martedì 21 novembre 2023

Modelli

 

Andrej Tarkovskj fotografato da Lars-Olof Löthwall sul set di Sacrificio. È davanti al plastico della casa ritratto nella foto che il protagonista Alexander pronuncia, alterandola, chissà se apposta o per sbaglio (sarebbe bello se fosse vera la seconda alternativa), la domanda di Macbeth:
"Which of you have done this... the Lords?" ("Chi di voi ha fatto questo... i Lords?")
I Lords sono aggiunti nella sceneggiatura alla fine della battuta, mentre nel testo di Shakespeare sono coloro cui spetta la battuta seguente:
MACBETH: "Which of you have done this? (MACBETH: "Chi di voi ha fatto questo?")
LORDS: "What, my good lord?" (LORDS: "Cosa, mio buon signore?")

Robert Lepage fotografato da qualcuno di cui ignoro il nome sul set della pièce 887, il numero civico della casa della sua infanzia, dove, nella foto, suo padre sta rientrando in taxi. Lepage ricorda questo numero e vecchi numeri di telefono, ma pena a mandare a memoria il testo della poesia di Michèle Lalonde, poetessa del suo Québec, "Speak white" (parla bianco), l'insulto che gli anglofoni rivolgevano (l'imperfetto è una mia speranza) ai francofoni colti a parlare francese:

il est si beau de vous entendre
parler de Paradise Lost
ou du profil gracieux et anonyme qui tremble
dans les sonnets de Shakespeare

nous sommes un peuple inculte et bègue
mais ne sommes pas sourds au génie d’une langue
parlez avec l’accent de Milton et Byron et Shelley et Keats
speak white
et pardonnez-nous de n’avoir pour réponse
que les chants rauques de nos ancêtres
et le chagrin de Nelligan

speak white
parlez de choses et d’autres
parlez-nous de la Grande Charte
ou du monument à Lincoln
du charme gris de la Tamise
De l’eau rose de la Potomac
parlez-nous de vos traditions
nous sommes un peuple peu brillant
mais fort capable d’apprécier
toute l’importance des crumpets
ou du Boston Tea Party
mais quand vous really speak white
quand vous get down to brass tacks

pour parler du gracious living
et parler du standard de vie
et de la Grande Société
un peu plus fort alors speak white
haussez vos voix de contremaîtres
nous sommes un peu durs d’oreille
nous vivons trop près des machines
et n’entendons que notre souffle au-dessus des outils

speak white and loud
qu’on vous entende
de Saint-Henri à Saint-Domingue
oui quelle admirable langue
pour embaucher
donner des ordres
fixer l’heure de la mort à l’ouvrage
et de la pause qui rafraîchit
et ravigote le dollar

speak white
tell us that God is a great big shot
and that we’re paid to trust him
speak white
parlez-nous production profits et pourcentages
speak white
c’est une langue riche
pour acheter
mais pour se vendre
mais pour se vendre à perte d’âme
mais pour se vendre

ah! speak white
big deal
mais pour vous dire
l’éternité d’un jour de grève
pour raconter
l’histoire de peuple-concierge
mais pour rentrer chez-nous le soir
à l’heure où le soleil s’en vient crever au dessus des ruelles
mais pour vous dire oui que le soleil se couche oui
chaque jour de nos vies à l’est de vos empires
rien ne vaut une langue à jurons
notre parlure pas très propre
tachée de cambouis et d’huile

speak white
soyez à l’aise dans vos mots
nous sommes un peuple rancunier
mais ne reprochons à personne
d’avoir le monopole
de la correction de langage

dans la langue douce de Shakespeare
avec l’accent de Longfellow
parlez un français pur et atrocement blanc
comme au Vietnam au Congo
parlez un allemand impeccable
une étoile jaune entre les dents
parlez russe parlez rappel à l’ordre parlez répression
speak white
c’est une langue universelle
nous sommes nés pour la comprendre
avec ses mots lacrymogènes
avec ses mots matraques

speak white
tell us again about Freedom and Democracy
nous savons que liberté est un mot noir
comme la misère est nègre
et comme le sang se mêle à la poussière des rues d’Alger ou de Little Rock

speak white
de Westminster à Washington relayez-vous
speak white comme à Wall Street
white comme à Watts
be civilized
et comprenez notre parler de circonstance
quand vous nous demandez poliment
how do you do
et nous entendez vous répondre
we’re doing all right
we’re doing fine
We are not alone

nous savons
que nous ne sommes pas seuls.

