Voi ricordate, naturalmente, che il 21 gennaio del 1921, a Livorno, nacque il PCd'I.
Quando è stata scattata questa foto avevo due mesi e due giorni. Da adolescente, avrei saputo seguire un'analisi storica delle posizioni di Tasca e Terracini e forse anche scrivere almeno una pagina, con parole semplici, ma abbastanza precise, sulle principali differenze tra Bordiga e Gramsci. Ora non più. Stasera, risfogliando per l'occasione vecchi libri, ho trovato conferma che, come nell'adolescenza, Raskol'nikov non mi fa pensare ad un politico e diplomatico sovietico e mi sono soffermata su parole come: И если мы, относясь ныне к другим средневековым художественным произведениям только как к объекту изучения, к «Божественной комедии» подходим, как к источнику художественного восприятия, то происходит это не потому, что Данте был флорентийским мелким буржуа XIII столетия, а в значительной мере, несмотря на это обстоятельство (*). E come queste: Вы помните, конечно, «Новое Слово» — лучший из старых легальных марксистских журналов, в котором сотрудничали многие из марксистов старшего поколения, в том числе и Владимир Ильич. Журнал этот, как известно, вел дружбу с декадентами...
Quando è stata scattata questa foto avevo due mesi e due giorni. Da adolescente, avrei saputo seguire un'analisi storica delle posizioni di Tasca e Terracini e forse anche scrivere almeno una pagina, con parole semplici, ma abbastanza precise, sulle principali differenze tra Bordiga e Gramsci. Ora non più. Stasera, risfogliando per l'occasione vecchi libri, ho trovato conferma che, come nell'adolescenza, Raskol'nikov non mi fa pensare ad un politico e diplomatico sovietico e mi sono soffermata su parole come: И если мы, относясь ныне к другим средневековым художественным произведениям только как к объекту изучения, к «Божественной комедии» подходим, как к источнику художественного восприятия, то происходит это не потому, что Данте был флорентийским мелким буржуа XIII столетия, а в значительной мере, несмотря на это обстоятельство (*). E come queste: Вы помните, конечно, «Новое Слово» — лучший из старых легальных марксистских журналов, в котором сотрудничали многие из марксистов старшего поколения, в том числе и Владимир Ильич. Журнал этот, как известно, вел дружбу с декадентами...
- [...] Voi ricordate, naturalmente, il Novoe Slovo, la migliore delle vecchie riviste marxiste legali, al quale collaboravano molti marxisti della vecchia generazione, tra cui anche Vladimir Il'ič. Questa rivista, come noto, aveva fatto amicizia coi decadenti. Come si spiegava la cosa? Col fatto che a quel tempo i decadenti costituivano una corrente giovane e perseguitata della letteratura borghese. Il fatto d'essere perseguitati li spingeva verso il nostro spirito d'opposizione, il quale, naturalmente, aveva tutt'altro carattere. Eppure i decadenti furono nostri contemporanei "compagni di strada". Anche in seguito le riviste marxiste (di quelle semimarxiste non è neppure il caso di parlare), il Prosveščenie compreso, non avevano alcuna rubrica letteraria "monolitica" e riservavano largo spazio ai "compagni di strada". Si poteva essere in questo senso più severi o più condiscendenti, ma una politica monolitica nel campo dell'arte era impossibile per l'assenza degli elementi artistici necessari.
Ma non è questo che Raskol'nikov vuole. Nelle opere d'arte egli ignora proprio ciò che le rende tali. La cosa si è espressa nel modo più chiaro nel suo straordinario giudizio su Dante. La Divina commedia, a suo dire, è preziosa per noi proprio perché permette di capire la psicologia di una classe determinata di un'epoca determinata. Porre così il problema significa cancellare semplicemente la Divina commedia dalla sfera dell'arte. Forse è tempo di farlo, ma allora bisogna capire con chiarezza la sostanza della questione e non avere paura delle conseguenze. Se dico che il significato della Divina commedia è quello di permettermi di capire lo stato d'animo di determinate classi in un'epoca determinata, io la trasformo in un documento storico soltanto, poiché come opera d'arte la Divina commedia deve dire qualcosa ai miei propri sentimenti e stati d'animo.
