancia

Tanzt die Orange.

Rainer Maria Rilke, Die Sonette an Orpheus, XV

Chitarre

The black guitar

Clearing out ten years from a wardrobe
I opened its lid and saw Joe
written twice in its dust, in a child's hand,
then a squiggled seagull or two.

Joe, Joe

a man's tears are worth nothing,
but a child's name in the dust, or in the sand
of a darkening beach, that's a life's work.

I touched two strings, to hear how much
two lives can slip out of tune

then I left it,
brought down the night on it, for fear, Joe
of hearing your unbroken voice, or the sea
if I played it.

Paul Henry, 2007

La chitarra nera

Mettendo in ordine dieci anni di guardaroba
ne ho aperto la custodia e ho visto Joe
scritto due volte nella sua polvere, in una mano di bambino,
poi un gabbiano o due disegnati a ghirigori.

Joe, Joe

le lacrime di un uomo non valgono niente,
ma il nome di un bambino nella polvere o nella sabbia
di una spiaggia all'imbrunire è il lavoro di una vita.

Ho toccato due corde per sentire a che punto
due vite si possano inavvertitamente scordare

poi l'ho lasciata,
vi ho fatto calare la notte, per paura, Joe
di sentire la tua voce bianca o il mare,
suonandola.

*


Bastião

Bastião Bastião,
Flunando, Flancico,
palente, placero
nozo gelação,
juntamo nosso pandorga,
nossa festa de tão balalão!
De guguluga de tão balalão,
de glande folia,
que cosfessa cos aleglia
me say pelos oyo minha colação.
Ploque rezão
tanto flugamento ha
de guguluga de tão balalão.
Siolo capitão,
que gente pleto zunta
debaixo sua plegão.
Ha ha ha
de gugulugu de guguluga
que esses campo se abràsa
ploque Sol està no châo.
He he he
buli co a pé
de guguluga de guguluga
de guguluga de gugulugué,
ha ha ha
corré, baya
de gugulugu de guguluga
de guguluga de tão balalão,
os oyo na céu
giolho na chão
façamo lo sol fa
nos palma de mão.
Que tão palatão
tão tão tão,
que tum polotum
tum tum tum,
que tum, que tão
guluguluga gulugulugu.
Flutai, pequenina
minha colação.
que tum que tão
que tão que tum
guluguluga gulugulugu.
Forrai os pletinho
siolo Zezu.
Que tão que tum
guluguluga, gulugulugu
façamo lo sol fa
nos palma de mão.


Bastião (Sebastiano)

Bastião Bastião,
Flunando (Fernando), Flancico (Francesco)
parente, amico
della nostra generazione
uniamo i nostri tamburi
per la nostra festa di tão balalão.
Di guguluga di tão balalão
di grande follia,
ché confesso che per la gioia
il cuore mi esce dagli occhi.
Per quale ragione
c'è tanta gioia,
di guguluga di tão balalão.
Signor capitano
cosa porta i neri a riunirsi
sotto il suo stendardo?
Ha ha ha
di gugulugu di guguluga
Questi campi si abbracciano
perché il sole è sulla terra.
He he he
muoviamo i piedi
di guguluga di guguluga
di guguluga di gugulugué,
ha ha ha
corri, balla
di guguluga di guguluga
di guguluga di tão balalão,
gli occhi verso il cielo
le ginocchia a terra
facciamo i solfeggi
nel palmo delle mani.
Que tão palatão
tão tão tão,
que tum polutum
tum tum tum,
que tum que tão
guluguluga gulugulugu.
Il mio cuore
diventa minuscolo,
que tum que tão
que tão que tum
guluguluga gulugulugu.
Liberate i piccoli neri
Signor Gesù,
que tão que tum
guluguluga, gulugulugu
facciamo i solfeggi
nel palmo delle mani.