Una traduzione in italiano si può trovare qui.

domenica 5 novembre 2023

Alle Tage

Der Krieg wird nicht mehr erklärt,
sondern fortgesetzt. Das Unerhörte
ist alltäglich geworden. Der Held
bleibt den Kämpfen fern. Der Schwache
ist in die Feuerzonen gerückt.
Die Uniform des Tages ist die Geduld,
die Auszeichnung der armselige Stern
der Hoffnung über dem Herzen.

Er wird verliehen,
wenn nichts mehr geschieht,
wenn das Trommelfeuer verstummt,
wenn der Feind unsichtbar geworden ist
und der Schatten ewiger Rüstung
den Himmel bedeckt.

Er wird verliehen
für die Flucht von den Fahnen,
für die Tapferkeit vor dem Freund,
für den Verrat unwürdiger Geheimnisse
und die Nichtachtung
jeglichen Befehls.

Ingeborg Bachmann
Die Gestundene Zeit, 1953



Tutti i giorni
La guerra non viene più dichiarata, ma proseguita. L’inaudito è diventato quotidiano. L’eroe resta lontano dai combattimenti. L'imbelle è trasferito in prima linea. La divisa del giorno è la pazienza,
la medaglia la patetica stella della speranza appuntata sul cuore. La si conferisce quando non succede più nulla, quando il fuoco martellante tace, quando il nemico è ormai invisibile e l’ombra di riarmo, riarmo e ancora riarmo copre il cielo. La si conferisce per premiare la diserzione dalle bandiere, il coraggio di fronte all’amico, il tradimento di segreti indegni e l’inosservanza di ogni ordine ricevuto.

Questa poesia, assieme alle altre poesie della raccolta "Il tempo dilazionato", fu pubblicata  settant'anni fa, appena otto anni dopo la seconda guerra mondiale. Bachmann aveva allora 27 anni. Morì a Roma cinquant'anni fa. Andrebbe probabilmente letta assieme a Abschied von England ("Congedo dall'Inghilterra"), della stessa raccolta, gioiello ambientato in uno spazio indefinito, rarefatto, interiore, che con l'Inghilterra non ha niente a che vedere.
"Tutti i giorni", non a caso, è anche il titolo del primo romanzo di Terézia Mora, ungherese della minoranza tedesca, emigrata a Berlino nel '90. Mora, che è attratta, anche a Berlino, da spazi indefiniti, spesso sospesi in bilico tra Austria ed Ungheria, in ogni caso molto interiori, ha vinto, tra gli altri, anche il premio Bachmann (prima del suo primo romanzo, che è stato anche tradotto in italiano dalla benemerita Keller editore).
Noi, oggi, anniversario o non anniversario, coincidenza o non coincidenza, figli e nipoti del XX secolo, non abbiamo ancora capito niente. Forse perché sono insanabili la distanza e lo sfasamento tra gli spazi interiori, labili, fragili, effimeri, e quelli esteriori, di natura specularmente opposta, almeno nella forma che ci viene quotidianamente imposta dal potere.

sabato 4 novembre 2023

Na vlaku Ljubljana–Beljak

V pogledu obmejnih policistov
na vlaku iz Ljubljane v Beljak
postanem ženska, svetlopolta,
starejša, potencialno nenevarna,
nebegunka, neteroristka.
Kakšna zmota!

Barbara Korun


Sul treno Lubiana-Villaco

Agli occhi del poliziotto di frontiera
sul treno Lubiana-Villaco,
divento una donna, di pelle chiara,
di una certa età, potenzialmente innocua,
non rifugiata, non terrorista.
Che errore!

