lunedì 18 aprile 2011

Abendmahl. Venezianisch, 16. Jahrhundert

- Que puis-je voir de sympa à Venise en 2 jours?
- (((Sympa. Nf.))) Les bacari. Et le repas chez Levi.
I
Als ich mein Letztes Abendmahl beendet hatte,
fünfeinhalb mal knapp dreizehn Meter,
eine Heidenarbeit, aber ganz gut bezahlt,
kamen die üblichen Fragen.
Was haben diese Ausländer zu bedeuten
mit ihren Hellebarden? Wie Ketzer
sind sie gekleidet, oder wie Deutsche.
Finden Sie es wohl schicklich,
dem Heiligen Lukas
einen Zahnstocher in die Hand zu geben?
Wer hat Sie dazu angestiftet,
Mohren, Säufer und Clowns
an den Tisch Unseres Herrn zu laden?
Was soll dieser Zwerg mit dem Papagei,
was soll der schnüffelnde Hund,
und warum blutet der Mameluck aus der Nase?
Meine Herren, sprach ich, dies alles
habe ich frei erfunden zu meinem Vergnügen.
Aber die Sieben Richter der Heiligen Inquisition
raschelten mit ihren roten Roben
und murmelten: überzeugt uns nicht.

II
Oh, ich habe bessere Bilder gemalt;
aber jener Himmel zeigt Farben,
die ihr auf keinem Himmel findet,
der nicht von mir gemalt ist;
und es gefallen mir diese Köche
mit ihren riesigen Metzgersmessern,
diese Leute mit Diademen, mit Reiherbüschen,
pelzverbrämten, gezaddelten Hauben
und perlenbestickten Turbanen;
auch jene Vermummten gehören dazu,
die auf die entferntesten Dächer
meiner Alabaster-Paläste geklettert sind
und sich über die höchsten Brüstungen beugen.
Wonach sie Ausschau halten,
das weiß ich nicht. Aber weder euch
noch den Heiligen schenken sie einen Blick.

III
Wie oft soll ich es euch noch sagen!
Es gibt keine Kunst ohne das Vergnügen,
Das gilt auch für die endlosen Kreuzigungen,
Sintfluten und Bethlehemitischen Kindermorde,
die ihr, ich weiß nicht warum,
bei mir bestellt.
Als die Seufzer der Kritiker,
die Spitzfindigkeiten der Inquisitoren
und die Schnüffeleien der Schriftgelehrten
mir endlich zu dumm wurden,
taufte ich das Letzte Abendmahl um
und nannte es
Ein Diner bei Herrn Levi.

IV
Wir werden ja sehen, wer den längeren Atem hat.
Zum Beispiel meine Heilige Anna selbdritt.
Kein sehr amüsantes Sujet.
Doch unter den Thron,
auf den herrlich gemusterten Marmorboden
in Sandrosa, Schwarz und Malachit,
malte ich, um das Ganze zu retten,
eine Suppenschildkröte mit rollenden Augen,
zierlichen Füßen und einem Panzer
aus halb durchsichtigem Schildpatt:
eine wunderbare Idee.
Wie ein riesiger, kunstvoll gewölbter Kamm,
topasfarben, glühte sie in der Sonne.

V
Als ich sie kriechen sah,
fielen mir meine Feinde ein.
Ich hörte das Gebrabbel der Galeristen,
das Zischeln der Zeichenlehrer
und das Rülpsen der Besserwisser.
Ich nahm meinen Pinsel zur Hand
und begrub das Geschöpf,
bevor die Schmarotzer anfangen konnten,
mir zu erklären, was es bedeute,
unter sorgfältig gemalten Fliesen
aus schwarzem, grünem und rosa Marmor.
Die Heilige Anna ist nicht mein berühmtestes,
aber vielleicht mein bestes Bild.
Keiner außer mir weiß, warum.

Hans Magnus Enzensberger. Gedichte 1950-2005, Suhrkamp Verlag, 2006





Ultima cena. Scuola veneziana, XVI secolo

I
Quando ebbi terminato la mia Ultima Cena,
cinque metri e mezzo per quasi tredici metri,
un lavoro enorme, ma pagato molto bene,
arrivarono le consuete domande.
Cosa starebbero a significare quegli stranieri
con le loro alabarde? Sono vestiti
da eretici o da tedeschi.
Le sembra conveniente
piazzare in mano a San Luca
uno stuzzicadenti?
Chi l'ha spinta
ad invitare mori, ubriaconi e pagliacci
alla tavola di Nostro Signore?
Cosa c'entra questo nano con il pappagallo,
cosa c'entra quel cane che fiuta
e perché al mamelucco sanguina il naso?
Signori miei, dissi loro, tutto questo
l'ho inventato io liberamente per mio piacere.
Ma i sette Giudici della Santa Inquisizione
si mossero frusciando nelle loro vesti rosse
e mormorarono: non ci convince.