Ancora una lingua inventata, come già in Sã qui turo, ancora da parte del colonizzatore, come nell'altro caso. Gugulugu è un'onomatopea che probabilmente rimanda al suono delle chitarre, que tum, que tão a quello delle percussioni.

domenica 14 novembre 2010

Fonetìc

Bonjour, m'sieur Gadà, puisque c'est vous m'sieur Gadà je suppose... Votre chambre est presque terminée... Si nous aurions su d'avance (buongiorno, signor Gadà, perché è lei il signor Gadà, suppongo... La sua camera è quasi pronta... Se l'avessimo saputo in anticipo).
Il mio cognome francesizzato svolazzò per tutta la locanda, ridiscese con la preghiera di voler pazientare altri cinque minuti.

Carlo Emilio Gadda, Le meraviglie d'Italia. Gli anni, Garzanti, 2003

*

Eigenschaft der deutschen Sprache, im Munde von Ausländern, die sie nicht beherrschen und meist auch nicht beherrschen wollen, schön zu werden. Soweit wir Franzosen beobachtet haben, konnten wir niemals sehen, daß sie sich über unsere Fehler im Französischen freuten oder auch nur diese Fehler hörenswert fanden, und selbst wir, deren Französisch nur wenig französisches Sprachgefühl hervorbringen kann

Franz Kafka, Reisetagebuch Lugano-Paris-Erlenbach, 1911

La qualità della lingua tedesca è di diventare bella in bocca a stranieri che non la padroneggino e per lo più non la vogliano neanche padroneggiare. Per quanti francesi abbiamo osservati, non siamo mai riusciti a vedere che si rallegrassero dei nostri errori in francese o li trovassero degni di ascolto, e persino noi, che abbiamo sviluppato solo un po' il senso linguistico francese

*

Si va a monžare ?

V., Paris, 2010

Andiamo a mangiare?

*

À quand la prochaine révolution ?(1)

Francescà(2), Paris, 2010

A quando la prossima rivoluzione?

(1) Usando [o] al posto di [ɔ̃] in révolution (per difficoltà mie) e avvicinandomi tendenzialmente più alla revolución latinoamericana che a quella spagnola (per un inconscio rispetto della storia), la lingua francese non diventa bella, acquista un axàn e qui, linguisticamente parlando, non c'è niente di peggio che avere l'accento.
(2) Il nome Francescà può svolazzare al punto da essere colto da correnti ascensionali e da non ridiscendere più. Questo non è axàn, è assimilazione.

sabato 13 novembre 2010

Assassinî

Ich fürchte mich so vor der Menschen Wort.
Sie sprechen alles so deutlich aus:
Und dieses heißt Hund und jenes heißt Haus,
und hier ist Beginn und das Ende ist dort.

Mich bangt auch ihr Sinn, ihr Spiel mit dem Spott,
sie wissen alles, was wird und war;
kein Berg ist ihnen mehr wunderbar;
ihr Garten und Gut grenzt grade an Gott.

Ich will immer warnen und wehren: Bleibt fern.
Die Dinge singen hör ich so gern.
Ihr rührt sie an: sie sind starr und stumm.
Ihr bringt mir alle die Dinge um.

Rainer Maria Rilke, Die frühen Gedichte, Gebet der Mädchen zur Maria


Ho così timore delle parole umane.
Esprimono tutto così chiaramente:
E questo si chiama cane e quest'altra si chiama casa,
e qui è l’inizio e là è la fine.

Mi fa paura anche il loro senso, la beffa per gioco,
conoscono tutto, il futuro e il passato;
non c'è più montagna che le meravigli;
il loro giardino confina con l'infinito.

Voglio ammonirvi e trattenervi: statene lontani.
A me piace così tanto sentire le cose cantare.
Se le toccate, diventano statiche e mute.
Con le vostre parole, mi uccidete tutte le cose.


Откуда я?
Зачем я тут стою?
Что я вижу?
Где же я?
Ну, попробую по пальцам
все предметы перечесть.
-- ( Считает по пальцам: )
Табуретка, столик, бочка,
Ведро, кукушка, печка,
метла, сундук, рубашка,
мяч, кузница, букашка,
дверь на петле,
рукоятка на метле,
четыре кисточки на платке,
восемь кнопок на потолке.

