Non penso solo al suo ceppo o ai diversi Paesi in cui vivono minoranze ungheresi o alla loro consistenza. Penso soprattutto allo stile delle lingue di minoranza, alla loro preziosa funzione di testimonianza, di memoria e di specchio, ai loro percorsi non invasivi, discreti e carsici, e mi viene in mente Danilo Kiš, di origine montenegrino-ungaro-ceco-ebraica, che si definiva a volte "uno scrittore bastardo, arrivato dal nulla", a volte uno scrittore jugoslavo, quindi di un Paese che nel nulla è finito, e che scrisse in un serbo-croato (la lingua della madre) in cui lasciava entrare naturali infiltrazioni ungheresi (la lingua del padre) o francesi:
Quando mi siedo per scrivere, spesso trovo una parola ungherese oppure francese per quello che dovrei dire in serbo. Le espressioni ungheresi sono, ad esempio, una sorta di piccole sorprese per il lettore, anche se i miei libri vengono letti in traduzione inglese o francese. Desidero far loro questo piacere, far loro provare una gioia simile a quella che provavo io quando nei testi degli scrittori jugoslavi mi imbattevo in parole ungheresi - in Krleža, per esempio.Nota, di fonte non trascritta, presa sull'ultima pagina di Un tombeau pour Boris Davidovitch. Sept chapitres d'une même histoire, Danilo Kiš. Traduit du serbo-croate par Pascale Delpech, Gallimard 2007.
P.S. Un testo, quello di Kiš, "nato nel dubbio e nell'incertezza" che, "per raggiungere la verità di cui sognava l'autore", avrebbe dovuto essere raccontato "in rumeno, ungherese, ucraino o in yiddish".
P.P.S. Oggi ho scoperto che kis, in ungherese, vuole dire piccolo: ecco la gioia provata stamattina ed ecco perché questo P.P.S., probabilmente, avrebbe dovuto essere posto in cima a tutto quanto.
La parola “kis”, che è una versione dell’originale “kicsi” (si dice “kis” in funzione di aggettivo – a kis ház, la piccola casa – e “kicsi” in funzione predicativa – a ház kicsi, la casa è piccola), è anche relativo del turco “küçük” che significa lo stesso, e del persiano کوچه kuče, “piccola strada”. Ecco alcune di più delle radici di Kiš…
RispondiEliminaNella letteratura contemporanea ungherese c’è un altro scrittore, Pál Závada, che proviene da una zona slovacca e che caratteristicamente usa nei suoi romanzi fortemente buoni le parole slovacche nella stessa maniera come Kiš quelle ungheresi. Queste parole sono veramente dei “piccoli sorpresi” per il lettore ungherese per cui ciascuna di esse evoca un intero mondo.
Credo proprio che grazie a te userò sempre correttamente kis e kicsi.
RispondiEliminaTra l'altro pare che il percorso verso oriente non si fermi al persiano, ma prosegua almeno fino al malese kecil.
Prendo poi nota di Závada, che non conoscevo nemmeno di nome: in fin dei conti, per poterlo leggere si tratta solo di far passare quei pochi minuti che ancora mancano per completare l'apprendimento della lingua :-)