Corrado d'Elia ha deciso di andare avanti e io ho deciso, nel mio piccolo, da lontano, di continuare a seguire a distanza le vicende del suo teatro con l'affetto che gli devo per quello che mi ha regalato quando vivevo a Milano.
Prima di tutto, gli appelli di chi conta.
E ora quel che posso dire io. Da quello che sono riuscita a capire, le produzioni del Teatro Libero di via Savona sono ancora ospitate da altri teatri milanesi, tra i quali si è reso disponibile il Teatro Franco Parenti di Andrée Ruth Shammah, altro piccolo grande teatro milanese. Nel frattempo, per tentare di riaprire la sua storica sede, il Teatro Libero di via Savona sta cercando soldi, quelli che il Comune di Milano si sarebbe offerto di dare, ma che non ha o che forse aveva ma ha preferito destinare ad altro. Non c'è da stupirsene. Per fare un unico esempio concreto senza annoiare con cifre o bilanci, ho letto recentemente, credo sul quotidiano La Stampa, che l'Italia, con l'ultima legge passata in Parlamento, destinerebbe a tutta l'opera lirica rappresentata dai teatri lirici dell'intero territorio nazionale l'equivalente di quello che la Francia destina al solo teatro dell'Opéra. E se a tutta la lirica italiana va così, figuriamoci cosa resta ad un piccolo teatro di prosa come il Teatro Libero.
Non c'è da stupirsene, ma non è un buon motivo per desistere.
Qualcuno penserà alle priorità del Paese, alla criminalità organizzata e alla corruzione, agli operai della Fiat cui è stata data una gran bella libertà di scelta, alle aziende che chiudono senza che se ne spenda una parola, alla disoccupazione giovanile, al trattamento che viene offerto agli immigrati, ai dimenticati delle alluvioni e dei terremoti, a chi vive in mezzo alla monnezza o in periferie degradate, alla ricerca che si continua a non voler fare, o anche solo al piccolo particolare che Milano, nell'ultimo decennio, è la città che è riuscita a fare eleggere in uno dei suoi Collegi del Senato un candidato che risponde al nome di Marcello Dell'Utri, ecc. ecc.
Tutto vero.
Eppure, tra le priorità di Milano, e quindi del Paese, c'è anche il Teatro Libero di via Savona. Perché se riapre il Teatro Libero di via Savona, vuol dire che ci può andare della gente. E se ci può andare della gente, quella gente torna a casa la sera un po' più ricca di idee e di pensieri. E magari la mattina dopo parla con dell'altra gente, che a sua volta comincia ad andare al Teatro Libero di via Savona o, trovandolo esaurito, decide di andare - per esempio - al Teatro Franco Parenti. E magari poi alcuni di quelli che hanno passato la serata al Teatro Libero di via Savona o - per esempio - al Teatro Franco Parenti l'indomani passano in libreria o in biblioteca a cercare il testo dell'opera teatrale vista al Teatro Libero di via Savona o - per esempio - al Teatro Franco Parenti. E magari qualcuno di questi si mette a parlare in giro del testo teatrale, che - non dimentichiamocelo - parla di libertà o di giustizia o di verità o di cose così, o del suo autore (a questo punto il testo e l'autore andrebbero già declinati al plurale, essendo almeno due i teatri già coinvolti). E magari a qualcuno delle persone che ne hanno sentito parlare viene voglia di leggere il testo originale, perché non è da escludere che almeno uno dei testi sia una traduzione da un'altra lingua. E magari a qualcuno di quelli cui è venuta voglia di leggere il testo in originale si iscrive ad un corso di lingue. O magari un giorno al cinema arriva la trasposizione cinematografica dell'opera teatrale. E magari in quel cinema danno anche una rassegna di un regista di cui da tempo non si vedono più i film, o di un giovane regista emergente, così magari qualcuno inizia a frequentare quel cinema. E magari in una scena di un film che danno in quel cinema ci sono due che parlano della bellezza della matematica, o che guardano le stelle di una costellazione che si vede solo nell'emisfero australe o che riescono a comunicare tra loro solo con la forza del pensiero o che, viaggiando nel tempo, piombano nell'Atene di Pericle, in mezzo all'agorà, nell'ora di punta. E magari, solo perché qualcuno è andato al Teatro Libero di via Savona, si comincia a studiare seriamente la matematica, l'astronomia, la psicologia o la storia o la filosofia e così via e magari si cerca di praticare, ognuno nel proprio ambito e nonostante la desolazione del quadro generale, la libertà e la giustizia e la verità e cose così.
Magari.
O magari, per non cadere troppo nella tentazione delle grandi utopie e restare piuttosto ai piccoli fatti quotidiani, lungo il percorso che conduce tutte queste persone a teatro o in libreria o in biblioteca o alla scuola di lingue o al cinema, o magari in ognuno di questi posti, c'è un barista, una cassiera o un altro frequentatore del posto o solo un passante che passa di lì per caso con cui ci si trova a scambiare qualche chiacchiera nell'attesa di entrare. E magari ci si dimentica improvvisamente dello spettacolo teatrale, del suo testo, della lingua o del film e ci si innamora del barista, della cassiera o del frequentatore o del passante.
O magari chissà che altro può capitare, solo perché alcuni possono andare al Teatro Libero di via Savona.
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