Даниил Хармс, 1 июня 1929 года

Da dove vengo?
Perché me ne sto qui?
Cosa vedo?
Dove sono?
Bene, provo sulle dita
tutti gli oggetti a contare
(conta sulle dita:)
Uno sgabello, un tavolino, una botte,
Un secchio, un cuculo, una stufa,
Una scopa, un baule, una camicia,
Una palla, una fucina, un insetto,
Un portone nel cardine,
Un bastone nella scopa,
Quattro nappe sul fazzoletto,
Otto bottoni sul soffitto.

Daniil Charms, 1 giugno 1929

*

Nota di colore locale: ho La fida ninfa, di sottofondo, ma nella versione di Jean-Christophe Spinosi. Il barocco forse non ha fatto poi così male come si tende a pensare: in fin dei conti, si è limitato ad uccidere ninfe, fauni e pastorelli di pura fantasia.

Berlusconi, comunque.

Nichts weiß ich vom

Großvater Scharfschütze
sei er im Krieg gewesen

Einmal zeigte er auf
einen Haubentaucher im Zoo
und sagte Peng

Hinterlassen hat er
ein Spanholzschächtelchen

darin einen Fadenzähler und
ein winziges Stück Gold

eingewickelt in ein
Strafmandat (Leipzig 1947)

Matthias Kehle, Jahrbuch der Lyrik 2009. Hrsg. v. C. Buchwald und U. Wolf. S. Fischer Verlag, Frankfurt am Main 2009

Link
Blog


Non so niente del
nonno cecchino
pare sia stato in guerra

Una volta allo zoo indicò
uno svasso maggiore
e disse pam

Ha lasciato
una scatolina di truciolato

con dentro un contafili e 
un minuscolo pezzetto d'oro

incartato in un
mandato di cattura (Lipsia 1947)

Ghirigori (poca voglia di far bene)

Vi sono delle espressioni di creatività che riescono a sfuggire ai dettami della cultura ufficiale, a quello che è bene dire, o a quello che ci si aspetta debba venire dalla cultura considerata "alta". Se queste espressioni nascono al di fuori del palazzo e del suo sistema di potere e percorrono canali di comunicazione non ufficiali, generalmente sopravvivono all'azione censoria e a quella del tempo solo se si radicano nella cultura popolare e si affidano alla forza della sua capacità di trasmissione, tipicamente di natura orale. C'è chi le apprezza per il contesto stesso in cui nascono: se ad esempio una musica è underground, c'è chi è naturalmente predisposto ad attribuirle un valore intrinsecamente elevato, o comunque di per sé meritevole di attenzione, quando è evidente che anche la musica underground, specialmente quando arriva ad essere definita così, è già uscita dall'ombra e quindi dalla propria magia - quando c'è - e non è esente dai rischi di qualsiasi realizzazione, compreso quello del conformismo, contro cui vorrebbe innalzare la propria voce. 

Vi sono però altre manifestazioni di espressione creativa che, pur finanziate direttamente dal principe (il minuscolo è voluto), forse per calcolata tolleranza, forse per distrazione o sottovalutazione, forse per puro caso, sopravvivono alla censura e lasciano intravvedere in controluce dell'altro, un mondo diverso, che esprime senza timore, con naturalezza, alla maniera del popolo, il "basso" e anche ciò che non è bene dire. Considerato che lo fanno completamente a spese del principe e del potere, paradossalmente se ne può apprezzare il valore - quando c'è - persino con un sorriso di soddisfazione supplementare.

Negli anni in cui l'opera stava per trasformarsi da fenomeno puramente di corte a fenomeno popolare (il primo teatro d'opera al mondo aperto al pubblico fu il San Cassiano, a Venezia, nel 1637), a palazzo Barberini, centro di sviluppo dell'opera romana grazie all'omonima dinastia, che contava Maffeo Barberini (papa Urbano VIII) e i suoi nipoti Francesco e Antonio tra i suoi membri dell'epoca, Stefano Landi eseguiva, la prima volta nel nel 1632, un'opera sacra, il Sant'Alessio.