La Divina commedia può agire su me in modo opprimente, nutrire in me il pessimismo, lo sconforto, o, al contrario, esaltarmi, entusiasmarmi, animarmi... Questo è appunto il rapporto fondamentale tra il lettore e l'opera d'arte. Naturalmente, nulla proibisce al lettore di presentarsi in veste di ricercatore e di trattare la Divina commedia soltanto come un documento storico. È chiaro, tuttavia, che questi due punti di vista si trovano su due piani diversi, che sono sì legati tra loro, ma che non si coprono reciprocamente. In che modo è pensabile un rapporto non storico, ma immediatamente estetico tra noi e quest'opera medievale italiana? La cosa si spiega col fatto che la società di classe, nonostante tutta la sua mutevolezza, ha alcune caratteristiche generali. Le opere d'arte che si sono formate nella città medievale italiana possono quindi comunicare sentimenti anche a noi. Che cosa si richiede perché questo avvenga? Non molto: che questi sentimenti e stati d'animo raggiungano un'espressione così vasta, intensa e possente che li sollevi sopra la limitatezza della vita del tempo. Naturalmente, anche Dante è il prodotto di un determinato ambiente sociale. Ma Dante è un genio. Egli solleva le esperienze interiori della sua epoca ad un'altezza poetica enorme. E se noi, mentre oggi trattiamo le altre opere d'arte medievali soltanto come oggetto di studio, consideriamo invece la Divina commedia come una fonte di percezione poetica, ciò avviene non perché Dante fu un piccolo-borghese fiorentino del XIII secolo, ma in notevole misura nonostante questa circostanza (*). Prendiamo, ad esempio, un sentimento fisiologico elementare come la paura della morte. Questo sentimento è proprio non solo agli uomini, ma anche agli animali. Negli uomini esso ha trovato un'espressione dapprima semplicemente articolata, e poi anche poetica. Nelle varie epoche, nei vari ambienti sociali questa espressione è mutata, cioè gli uomini hanno temuto la morte in vario modo. Eppure, ciò che a questo proposito è scritto non soltanto in Shakespeare, in Byron, in Goethe, ma anche nel salmista è capace di comunicarci sentimenti.
- (Esclamazione del compagno Libedinskij).
- Sì, sì, sono entrato proprio nel momento in cui lei, compagno Libedinskij, stava spiegando al compagno Voronskij nei termini dell'abbicì politico (è lei che si è espresso così) che i sentimenti e gli stati d'animo delle varie classi sono mutevoli. In questa forma generale la cosa è indubbia. Non vorrà negare, però, che Shakespeare e Byron dicono qualcosa alla nostra anima.
Libedinskij - Ancora per poco.
- Se per poco non so, ma è indubbio che verrà un'epoca in cui gli uomini considereranno le opere di Shakespeare e di Byron come noi consideriamo i poeti medievali, cioè esclusivamente dal punto di vista dell'analisi storico-scientifica. Ancora prima, però, verrà il tempo in cui gli uomini cesseranno di cercare nel Capitale di Marx ammaestramenti per la loro attività pratica e il Capitale non sarà che un documento storico, come il programma del nostro partito. Ma adesso noi non ci proponiamo di mettere in archivio Shakespeare, Byron e Puškin, e continueremo a raccomandarne la lettura agli operai. Il compagno Sosnovskij, ad esempio, raccomanda intensamente Puškin, dichiarando che una cinquantina d'anni può senz'altro durare. Non parliamo delle scadenze. Vediamo, invece, in che senso possiamo raccomandare Puškin a un operaio. In Puškin non c'è un punto di vista proletario di classe, e tanto meno c'è un'espressione monolitica di stati d'animo comunisti. Naturalmente, la lingua di Puškin è magnifica, ma questa lingua gli serve per esprimere una visione aristocratica del mondo. Andremo a dire all'operaio: leggi Puškin per capire come un nobile proprietario di servi della gleba e gentiluomo di camera accoglieva la primavera e si accomiatava dall'autunno? Naturalmente, in Puškin c'è anche questo elemento, poiché Puškin è cresciuto su una radice sociale determinata. Ma l'espressione, che Puškin dava ai suoi stati d'animo, è così satura di un'esperienza poetica o, in generale, psicologica di secoli, è così universalizzata che è durata fino ai nostri tempi e, secondo le parole del compagno Sosnovskij, durerà ancora una cinquantina d'anni. E quando mi dicono che il significato poetico di Dante per noi è determinato dal fatto che egli esprime il modo di vita di una determinata epoca, non si può che restare perplessi. Sono convinto che molti come me, leggendo Dante, dovrebbero sforzare assai la memoria per ricordare il tempo e il luogo della sua nascita, eppure questo non impedirebbe di ricevere un piacere estetico, se non da tutta la Commedia, almeno da alcune sue parti. Poiché non sono uno storico della cultura medievale, il mio rapporto con Dante è principalmente poetico.
