Trascrizione reperto audio N. 1
- Est-ce que vous avez une langue? (avete una lingua?)
Trascrizione reperto audio N. 2
- It was born in the nineteenth century, wasn't it? (è nata nell'Ottocento, vero?)
Bisognerebbe tenere presente la regola fondamentale dell'ermeneutica stalinista: siccome i mezzi di informazione ufficiali non danno apertamente notizia dei problemi, il modo più affidabile per rilevarli è prestare attenzione agli eccessi compensativi nella propaganda di stato: più si celebra l'"armonia", più ci sono in realtà caos e lotta. La Cina è a stento sotto controllo. Minaccia di esplodere.
Slavoj ŽižekO di implodere, secondo la regola fondamentale dell'ermeneutica kakanica.
[...] der Kaiser und König von Kakanien war ein sagenhafter alter Herr. Seither sind ja viele Bücher über ihn geschrieben worden, und man weiß genau, was er getan, verhindert oder unterlassen hat, aber damals, im letzten Jahrzehnt von seinem und Kakaniens Leben, gerieten jüngere Menschen, die mit dem Stand der Wissenschaften und Künste vertraut waren, manchmal in Zweifel, ob es ihn überhaupt gebe. Die Zahl der Bilder, die man von ihm sah, war fast ebenso groß wie die Einwohnerzahl seiner Reiche; an seinem Geburtstag wurde ebensoviel gegessen und getrunken wie an dem des Erlösers, auf den Bergen flammten die Feuer, und die Stimmen von Millionen Menschen verischerten, daß sie ihn wie einen Vater liebten; endlich war ein zu seinen Ehren klingendes Lied das einzige Gebilde der Dichtkunst und Musik, von dem jeder Kakanier eine Zeile kannte: aber diese Popularität und Publizität war so über-überzeugend, daß es mit dem Glauben an ihn leicht ebenso hätte bestellt sein können wie mit Sternen, die man sieht, obgleich es sie seit Tausenden von Jahren nicht mehr gibt.
Robert Musil, Der Mann ohne Eigenschaften, Rohwolt Taschenbuch Verlag, 2010
[...] l’imperatore e re di Kakania era un vecchio signore leggendario. In seguito sono stati scritti molti libri su di lui, e si sa con precisione cosa ha fatto, impedito o trascurato di fare, ma allora, nell’ultimo decennio della sua vita e di quella della Kakania, molti giovani, che erano familiari con lo stato delle scienze e con le arti, si chiedevano talvolta se egli esistesse veramente. Il numero dei ritratti che si vedevano di lui era quasi altrettanto grande del numero degli abitanti dei suoi regni; il giorno del suo genetliaco si mangiava e si beveva come in quello del Redentore, sui monti fiammeggiavano i fuochi e le voci di milioni di uomini assicuravano di amarlo come un padre; infine una canzone intonata in suo onore era la sola creazione poetica e musicale di cui ogni kakanico conoscesse un verso, ma questa popolarità e pubblicità erano così ultraconvincenti che credere alla sua esistenza avrebbe potuto essere come credere all’esistenza di quelle stelle che si vedono nonostante non esistano più da migliaia di anni.Ermeneutica kakanica che non è del tutto estranea a quella cinese. Vista da Praga, però.
Nun gehört zu unsern allerundeutlichsten Einrichtungen jedenfalls das Kaisertum. In Peking natürlich, gar in der Hofgesellschaft besteht darüber einige Klarheit, wiewohl auch diese eher scheinbar als wirklich ist; auch die Lehrer des Staatsrechtes und der Geschichte an den hohen Schulen geben vor über diese Dinge genau unterrichtet zu sein und diese Kenntnis den Studenten weitervermitteln zu können; und je tiefer man zu den untern Schulen hinabsteigt desto mehr schwinden begreiflicher Weise die Zweifel am eigenen Wissen und Halbbildung wogt bergehoch um wenige seit Jahrhunderten eingerammte Lehrsätze, die zwar nichts an ewiger Wahrheit verloren haben aber in diesem Dunst und Nebel auch ewig unerkannt bleiben.