Dopo questa premessa didascalica e tortuosa, sproporzionata rispetto alla conclusione eppur in qualche modo necessaria, arrivo finalmente ad un testo piccolissimo, le cui parole e il cui significato, però, dato il contesto, riusciranno forse a rilucere meglio. Nell'opera di Landi si può ascoltare una canzone che fa semplicemente così:

Poca voglia di far bene;
viver lieto, andare a spasso
fresco e grasso mi mantiene,
la fatica m'è nemica;
e mentre io vivo così
è per me festa ogni dì.
Diridiridiridi, diridiridiridi.
Vada il mondo come vuole,
lascio andar, né mi molesto;
tutto il resto son parole.
Pazzo è bene da catene,
chi fastidio mai si dà
per saper quel che sarà.
Diridiridirida, diridiridirida.

(Little desire to do good; living contendedly, going walking, I keep myself fresh and plump, fatigue is my only enemy; and whilst I live like this, everyday is holiday for me. Diridiridiridi, diridiridiridi. Let the world do as it please, I let it be without troubling myself; all the rest is mere words. He is a raving madman who ever takes the trouble to know what the future holds. Diridiridirida, diridiridirida.)


E ora, finalmente, in una rappresentazione in cui sono due buffoni da commedia dell'arte a cantare il testo, il che spiega ancora meglio di tutti i miei arzigogolati tentativi come sia riuscita ad emergere dall'ombra della cultura popolare del '600 e a sopravvivere fino a noi, musica:



(powered by Splicd.comStefano Landi, Sant'Alessio

Se la cantate ad alta voce la mattina, può dare il meglio di sé. In bicicletta, poi, sui tratti pianeggianti e con sufficiente spazio per poter curvare e controcurvare a tracciare un invisibile ghirigoro sinusoidale per terra, può sfiorare il sublime.

Dizionario di tutte 'e cose - R come robotica


Automaton versa-bevande, inchiostro, colori e oro su carta, pagina tratta dal Libro della Conoscenza degli Ingegnosi Dispositivi Meccanici (Kitáb fí ma'rifat al-hiyal al-handasiyya, noto anche come Automata) di al-Jazari, 715 (1315 d.C.) (prima edizione Baghdad 1206 d.C.); copia di Farkh ibn cAbd al-Latif, Arthur M. Sackler Gallery, Smithsonian Institution, Washington.
Faccio notare che il robot è in grado di versare e di bere la bevanda.

(Sulle date dell'esemplare del libro e sul suo luogo di pubblicazione, il sito di Washington e quello parigino discordano: il primo dice Siria 1315, il secondo Egitto, 1334. Non è irrilevante: nel primo caso, era una copia che circolava ai tempi di Dante, nel secondo caso no. - Caduta finale di eurocentrismo.)

venerdì 12 novembre 2010

Dizionario di tutte 'e cose - S come sedie

Dopo aver camminato a lungo, durante un violento temporale, cerco riparo in una casa. Da un lato, più affollato, ci sono quelli seduti dalla parte della ragione, dall'altro, meno affollato, quelli seduti dalla parte del torto. Senza pensarci su, e non perché ci siano più posti disponibili, ma solo d'istinto, mi dirigo verso il secondo lato. Prima di prendere posto, ascolto con attenzione la conversazione in corso. Per quello che ne posso capire, quelli seduti dalla parte del torto sembrano convinti di aver ragione. Guardo fuori. Piove ancora. Esco e riprendo a camminare.

mercoledì 10 novembre 2010

Dizionario di tutte 'e cose - S come Swetlana

Dobbiamo la gioia della lettura a moltissimi traduttori, dei quali non parliamo quasi mai abbastanza, e comunque mai per tempo. Di Swetlana, al cui nome non sostituisco la w con la v (sarebbe una vera e propria offesa al suo lavoro di traduttrice dal russo al tedesco), si è parlato un po' di più negli ultimi giorni, dopo la sua morte.