mercoledì 18 ottobre 2023

Parable of the Hostages

The Greeks are sitting on the beach
wondering what to do when the war ends. No one
wants to go home, back
to that bony island; everyone wants a little more
of what there is in Troy, more
life on the edge, that sense of every day as being
packed with surprises. But how to explain this
to the ones at home to whom
fighting a war is a plausible
excuse for absence, whereas
exploring one’s capacity for diversion
is not. Well, this can be faced
later; these
are men of action, ready to leave
insight to the women and children.
Thinking things over in the hot sun, pleased
by a new strength in their forearms, which seem
more golden than they did at home, some
begin to miss their families a little,
to miss their wives, to want to see
if the war has aged them. And a few grow
slightly uneasy: what if war
is just a male version of dressing up,
a game devised to avoid
profound spiritual questions? Ah,
but it wasn’t only the war. The world had begun
calling them, an opera beginning with the war’s
loud chords and ending with the floating aria of the sirens.
There on the beach, discussing the various
timetables for getting home, no one believed
it could take ten years to get back to Ithaca;
no one foresaw that decade of insoluble dilemmas—oh unanswerable
affliction of the human heart: how to divide
the world’s beauty into acceptable
and unacceptable loves! On the shores of Troy,
how could the Greeks know
they were hostages already: who once
delays the journey is
already enthralled; how could they know
that of their small number
some would be held forever by the dreams of pleasure,
some by sleep, some by music?

Louise Glück
Meadowlands, 1996 


Parabola degli ostaggi

I greci, seduti sulla spiaggia, si chiedono cosa fare quando la guerra sarà finita. Nessuno vuole andare a casa, tornare su quell'isola striminzita; tutti vogliono un po' di più di quel che si trova a Troia, più vita al limite, la sensazione che ogni giorno nuovo sia pieno di sorprese. Ma come spiegarlo a quelli rimasti a casa, per i quali combattere una guerra è una scusa che giustifica l'assenza, ma non l'esplorazione della propria propensione ai diversivi. Be', questo si potrà affrontare più in là; questi sono uomini di azione, pronti a lasciare l'intuizione a donne e bambini. Riflettendo sulle cose al caldo del sole, compiaciuti da avambracci rinvigoriti, che sembrano più dorati di quanto non lo fossero a casa, ad alcuni comincia a mancare un po' la famiglia, a mancare la moglie, a venir voglia di vedere se la guerra li abbia invecchiati. E pochi avvertono un leggero disagio: e se la guerra fosse solo una versione maschile dell'agghindarsi, un gioco escogitato per evitare profonde questioni spirituali? Ah, ma non era solo la guerra. Il mondo aveva cominciato ad attirarli, un'opera lirica con degli accordi forti, propri della guerra, nell'ouverture e un'aria sfuggente di sirene nel finale. Là, sulla spiaggia, discutendo dei vari orari per poter raggiungere casa, nessuno credeva che ci sarebbero potuti volere dieci anni per tornare ad Itaca; nessuno aveva previsto quel decennio di dilemmi insolubili - oh, sconforto inconsolabile del cuore umano: come suddividere la bellezza del mondo tra amori accettabili ed inaccettabili! Sulla costa di Troia, come avrebbero potuto sapere, i greci, di essere già in ostaggio? Chi ritarda il viaggio è già ammaliato; come avrebbero potuto sapere che tra di loro, già pochi, alcuni sarebbero stati catturati per sempre dai sogni di piacere, alcuni dal sonno, altri dalla musica?

venerdì 28 luglio 2023

Статья 293. Последнее слово подсудимого

"Sette anni di prigione: sono molto o poco tempo? Un raggio di sole impiega otto minuti per raggiungere la Terra. Le onde luminose di un raggio di un faro diretto nel cielo raggiungono la stella più vicina al sole in poco più di quattro anni, vale a dire quasi due terzi della mia incarcerazione. La luce impiegherebbe circa due milioni di anni per raggiungere il nostro sistema stellare più vicino, la galassia di Andromeda. Incredibilmente tanto? Basti pensare a quante persone sono state colpite dalla guerra in Ucraina, che ha privato ognuna di loro di anni di una vita pacifica e normale - e alcune della loro stessa vita! E lo si moltiplichi... Così grande è la responsabilità che grava su tutti noi. Anche su di me."

Ale­xej Gorinov, prima che i giudici in tribunale annunciassero la loro sentenza, come previsto dall'articolo 293 del codice di procedura penale russo, che garantisce a ogni imputato il diritto a un discorso di chiusura, senza censura, senza interrogatorio e senza limiti di tempo. È l'ultima parola (posledneje slovo) dell'imputato, un diritto che risale all'epoca zarista e ha attraversato - indenne - quella sovietica fino al presente. Di ultime parole si occupa il dossier della Zeit di questa settimana. La citazione viene da lì.

Gorinov, consigliere comunale moscovita, è stato giudicato colpevole di "diffondere informazioni chiaramente false" sull'esercito russo utilizzando "i suoi doveri ufficiali" e di averlo fatto nel contesto di un gruppo organizzato motivato da "odio politico". Così la sentenza.

