Als Kinder haben wir Versteck gespielt.
Erinnerst du dich noch an unsre Spiele.
Alle verstecken sich, einer muss warten.
Gesicht am Baum oder an einer Wand
Die Hand über den Augen, bis der letzte
Seinen Platz gefunden hat, und wer gesehn wird
Muss um die Wette laufen mit dem Sucher.
Wenn er zuerst am Baum steht, ist er frei
Wenn nicht muss er stehnbleiben auf der Stelle
Als ob der Handschlag an Baum oder Wand
Ihn an den Boden nagelt wie ein Grabstein.
Er darf sich nicht bewegen bis der letzte
Gefunden ist. Und manchmal wird der letzte
Weil er zu gut versteckt ist, nicht gefunden.
Dann warten alle, die versteinert dastehn
Jeder sein eignes Denkmal, auf den letzten.
Und manchmal kommt es vor, dass einer stirbt
Und sein Versteck wird nicht gefunden, kein
Hunger treibt ihn heraus aus seinem Tod
Der ihn gefunden hat außer der Reihe
Die Toten haben keinen Hunger mehr.
Dann fällt die Auferstehung aus. Der Sucher
Jeden Stein hat er umgedreht viermal.
Jetzt kann er nur noch warten, das Gesicht
An seinem Baum oder an seiner Wand
Die Hand über den Augen, bis die Welt
An ihm vorbei ist. Merkst du ihren Gang.
Leg deine Hand über die Augen, Bruder.
Die andern, die der Sucher an den Boden
Genagelt hat mit seinem Handschlag an
Baum oder Wand, weil sie nicht schnell genug
Gelaufen sind aus ihrem Versteck, das nicht
Sicher genug war, und jetzt haben sie
Für ihre Augen keine Hand, weil sie
Sich nicht bewegen dürfen und die Augen
Schließen dürfen sie auch nicht nach der Regel.
Wie Steine auf dem Friedhof warten sie
Mit offnen Augen auf den letzten Blick.
Heiner Müller, Zement, Geschichten aus der Produktion 2, Rotbuch Verlag, Berlin, 1974
Da bambini abbiamo giocato a nascondino.
Ti ricordi ancora dei nostri giochi.
Tutti si nascondono, uno deve aspettare.
Voltato verso l'albero o una parete
La mano sugli occhi, finché l'ultimo
Non abbia trovato il proprio posto, e chi viene visto
Deve sfidarsi a correre con chi sta sotto.
Se arriva all'albero per primo, è libero
Se no, deve restare sul posto
Come se il tocco della mano sull'albero o sulla parete
Lo inchiodasse al suolo come una lapide.
Non può muoversi finché l'ultimo
Non viene trovato. E talvolta l'ultimo
Non viene trovato perché si è nascosto troppo bene.
Allora tutti aspettano l'ultimo, i catturati se ne stanno lì
Ognuno il proprio monumento.
E talvolta capita che uno muoia
E il suo nascondiglio non venga trovato,
La fame non lo richiama dalla morte
Che l'ha colto fuori dai ranghi
I morti non hanno più fame.
Allora la risurrezione è sospesa. Chi sta sotto
Ha rivoltato quattro volte ogni pietra.
Ora non può che aspettare, il volto
Al proprio albero o alla propria parete
La mano sugli occhi, finché il mondo
Non gli sia passato dietro. Osserva la sua andatura.
Metti la mano sugli occhi, fratello.
Gli altri, che chi sta sotto ha inchiodato
Al suolo con il tocco della mano
All'albero o alla parete, perché non sono corsi
via abbastanza velocemente dal proprio nascondiglio, che non era
Abbastanza sicuro, e ora non hanno
Nessuna mano per gli occhi, perché
Non si possono muovere e non possono neanche
Chiudere gli occhi, in base alle regole.
Aspettano come pietre al cimitero
Con occhi aperti l'ultimo sguardo.
Cut
A zughé a cut bsògna avài òc, ès féurb.
Mè a cnòss di póst, di béus ch’a i so sno mè.
Stavólta a m so masè tramèza agli asi
de magazéin de lègn ad Bigudòun.
A i sint ch’i zcòrr, ch’i cèma,
a sbarlòc dal fiséuri, a i vèggh ch’i zéira,
ch’i s’inségna se daid dò ch’i à d’andé.
Mè aspétt aquè, a n mu n móv, a téngh e’ fiè.
Adès u m pèr ch’i s séa un pó sluntanè,
mè a stagh sémpra masèd, l’è bèla un’òura,
a m’inféil t’un budèl piò strètt, acsè,
fra do cadasi, a i ví fè dvantè mat.
Mo dò ch’i è? a n’i sint piò,
i n capéss mégga gnént, i va purséa.
E’ sarà piò ’d do òuri ch’a so què,
l’è da òz dopmezdè, u s fa nòta, e lòu,
puràz, i zirca sémpra, mo i n mu n tróva,
e a i ví vdai a truvèm dréinta sté béus.
E’ pò ès ènca ch’i apa pérs la vòia,
che e’ zugh u s séa smanè, ch’i séa ’ndè chèsa.
Pézz par lòu, mè a stagh bón tra tótt’ stagli asi,
aquè sòtta u n mu n tróva piò niseun.
Raffaello Baldini, La nàiva Furistír Ciacri, Einaudi, 2000
Per giocare a nascondino bisogna avere occhio, essere furbi.
Io conosco dei posti, dei buchi, che so solo io.
Stavolta mi sono nascosto fra le assi
del magazzino del legno di Bigudòun.
Li sento che parlano, che chiamano,
sbircio dalle fessure, li vedo che girano,
che si indicano col dito dove devono andare.
Io aspetto qui, non mi muovo, trattengo il fiato.
Adesso mi pare che si siano un po’ allontanati,
io sto sempre nascosto, è ormai un’ora,
m’infilo in un budello più stretto, così,
fra due cataste, li voglio far diventare matti.
Ma dove sono? non li sento più,
non capiscono mica niente, vanno purchessia.
Saranno più di due ore che sono qui,
è da oggi pomeriggio, si fa notte, e loro,
poveracci, cercano sempre, ma non mi trovano,
e li voglio vedere a trovarmi in questo buco.
Può darsi anche che abbiano perso la voglia,
che il gioco si sia smagliato, che siano andati a casa.
Peggio per loro, io sto buono fra tutte queste assi,
qui sotto non mi trova più nessuno.
Versione bellica
Versione ticinese
venerdì 15 ottobre 2010
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