Gerade über das Kaisertum aber sollte man meiner Meinung nach zuerst das Volk befragen, da doch das Kaisertum seine letzten Stützen dort hat. Hier kann ich allerdings wieder nur von meiner Heimat sprechen. Außer den Feldgottheiten und ihrem das ganze Jahr so abwechslungsreich und schön erfüllenden Dienst galt unser aller Denken nur dem Kaiser. Aber nicht dem gegenwärtigen oder vielmehr es hätte auch dem gegenwärtigen gegolten, wenn wir ihn gekannt oder Bestimmtes von ihm gewußt hätten. Wir waren freilich auch - die einzige Neugierde die uns erfüllte – immer bestrebt, irgendetwas von der Art zu erfahren. Aber – so merkwürdig es klingt – es war kaum möglich etwas zu erfahren, nicht vom Pilger, der doch viel Land durchzieht, nicht in den nahen nicht in den fernen Dörfern, nicht von den Schiffern, die doch nicht nur unser Flüßchen, sondern auch die heiligen Ströme befahren. Man hörte zwar viel, konnte aber dem vielen nichts entnehmen.
Franz Kafka, Beim Bau der chinesischen Mauer und andere Schriften aus dem Nachlaß in der Fassung der Handschrift, Fischer Taschenbuch Verlag, 2004
Ora, l’impero appartiene comunque alle nostre istituzioni più inspiegabili. Naturalmente, a Pechino, nella società di corte, sussiste riguardo a ciò una certa chiarezza, benché anche questa sia più apparente che reale; anche i professori di diritto pubblico e di storia a livello accademico danno ad intendere di essere informati in modo preciso su queste cose e di essere in grado di trasmettere questa conoscenza agli studenti; e più si scende nelle scuole di rango inferiore, più scompaiono chiaramente i dubbi nel proprio sapere e una cultura superficiale si erge attorno a poche tesi inculcate da secoli, che non hanno perso nulla della loro eterna verità, ma che rimangono per sempre non riconosciute nella foschia e nella nebbia.
E rivissuta, il 3 giugno del 1976, da un polacco all'ambasciata americana di Praga, dove il praghese aveva vissuto durante la Rivoluzione russa.Ma a mio parere dovremmo chiedere al popolo proprio dell'impero, perché è nel popolo che l'impero trova il suo sostegno ultimo. Tuttavia qui posso di nuovo parlare solo del mio Paese. A parte le divinità agricole e i servigi dedicati a loro, che riempiono tutto l'anno in modo così vario e bello, il nostro pensiero andava solo all’imperatore. Ma non all'imperatore attuale o piuttosto avremmo preferito pensare a quello presente se lo avessimo conosciuto o se avessimo saputo qualcosa di definito su di lui. Cercavamo sempre - la sola curiosità che ci dava soddisfazione - di trovare qualcosa che avesse a che fare con lui, ma – per quanto strano possa sembrare - non dai pellegrini, che pur avevano attraversato gran parte del Paese, e non dai villaggi vicini o lontani, non dai marinai, che pur avevano viaggiato non solo per i nostri piccoli fiumi, ma anche per i fiumi sacri alla patria. In effetti si sentivano dire molte cose, ma non se ne poteva dedurre nulla.