Ha chiamato guerra la cosiddetta "operazione speciale" russa, anche in tribunale.

Avete ancora bisogno di questa guerra?

Pare che quando si è privati della libertà il pensiero tenda a correre alle stelle.

venerdì 23 giugno 2023

Morire parzialmente

Grazie ad un articolo del corrispondente da Mosca de Le Monde, Benoît Vitkine, si capisce che in questo momento i teatri pubblici russi sono da evitare, almeno da parte di chi, come Nina K., trentenne moscovita, rifiuta la cultura proposta dallo stato, che non dà voce a chi è contrario alla guerra. C'è ancora spazio, tuttavia, per qualche evento culturale dove viene evocato il conflitto, "in modo diretto, non cifrato e ipocrita", come quello di una serata dedicata a poesie sull'Ucraina, alcune serie, altre ironiche, come quella "su un soldato richiamato nell'ambito della mobilitazione parziale e rientrato a casa parzialmente". 

Nello stesso articolo, Nina K. si domanda perché nessuno parli di Artëm Kamardin, arrestato a settembre del 2022, assieme a Egor Štovba e Nikolaj Dajneko, in piazza Triumfal’naja, dopo una lettura pubblica di una poesia contro la guerra. Se ne parla un po', in realtà, ma mai abbastanza.

Alexandra Popova, fidanzata di Artëm Kamardin


giovedì 22 giugno 2023

Stato civile

Sono sposata in Francia, ma l'Italia non lo riconosce.

La Cassazione, nel respingere la richiesta di trascrivere in Italia un matrimonio omosessuale celebrato all’estero, vale a dire un matrimonio come il mio, ha sostenuto che «il legislatore ha inteso esercitare pienamente la libertà di scelta del modello di riconoscimento delle unioni omoaffettive», inquadrandole nel regime ad hoc – la l. n. 76/2016, legge Cirinnà – previsto per le unioni civili (Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza n. 11696/18).

Esercito pienamente la libertà di mandare a cagare il legislatore italiano assieme a tutti i suoi elettori.

mercoledì 14 giugno 2023

Malebolge 1994

Berlicchi in bassi braghi bidoneschi
ectoplasmano eterica emittenza
riciclando i rugati regimeschi:

lemuri e lamie di luminescenza
unguentano gli utenti più ultrultreschi,
spacciando spot, sparati in subcoscienza:

cori da curve di campi calceschi
omologano olanti in obbedienza,
neoplasmati da news per neoyuppeschi

itali idioti, ipermarkettizzati.

Edoardo Sanguineti



Berlicchi: dal piemontese 'berlicare' (per leccare).
Braghi: termine dantesco da Inf. VIII, 50, «che qui staranno come porci in brago».
Lemuri: figure vampiresche della tradizione mitologica romana.
Lamia: la strega che nelle leggende greche nottetempo portava via i bambini dalle culle.
(da qui).

lunedì 12 giugno 2023

12 giugno 2023

Aleksander Sokurov, Una Fiaba, 2022

martedì 25 aprile 2023

25 aprile 2023

Meloni è presidente del Consiglio dei ministri e La Russa è presidente del Senato: non sarebbe mai dovuto accadere. Una volta accaduto, si sarebbe dovuto almeno protestare in piazza, il più a lungo possibile, invece no. Si fanno, al più, dei distinguo tra i due, a beneficio della prima, anche se l'unica differenza essenziale è l'età, che ha consentito a La Russa di partecipare attivamente alla violenza degli anni '70, non certo l'ideale politico di cui hanno scelto di nutrirsi durante tutta la loro vita.

Sono entrambi uno schiaffo alla Costituzione ogni giorno che passa, in molti dei suoi principi fondamentali, a partire dal fondamento della Repubblica sul lavoro (Art. 1), che non può essere promosso senza ricerca ed innovazione, nonché in materia di rispetto dei diritti inviolabili dell'uomo, come prevede l'Art. 2, che non distingue tra italiano e straniero, tra eterosessuale e omosessuale, tra cattolico e musulmano, dice proprio "diritti inviolabili dell'uomo", e in molti altri aspetti, non ultimo quello della tutela dell'ambiente (Art. 9), dell'uguaglianza dei cittadini (Art. 3) e del diritto d'asilo allo straniero (Art. 10).