II
Oh, ho dipinto quadri migliori;
ma quel cielo mostra colori
che non troverete in nessun cielo
che non sia stato dipinto da me;
e mi piacciono quei cuochi
con i loro enormi coltelli da macellaio,
quella gente con diademi, piume d'airone,
berretti di pelliccia e con orli dentellati,
e turbanti trapuntati di perle;
gli fanno il paio anche quegli imbacuccati
arrampicati sui tetti più distanti
dei miei palazzi d'alabastro,
affacciati da altissime balaustre.
Cosa stiano osservando,
io non lo so. Ma non degnano
di uno sguardo né voi
né i santi.

III
Ma quante volte ancora ve lo devo dire!
Non c'è arte senza piacere,
questo vale anche per le infinite crocifissioni,
i diluvi e le stragi degli innocenti
che, non so per qual motivo,
venite a commissionare da me.
Quando non ne potei più
dei sospiri dei critici,
delle cavillosità degli inquisitori
e delle curiosità degli scribi,
ribattezzai L'Ultima Cena
e la chiamai
Una Cena a Casa di Levi.

IV
Vedremo però chi ha il fiato più lungo.
Ad esempio la mia Sant'Anna con la Vergine e il Bambino.
Un soggetto non molto divertente.
E tuttavia sotto il trono,
sul pavimento in marmo finemente intarsiato
di rosa sabbia, nero e malachite,
dipinsi, per salvare il tutto,
una testuggine dagli occhi strabuzzati,
dai piedi delicati e dal guscio
in tartaruga semi-trasparente:
un'idea meravigliosa.
Brillava al sole come un pettine enorme,
convesso a regola d'arte,
color topazio.

V
Quando la vidi strisciare
mi vennero in mente i miei nemici.
Sentii i gargarismi dei galleristi,
i sibili degli insegnanti di disegno
e i rutti dei tuttologi.
Presi in mano il pennello
e sotterrai la creatura,
prima che i parassiti cominciassero
a spiegarmene il senso,
sotto piastrelle accuratamente dipinte
a marmo nero, verde e rosa.
Sant'Anna non è il più famoso,
ma è forse il migliore dei miei quadri.
Nessuno, a parte me, ne conosce il motivo.

*

Nel 1573, dieci anni dopo il Concilio di Trento, Paolo Veronese dipinse un'Ultima cena per il refettorio del convento domenicano dei SS. Giovanni e Paolo, che gli era stata commissionata per sostituire l'omologo dipinto di Tiziano, andato distrutto in un incendio nel 1571. Il dipinto si trova a Venezia, all'Accademia, con il titolo di Cena a casa di Levi: il cambio di titolo, come ricorda Enzensberger, è il modo in cui Veronese risolse i suoi problemi con l'Inquisizione. Più che problemi, forse solo delle noie. Forse sollevate solo per consuetudine ("le consuete domande"). Forse non dirette nemmeno specificatamente a lui, ma a qualcuno per cui aveva lavorato.