*
Swetlana mentre indica i suoi 5 elefanti
Il primo elefante
  Delitto e castigo, 1994
il secondo
 
L'idiota, 1996
il terzo
 
I demoni, 1998
il quarto
 
I fratelli Karamazov, 2004
il quinto
L'adolescente, 2006
e il supplemento
 
Il giocatore, 2009
Non si traduce questo impunemente.
La traduzione non è un bruco che striscia da sinistra a destra, bensì la traduzione nasce dall'insieme.
Perché l'uomo traduce? È sicuramente il desiderio struggente (Sehnsucht) che lo spinge, il desiderio struggente per qualcosa che continua a sottrarsi, per l'irraggiungibile originale.
Swetlana Geier, 1923-2010
Link al trailer del film La donna con i cinque elefanti, a lei dedicato

Devo la lettura di Delitto e castigo e de I Fratelli Karamazov ad Alfredo Polledro, de L'idiota e de I demoni a Rinaldo Küfferle, de L'adolescente a Maria Rita Leto e ad Anton Maria Raffo e de Il giocatore a Gianlorenzo Pacini. Ricordando Swetlana, è anche loro che ricordo e ringrazio.

Per nient

Trâ, 'me 'na s'giaffa salti trí basèj,
e passi in mezz a l'aria, al ver teater
che l'è mè pàder 'me sarà nel temp,
e schitti, curri, e 'l sbatt che fa la porta
l'è cume l'aria che me curr adré.
A trí, a quatter, al sping de la linghéra,
mí vuli i scal e rivi al campanèll.
Mia mama, adasi, la sciavatta e derva,
mè pàder rìdd, e mí me par per nient.

Franco Loi, Strolegh, Einaudi, 1975

Gettato, come uno schiaffo salto tre gradini,
e passo in mezzo all'aria, al vero teatro
che è mio padre come sarà nel tempo,
e scatto, corro, e lo sbattere che fa la porta
è come l'aria che mi corre dietro.
A tre, a quattro, alle spinte della ringhiera,
io volo le scale e arrivo al campanello.
Mia madre, adagio, ciabatta ed apre,
mio padre ride, e a me sembra per niente.


Hurled, like a slap I leap three stairs,
and pass in midair to the real-life theater
that’s my father as he'll be in time,
I spring, run, and the slamming of the door
is like the air that chases me behind.
With three, four, pushes at the railing,
I fly the stairs and reach the doorbell.
My mother slowly shuffles and then opens,
my father laughs, and to me it seems at nothing.

Translation by Andrew Frisardi


lunedì 8 novembre 2010

Excisum Euboicae latus ingens rupis in antrum

Excisum Euboicae latus ingens rupis in antrum,
quo lati ducunt aditus centum, ostia centum,
unde ruunt totidem voces, responsa Sibyllae.
Ventum erat ad limen, cum virgo: poscere fata
tempus, ait; deus ecce deus! Cui talia fanti
ante fores subito non vultus, non color unus,
non comptae mansere comae; sed pectus anhelum,
et rabie fera corda tument, maiorque videri
nec mortale sonans, adflata est numine quando
jam propiore dei: cessas in vota precesque,
Tros, ait, Aenea? cessas? neque enim ante dehiscent
attonitae magna ora domus. Et talia fata
conticuit.

Aeneis, VI, 42-54

Nel grande fianco della rupe euboica è incavato un antro ai cui lati conducono cento vie, cento porte e da cui escono altrettante voci, i responsi della Sibilla. Era giunto sulla soglia, con la vergine - è il momento di consultare la sorte, disse. - Il dio, ecco il dio! Dicendo così davanti all'apertura dell'antro, all'improvviso non ebbe più lo stesso volto, non più lo stesso colore, non più i capelli composti; ma ansimava nel petto e nel cuore palpitava di furore e sembrava enorme e dalla voce non umana, perché il soffio del dio già insinuato in lei l'aveva ormai pervasa. - E non pronunci altri voti e preghiere, Enea? - disse - Ti trattieni? Se non lo fai, infatti, le grandi porte della dimora, che ti rendono stupefatto, non si apriranno. E così detto, tacque.

Mi pare di avere usato il termine antro sempre e solo per la Sibilla. L'uso esclusivo le spetta di diritto.

English version, traduzione di Alfieriuna foto (avvertenza: non aggiunge niente alla poesia, semmai toglie)

El cant de la Sibilla (nessuna controindicazione di rilievo)