venerdì 1 ottobre 2010

Appunti per una lettera (maggio 1944)

〈Non si tratta - lo capisci - di negare la storia - la storia esiste - il valore consiste nel superarla - (concediamoci questa astrazione) si realizza (non è un'idea disincarnata) attraverso la parte storica in noi, la più caduca, la più ctonia, la meno cristallizzata - più ci realizziamo in pieno, meno disponibilità abbiamo per la 'storia', meno prendiamo parte a questa attività immediata - sono la voracità, la fame di vita, il malinteso, l'aspirazione inadeguata in noi che fanno la storia: non il grande gesto che vince abdicando ma il piccolo gesto che vince saziandosi - chi fa la storia non avrà mai la gloria della trasmutazione, non avrà che la soddisfazione della sazietà, l'autocompiacimento di essere riuscito a imporsi, la bassa esaltazione della vendetta realizzata - vincerà sul livello di dove è vissuto, e non respirerà la grande calma al di là della vendetta e del perdono -
- chi fa la storia? - quelli che in tram si spingono verso l'uscita, quelli che urlano mentre la nave sta per affondare
- vedi, cara X., pregare il Signore che i nostri sogni non si realizzino - ciò che abbiamo sognato l'abbiamo già avuto - ogni realizzazione è ripetizione e routine - ma esiste anche una gerarchia dei desideri, dei sogni - ogni sogno fallito crea un sogno più alto - chi sogna sempre sullo stesso livello è il burocrate di se stesso - [...].〉

Roberto Bazlen, Scritti, Adelphi 2008

Roberto (Bobi) Bazlen (1902-1965): germanofono e conoscitore di diverse lingue, avido fumatore e vorace lettore, traduttore nascosto dietro nomi fittizi, promotore disincantato(1) di scrittori stranieri(2) e italiani(3), scrittore di note a piè di pagina (4), "passante sulla terra".

(1) "Se un giorno avrò voglia, forse vi manderò, per la rivista, un solo articolo sull'inutilità di divulgare in Italia culture estere" (da una lettera a Montale del 16 novembre 1925)
(2) Kafka, Trakl, Altenberg, Lawrence, Faulkner, Hemingway, Döblin, Heinrich Mann, Arnold Zweig, ecc.
(3) Su tutti Svevo, che, senza Bazlen, Montale(5) non avrebbe mai sentito nominare.
(4) "Io credo che non si possa più scrivere libri.
Perciò non scrivo libri -
Quasi tutti i libri sono note a piè di pagina gonfiate in volumi (volumina). Io scrivo solo note a piè di pagina"
(5) Si deve a Bazlen il soprannome di Eusebio o Eusebius - ispirato al personaggio di Schumann - con cui Montale veniva chiamato dagli amici.

2 commenti:

  1. La bellissima struttura di questo post – trattato, commentario fattuale al trattato, note miste (soggettive ed oggettive) al commentario rievocano il Dictionnaire di Bayle.

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  2. È davvero bello se delle note rudimentali riescono a rievocare quelle di Bayle, che erano perfettamente strutturate, con tanto di livelli gerarchici e di annidamenti(*). Purtroppo, mi sono scelta un formato di blog che non permette di apporre anche delle note a margine. Tra l'altro, trovo che sarebbe proprio bellissimo se anche i commenti potessero essere aggiunti ai lati del testo e se restassero sempre in primo piano, accompagnando il testo nella sua effimera vita(**): lo arricchirebbero, diventandone parte integrante e - con tutta probabilità - facendolo diventare altro.

    *Si potrebbe, un giorno, scrivere un testo di una riga, ad esempio una frase molto nota, magari una di quelle generalmente considerate rappresentare una grande verità, oppure un noto teorema, o un verso di una poesia famosa, e cominciare a chiosarlo con delle note e a derivare, da ciascuna di queste, altre note, e così via, possibilmente con il contributo di persone diverse, dando libero sviluppo alle associazioni, alle conoscenze e ai ricordi di ciascuno.

    **Penso che ci illudiamo, quando pensiamo di avere sconfitto per la prima volta l'atavica paura del rogo dei libri e della loro irrimediabile scomparsa (chiamiamola sindrome da biblioteca d'Alessandria) grazie alla loro digitalizzazione. Mi pare sia il solito delirio di onnipotenza che segue la nascita di ogni nuova tecnologia: si ridimensiona solo quando essa rivela i propri punti deboli e le proprie intrinseche fragilità.

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