Bene, basta tergiversare: è arrivato il momento di affrontare Evgenij Onegin, il mantra della cultura russa.
Dopo averne cercate diverse interpretazioni, ne propongo la più sensata di tutte, quella del poeta Dimitrij Aleksandrovič Prigov, che ne ha declamato i primi versi alla maniera buddista, musulmana e, naturalmente, ortodossa.
"Мой дядя самых честных правил,
Когда не в шутку занемог,
Он уважать себя заставил
И лучше выдумать не мог.
Его пример другим наука;
Но, боже мой, какая скука
С больным сидеть и день и ночь,
Не отходя ни шагу прочь!
Какое низкое коварство
Полуживого забавлять,
Ему подушки поправлять,
Печально подносить лекарство,
Вздыхать и думать про себя:
Когда же черт возьмет тебя!"
Di principi onestissimi, mio zio,
or che giace ammalato per davvero,
fa sì che lo rispetti infine anch’io;
e non poteva aver miglior pensiero;
esempio agli altri ed ammaestramento;
ma quale noia, o Dio, quale tormento
ad un infermo muoversi d’intorno,
senza mai allontanarsi, e notte e giorno!
Oh, quale ipocrisia, quale meschina
perfidia divertire un moribondo,
aggiustare i guanciali a un gemebondo,
con faccia triste dar la medicina,
sospirare e pensar fra sé: che guai!
quando all’inferno dunque te n’andrai?
Traduzione di Ettore Lo Gatto
Un accenno ad una versione indù e un'ulteriore versione buddista si possono trovare in questo video, a beneficio dei cultori di Prigov.
sabato 12 giugno 2010
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