Incarnano, anche, i due e i loro accoliti, concretamente, il no a qualsiasi forma di progresso e di avanzamento democratico del paese. In ordine molto sparso e senza alcuna pretesa di esaustività: no al MES, no all'intelligenza artificiale (studiarla no, eh?), no all'adozione delle energie rinnovabili (Meloni auspica che l'Italia diventi "l'hub del gas", cioè che si sfruttino ancora e sempre le fonti fossili nonostante la crisi climatica che queste fonti hanno fortemente contribuito a provocare: ENI ringrazia e nessuno sembra fare un plissé), no alla fine dei motori termici nel 2035, no all'efficientamento energetico del parco immobiliare, no alle farine di insetti, no ai soccorsi dei migranti in mare, no alla revisione del regolamento di Dublino, no alla cittadinanza italiana a milioni di persone che vivono, studiano e/o lavorano in Italia, no ai figli di genitori non biologici, no alle gare per le concessioni balneari, ecc. Sono parecchi no, in poco più di 6 mesi di governo e - sia chiaro - si sovrappongono, in parte, a dei no espressi, esplicitamente o implicitamente, anche dall'opposizione in passato.

I no servono, a volte, e sono doverosi, altre volte, come il no al fascismo da parte dei resistenti, ma questa sfilza di no è incompatibile con il futuro e la stessa sopravvivenza del paese e con la sua storia più nobile, per quanto espressa da una minoranza di persone portatrici di idee illuminate ed esecutrici di azioni generose, anche a rischio e a costo della propria vita, di cui il 25 aprile resta una data fondamentale.

Buon 25 aprile.

            

giovedì 9 marzo 2023

Cosa vogliono le donne/Cosa ricevono

Vogliono la parità tra i sessi, l'autodeterminazione sessuale, parità di salario a parità di lavoro, ed un'equa divisione del lavoro.
Ricevono fiori.
Katja Berlin pubblica sulla Zeit la Torte der Wahrheit (torta della verità) dal 2015.

martedì 28 febbraio 2023

lunedì 27 febbraio 2023

Maria Tumarkin

Hello,

I’m a Ukrainian Jewish Australian, no hyphens or hyphens, I don’t care. My world (as I knew it) ended on 24 February 2022. I have no connection to any ‘interest groups’, ‘sponsorship money’, ‘Zionist lobby’, ‘pearl-clutching’ (snort!), ‘attempts to silence marginalised voices’, ‘propaganda’ propagation – what else have you got for me? I’d rather not be lectured on developing a higher tolerance for ‘confronting ideas’. All good on that front, thanks. I feel rage and no outrage. I don’t support calls for resignations, cancellations, or boycotts of Adelaide Writers’ Week.

I am not interested in being part of the discourse. Below is all I have to say. And then – mum’s the word. I won’t give interviews.

I’ve withdrawn from Adelaide Writers’ Week together with Ukrainian writers Olesya Khromeychuk and Kateryna Babkina. Both of them are astounding, by the way. So read them, will you?

In the last twelve months I’ve learned a lot and changed my mind a lot. Perhaps the most salient lesson is that anti-war can mean pro-genocide. It means pro-genocide right now in Ukraine. All the ‘peace now’ (Habermas et al) talk, all the ‘WWIII’ talk, all the ‘US proxy war’ and ‘Nato warmongering’ talk – all of it, all of them, especially when used as already-loaded-up projectiles – are forms of genocidal speech so long as Russian troops are killing, raping, torturing and kidnapping civilians across Ukraine, and so long as Russian missiles are destroying hospitals, schools and residential highrises with sleeping families inside them daily and nightly. Ukraine by now is the most mined country in the world. They mine dead mothers with still-alive babies tied to them. Oh, yes, the content note.

Statements in which Zelensky (who’s Jewish) is called a Nazi, fascist, someone responsible for Russia’s invasion of Ukraine and/or WWIII are not anti-Zelensky and/or pro-Putin. They are forms of genocide cheering (a step up from genocide apology). They do not exist in the space of discourse only and do not represent something that can be classified as merely a contentious political opinion. If only. I should mention Susan Abulhawa’s name of course but there are many people like her, maybe even very many and at least some are also accomplished writers. The respectability index doesn’t do much for me, personally. I don’t care if these people are published by Bloomsbury or by the Milkbars’ Association of Victoria. And while we’re on the subject, I see no difference between Twitter feeds and books if tweets are pro-genocidal and knowingly so. If they are about cats, I’m all for nuanced distinctions.