Nella sua introduzione (di Karel Popradek, ndf) è risuonata una nota di disinteresse, di noncuranza addirittura: l'ha pronunciata a voce dura e sommessa, in un inglese un po' esitante, aggiustando il microfono e distendendo i fogli sul panno verde. "Nel 1917, l'anno della grande Rivoluzione russa, Kafka abitò per alcuni mesi in questa casa ed è qui che scrisse il racconto La costruzione della muraglia cinese. Una coincidenza nella quale chi è portato all'interpretazione cabalistica della storia, può ricercare un significato più profondo. Per quanto mi riguarda, io mi accontento di affermare che La muraglia cinese è un'opera geniale, un capolavoro che non è stato pienamente apprezzato dagli studiosi dell'opera di Kafka. Con i capolavori di piccole dimensioni capita che basti leggerli lentamente e ad alta voce perché gli ascoltatori si rendano conto di tutta la loro bellezza e profondità. Ma può capitare anche che sia necessario spremerne il succo, riassumerli con parole proprie senza aggiungere alcun commento personale, a costo di distruggerne la forma e di trascurare, in apparenza, la fatica dell'artista: si raccoglie così in una piccola ampolla il distillato di una preziosa essenza che, prima dell'intervento del critico, circolava, diluita e mescolata con altre sostanze, nelle vene di un frutto meraviglioso e segreto. Ed è quello che intendo fare oggi. Le persone a cui questa mia intenzione riesca sgradita, o a cui sembri un abuso in confronto alla solenne cornice della cerimonia odierna, sono invitate ad approfittare al più presto della gentilezza dei numerosi portieri volontari."
Gustaw Herling, Diario scritto di notte, traduzione di Donatella Tozzetti, Feltrinelli, 1992E raffazzonata così, in una notte del 2010, con il consueto dubbio che l'ermeneutica del Maradagal sfugga alle regole fondamentali di tutte le altre, ma - particolare personale, eppure di significato non trascurabile - tra le pareti di una casa finalmente riscaldata.
Ho aperto perciò un magazzino di libri, dove m'assido al cantar del gallo, e non n'esco se non per pochi momenti, e vi rimango poi fin dopo molt'ore della notte. Son corsi già quasi cinque mesi dacché fo il mestiere di libraio. Non ho molt'occasioni, per verità, di sorger dalla mia sedia in un giorno; i compratori son pochi e rarissimi: ma io ho invece la gioia di veder a ogni istante venir alla porta mia cocchi e carrozze, e talvolta uscire da quelle le più belle facce del mondo, prendendo per isbaglio la mia bottega di libri per la bottega della mia contigua, ove si vendono zuccherini e crostate. Perché creda la gente che ho molti avventori, penso di porre uno scritto alla finestra, che dice: "Qui si vendono zuccherini e crostate italiane"; e se per questa burletta alcuno entrerà nel mio magazzino, gli farò vedere il Petrarca o qualch'altro dei nostri poeti, e sosterrò che sono i nostri più dolci zuccherini, per chi ha denti da masticarli.
Nonostante la notevole importanza dell'opera di Luigi Meneghello nel panorama letterario italiano, il suo romanzo più celebre e il più celebrato, Libera nos a malo, apparso per la prima volta da Feltrinelli nel 1963, non era ancora stato tradotto in francese.
Non è affatto l'effetto di una dimenticanza o di una distrazione degli editori e dei traduttori: il testo pone dei problemi di trasposizione in francese che hanno costituito più di qualche ragione per dissuadere gli uni e gli altri. In questa evocazione della sua infanzia e della sua giovinezza dagli anni '20 agli anni '60 nel paese di Malo, in provincia di Vicenza, Meneghello non si accontenta di ricorrere qua e là al(ai) dialetto(i) della sua regione, il che genera già delle grandi difficoltà, molto di più: il dialetto diventa una delle questioni decisive del racconto, in qualche modo il personaggio centrale. Non si tratta più solo di "rendere" in francese delle parole, delle espressioni e dei modi di dire insoliti per un italiano che non conosca il dialetto di Malo, bisogna anche rendere conto della tensione tra "la lingua" (l’italiano), lingua dei libri, delle idee e degli inni, e la parlata quotidiana (il dialetto), lingua delle cose, dei giochi d'infanzia e della vita, e delle implicazioni sia cognitive, sia poetiche sia politiche che questa tensione comporta.