Interrogato sulla sua professione, ha risposto: “Dipingo e faccio delle figure.”
Domanda: “Avete conoscenza dei motivi per cui siete convocato?”
Risposta: “No.”
Domanda: “Immaginate quali sono questi motivi?”
Risposta: “Posso ben immaginarmeli.”
Domanda: “Dite cosa ne pensate.”
Risposta: “Penso si tratti di quello che mi è stato detto dai Reverendi Padri, o piuttosto dal priore del convento dei Santi Giovanni e Paolo, priore di cui ignoravo il nome, il quale mi ha dichiarato di essere stato qui, e che le Vostre Signorie Illustrissime...
...Il prior de S. Zuane Polo, del qual no so il nome, ... mi disse, che l’era stato qui et che Vostre Signorie Illustrissime gli haveva dato commissione ch’el avesse dar far la Maddalena in luogo de un can, et mi ghe risposi, che volentiera haveria fatto quelle et altro per honor mio et del quadro; ma che non sentiva che tal figura della Maddalena podesse zazer che la stesse bene per molte ragioni, le quali dirò sempre che mi sia dato occasion che le possa dir ...”
Gli è stato chiesto: “In questa cena, che avete fatto in S. Giovanni Paulo, che significa la pittura di colui li esse il sangue dal naso?”
Ha risposto: “L’ho fatto per un servo che, per qualche accidente, li possa esser venuto il sangue del naso.”
Gli è stato chiesto: “Che significa quelli armati alla Thodesca vestiti con una lambarda per uno in mano?
Ha risposto: “El fa bisogno che dica qui vinti parole”.
Gli è stato detto: “Ch’el dica”.
Ha risposto: “Nui pittori si pigliamo la licentia che si pigliano i poeti et i matti, et ho fatto quelli dui alabardieri uno che beve, et l‘altro che beve vicino ad una scala morta, i quali son messi là, che possino fare qualche officio parendomi conveniente che ‘l patron della Casa che era grande e richo, secondo che mi è stao detto, dovesse haver tal servitori.”
Gli è stato chiesto: “Quel vestito da buffon con il papagalo in pugno, a che effetto l’havete depento in quel telaro?”
Ha risposto: “Per ornamento, come si fa.”
Gli è stato chiesto: “Chi credete voi veramente che si trovasse in quella Cena?”
Ha risposto: “Credo che si trovassero Christo con li suoi Apostoli; ma se nel quadro li avanza spacio io l’adorno di figure, secondo le inventioni.”
Gli è stato chiesto: “Se da alcuna persona vi è stato commesso che voi depengeste in quel quadro Thodeschi et buffoni et simil cose.”
Ha risposto: “Signor no. Ma la commissione fu di ornar il quadro secondo mi paresse, il quale è grande et capace di molte figure, sì come a me pareva.”
Gli è stato chiesto: “Se gli ornamenti che lui pittore è solito di fare le pitture o quadri, è solito di fare convenienti et proportionati alla materia et figure principali, o veramente a beneplacito, secondo che li viene in fantasia senza alcuna discretione et giuditio.”
Ha risposto: “Io fazzo le pitture con quella consideration che è coveniente, che ‘l mio intellettuo può capire.”
Interrogato: “Se li par conveniente che alla Cena ultima del Signore si convenga dipingere buffoni, imbriachi, Thodeschi, nani et simili scurrilità.”
Ha risposto: “Signori no.”
Interrogato: “Non sapete voi che in Alemagna et altri lochi infetti di heresia sogliono con le pitture diverse et piene di scurrilità et simili inventioni diligare, vituperar et far scherno delle cose della Santa Chiesa Catholica per insegnar mala dottrina alle genti idiote et ignoranti?”
Ha risposto: “Signor sì che l’è male; ma perché tornerò anchora a quel che ho dito, che ho obligo di seguir quel che hanno fatto li miei maggiori.”
Gli è stato chiesto: “Che hanno fatto i vostri maggiori? Hanno fatto forse cosa simile?”
Ha risposto: “Michel Agnolo in Roma, dentro la Capella Pontifical, vi è depento il nostro Signor Jesu Christo, la sua Madre et S. Zuane, S. Pietro et la Corte Celeste, le quali tutte son fatte nude, dalla Vergine Maria in poi, con atti diversi con poca reverentia.”
Gli è stato detto: “Non sapete voi che, depengendo il giuditio universale, nel quale non si presume vestiti o simil cose, non occorrea dipinger veste, et in quella figura non vi è cosa se non de spirito, non vi sono buffoni, né cani, né arme, né simili buffonerie? E se li pare per questo o per qualunque altro esempio di haver fatto bene di haver depento questo quadro in quel modo che sta et se ‘l vol defendere chel quadro sta bene et condecentemente.”
Ha risposto: “Signor Illustrissimo, no che non lo voglio defender: ma pensava di far bene. Et che non ho considerato tante cose, pensando di non far disordine nisuno, tanto più che quelle figure di buffoni sono di fuora del luogo dove è nostro Signore.”

Dal verbale del processo, 18 luglio 1573

L'Inquisizione veneziana, come avevo già accennato tra le righe a proposito dei benandanti, e anche come confermato, in questa occasione, dalle osservazioni di Baschet che accompagnarono la sua pubblicazione del verbale del processo, era di altra natura rispetto a quella romana o a quella spagnola, di fatto più indulgente di queste (a parte la volontà di Venezia di marcare la propria sovranità, non devono essere passati invano i decenni precedenti, quelli in cui a Venezia, per lungo tempo, si era potuto pubblicare di tutto, persino opere luterane, per le quali la presenza stessa di commercianti todeschi in laguna deve aver giocato un ruolo).

Nel caso specifico, l'intervento dell'Inquisizione veneziana deve essere stato dettato da dei motivi di fondo forse diversi da quelli che emergono strettamente dal verbale, se non altro perché Veronese aveva già ritratto dei personaggi non esattamente conformi all'iconografia tradizionale, inclusi personaggi da XVI secolo veneziano più che da antica Galilea, inclusi cani e incluso, letteralmente, un nano con un pappagallo in pugno.

Nozze di Cana, 1563

E poi, se si fosse trattato esclusivamente di rappresentazioni non convenienti alla sacralità del tema, e se Veronese ne fosse stato seriamente impensierito, perché mai sarebbe ricorso, in propria difesa (oltre alla follia dei pittori, pari a quella dei poeti), proprio all'esempio di Michelangelo, i cui nudi, appena qualche anno prima, e diversamente dalla posizione dell'inquisitore, erano stati ricoperti dai famosi braghettoni? E se fosse stata veramente una questione legata alla sola rappresentazione di personaggi non convenzionali, sarebbe mai riuscito a risolverla senza intervenire, come richiesto espressamente dalla sentenza, sul dipinto, ma solo sul suo titolo?
Non ho alcun ulteriore appiglio per sostenerlo se non quelli che ho cercato qui brevemente di evidenziare, ma ho l'impressione che gli inquisitori se la siano presa con Veronese in quanto artista, e dunque bersaglio più accessibile, per evitare di attaccare di petto un terzo, il vero obiettivo delle loro mire (il priore del convento? I Reverendi Padri? Una famiglia a loro vicina?). 


Armand Baschet, Paul Véronèse appelé au Tribunal du Saint Office, à Venise (1573), Gazette des beaux arts, Parigi, 1859

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