In her letter to Louise Adler, Olesya Khromeychuk wrote (I’m quoting her with permission):

In this war, Russia is targeting the Ukrainian people and their culture, a culture that has been ignored in the wider world for far too long, and has appeared on many cultural institutions’ radars only as it was being destroyed by the Russian bombs. Like my colleagues, I feel saddened that calls to be sensitive in relation to Ukrainians who have been attacked in this genocidal war and to not give a platform to voices that repeat Kremlin propaganda are not always heard.

In her letter to Louise Adler, Kateryna Babkina wrote (quoting with the author’s permission):

I’m afraid I can’t participate in any kind of event that gives voice to the person considering Ukrainians should give up their right to decide what to do with their destiny and their independent country and just become a ‘neutral nation’ pleasing Russian ambitions in order not to be killed.

Google Olesya and Kateryna, both, there’ll be plenty of their writing and thinking in English. There’ll be copies of Olesya’s book (I presume? I hope?) in the festival bookstore as well. Literary festivals are just, you know, festivals. They are not hallowed spaces, they are not public squares. The blood of the nation doesn’t travel through them to the nation’s brain all that often. I respect the fact that lots of people in Australia, writers and readers, get plenty out of them. Sometimes lifelong connections are formed. Also: solidarities, collaborations. I’ve seen people in tears, moved that much by a festival session. I like it that Adelaide Writers’ Week is free and outdoors. Free particularly is a big deal.

But. Literary festivals, as they operate in Australia, are not robust enough structures to hold space for writers with irreconcilable views and politics when these concern ongoing wars or genocidal violence. I.e. life and death. Irreconcilability. Tolerance, difference of opinion, dialogue, openness, civic discourse – even if we generously think of these as principles not self-serving slogans, they’re useless in the face of dehumanisation and violence which such irreconcilability creates overtly and covertly. Festivals haven’t yet developed their own version of the ‘ethics of incommensurability’ (Tuck and Yang, ‘Decolonization is not a Metaphor’, 2012), and because whatever they (festivals) have to offer on this front is sub-par but not recognised as such, they can be dangerous and harmful. This is my position on the anti-semitisms and anti-Palestinisms that certain kinds of Western arts programming throws fertiliser at in the name of what exactly? In my letter to Louise Adler I called this philosophy of programming ‘cruel, privileged innocence’ and I stand by these words. You cannot play compare-and-contrast with genocides but people do all the time (another thing I’ve learned, or re-learned) and festivals are not built to handle it.

Festivals’ insistence that it is possible and advisable to inhabit a realm of ideas when the living struggle to keep up with burying their dead make things worse. This insistence works to empty conversations (ostensibly about books) of actual politics and fills them instead with over-determined ideology. On all sides.

In my letter to Louise Adler (Louise published my first two books; we go back), I wrote:

I find the term ‘cancel culture’ meaningless. It’s caked in so much ideology and used so self-servingly by all sides that, to my mind, it is not remotely useful at all as a tool to think or make decisions with. It’s just a stick for hitting (in offence and self-defence) or for shooing away. I am not for it or against it or remotely interested in it.

I accepted Louise’s invitation to be part of Adelaide Writers’ Week because I was going to speak to Svetlana Alexievich, my hero, and because I could support Louise in bringing Ukrainian voices into the program. Olesya and Kateryna, I admire you. But, as I wrote to Louise, ‘Zelensky is my hero too’ (the last self-quote). I told Louise, I can’t do this.

I am thinking now about Iran, Turkey, Syria, Afghanistan. If you have a living connection to what’s happening in any of these places now, my heart is with you.

This writers’ week ‘story’ slash ‘controversy’ should be over by now. I’m not sure it’s doing anything at all but increasing pain and harm. No such thing as bad publicity? In any case, if you still feel agitated, please donate to Ukraine, Turkey, Syria or Iran. With Ukraine, please no humanitarian causes (if you can stomach it). Weapons only.

Thanks,

Maria



martedì 17 gennaio 2023

Mosca, gennaio 2023

In seguito all'attacco missilistico che ha provocato almeno 40 morti in un condominio di Dnipro, dei moscoviti hanno deposto fiori ai piedi del monumento dedicato alla poetessa Lesja Ukraïnka.