Fin dall'inizio della traduzione, mi è parso che il ricorso all'argot, a un francese popolare o a delle semplici alterazioni fonetico-grafiche non sarebbe potuto bastare a questa impresa. «Pauv’ gars» non è accettabile per tradurre «poaretto», «mioche» non è adatto per «putèo», né «chatte» per «mona». Si è presto imposta l'idea di andare ad attingere ad un «patois» francese se non la totalità dei termini dialettali da tradurre, anteponendo in ogni caso la logica alla loro traduzione.
Si può obiettare che la realtà dei dialetti in Italia non corrisponda o non corrisponda più a quella dei patois, se non altro perché questi sono ormai quasi totalmente desueti e (quindi) incomprensibili, mentre i primi resistono. Senza dubbio. Ma, da una parte, il dialetto di Meneghello è solo in parte comprensibile al giorno d'oggi, persino ad un abitante della sua regione; d'altra parte, è in gran parte oscuro per un italiano «normale» (che non conosca i dialetti del Vicentino); infine, all'epoca in cui si svolge il racconto, in Francia, i patois avevano ancora, almeno in certe regioni, una certa vivacità e, ancor oggi, certe incrostazioni che persistono nelle parlate locali.
La mia scelta è caduta su un patois francese appartenente ad una zona geografica abbastanza precisamente circoscritta. Lascio al lettore, se lo desidera, il piacere di indovinare quale. In caso di necessità, quando un termine mancava nel mio patois d'elezione, ho "pescato" dai patois vicini, limitrofi geograficamente e/o linguisticamente. In qualche caso, ho dovuto optare per l'invenzione. L'ho fatto sforzandomi sempre di rispettare il "genio della lingua" di Meneghello, cercando al contempo di concepire delle invenzioni verosimili nell'ambito del "patois" di destinazione scelto.
Una volta adottato questo metodo di traduzione, le difficoltà si presentano sotto una nuova luce. Meneghello pone il lettore italiano "normale" davanti a quattro tipi di situazioni:
– un termine (parola, espressione, modo di dire) in dialetto perfettamente comprensibile in tutta Italia perché si è ampiamente diffuso in tutto il paese (esempio: «mona» per designare il sesso femminile), o attraverso le sue similitudini (a volte ancora accentuate nella trascrizione che ne dà Meneghello) con un termine italiano;
– un termine in dialetto non immediatamente comprensibile, ma molto facilmente deducibile (almeno approssimativamente) dal contesto o oggetto di una spiegazione nelle note con cui l'autore adorna il suo testo;
– un termine in dialetto non immediatamente comprensibile, oggetto di una spiegazione in una nota, ma attraverso una spiegazione a sua volta non immediatamente comprensibile (traduzione di un termine dialettale con ... un altro termine dialettale);
– un termine in dialetto non immediatamente comprensibile di cui non viene offerta alcuna spiegazione.
In tutti i casi, mi sono sforzato di modulare la traduzione in modo da porre il lettore francese in una situazione analoga a quella che crea il testo di Meneghello per un lettore italiano «normale».
La mia scelta è consistita insomma nel non sacrificare mai la carica di fastidio del testo originale, e nel non ripiegare l'insolito su un gergo più o meno mascherato. Si tratta, ogni volta, di misurare il "grado" di estraneità di tale o tale termine o modo di dire, e di tentare di trasporre questo fastidio in modo altrettanto fedele nella traduzione francese.
Ringrazio tutte coloro e tutti coloro che mi hanno aiutato in questo compito tanto arduo quanto appassionante: Giovanna Massignan, per le sue insostituibili spiegazioni sul dialetto; Michel Valensi, che è all'origine di questa traduzione, per le sue riletture minuziose e i suoi fini suggerimenti; gli allievi del Centre Européen de Traduction Littéraire di Bruxelles, per i loro incoraggiamenti; Dominique Vittoz, che ha aperto la via; Claudia Zudini per il suo ascolto competente e i suoi incoraggiamenti; Julien, Joachim e Marcélio, per l'entusiasmo per la vita che devo loro.
Senza il loro aiuto e la loro presenza, questa traduzione non avrebbe visto la luce.