Rjazanov - È un'esagerazione. "Leggere Dante è come bagnarsi in un mare", disse contro Belinskij Ševyrëv, il quale pure era contro la storia.
- Non dubito che Ševyrëv abbia detto veramente così, come afferma il compagno Rjazanov, ma io non sono contro la storia: questo è ingiusto. Naturalmente, il punto di vista storico su Dante è legittimo e necessario e influisce sul nostro rapporto estetico con lui, ma non si può sostituire l'uno con l'altro. Ricordo quello che a questo proposito Kareev scrisse in polemica coi marxisti: che i marxidi (così egli allora appellava ironicamente i marxisti) ci mostrino in che modo gli interessi di classe hanno dettato la Divina commedia. E, d'altro lato, un marxista italiano, il vecchio Antonio Labriola, scrisse all'incirca così: "Cercare di interpretare il testo della Divina commedia coi conti delle pezze di panno, che gli astuti mercanti fiorentini spedivano ai loro committenti, è cosa che possono fare dei semplicioni soltanto". Ricordo questa frase quasi letteralmente perché in polemica coi soggettivisti m'è toccato citare più volte queste righe negli anni andati. Credo che il compagno Raskol'nikov consideri non con un criterio marxista, ma col criterio del defunto Šuljatikov, che in questo campo era la caricatura del marxismo. Contro questa caricatura ha detto la sua parola forte Antonio Labriola. [...]
Intervento pronunciato da Lev Trotsky nella riunione sulla letteratura indetta nel maggio del 1924 dalla Sezione Stampa del CC del PCR, tratto da Letteratura e rivoluzione, a cura di Vittorio Strada, Einaudi, 1973 e ripubblicato in Lev Trotsky, Scritti sull'Italia, Erre emme, 1990
Ma non è questo che Raskol'nikov vuole. Nelle opere d'arte egli ignora proprio ciò che le rende tali. La cosa si è espressa nel modo più chiaro nel suo straordinario giudizio su Dante. La Divina commedia, a suo dire, è preziosa per noi proprio perché permette di capire la psicologia di una classe determinata di un'epoca determinata. Porre così il problema significa cancellare semplicemente la Divina commedia dalla sfera dell'arte. Forse è tempo di farlo, ma allora bisogna capire con chiarezza la sostanza della questione e non avere paura delle conseguenze. Se dico che il significato della Divina commedia è quello di permettermi di capire lo stato d'animo di determinate classi in un'epoca determinata, io la trasformo in un documento storico soltanto, poiché come opera d'arte la Divina commedia deve dire qualcosa ai miei propri sentimenti e stati d'animo.
La Divina commedia può agire su me in modo opprimente, nutrire in me il pessimismo, lo sconforto, o, al contrario, esaltarmi, entusiasmarmi, animarmi... Questo è appunto il rapporto fondamentale tra il lettore e l'opera d'arte. Naturalmente, nulla proibisce al lettore di presentarsi in veste di ricercatore e di trattare la Divina commedia soltanto come un documento storico. È chiaro, tuttavia, che questi due punti di vista si trovano su due piani diversi, che sono sì legati tra loro, ma che non si coprono reciprocamente. In che modo è pensabile un rapporto non storico, ma immediatamente estetico tra noi e quest'opera medievale italiana? La cosa si spiega col fatto che la società di classe, nonostante tutta la sua mutevolezza, ha alcune caratteristiche generali. Le opere d'arte che si sono formate nella città medievale italiana possono quindi comunicare sentimenti anche a noi. Che cosa si richiede perché questo avvenga? Non molto: che questi sentimenti e stati d'animo raggiungano un'espressione così vasta, intensa e possente che li sollevi sopra la limitatezza della vita del tempo. Naturalmente, anche Dante è il prodotto di un determinato ambiente sociale. Ma Dante è un genio. Egli solleva le esperienze interiori della sua epoca ad un'altezza poetica enorme. E se noi, mentre oggi trattiamo le altre opere d'arte medievali soltanto come oggetto di studio, consideriamo invece la Divina commedia come una fonte di percezione poetica, ciò avviene non perché Dante fu un piccolo-borghese fiorentino del XIII secolo, ma in notevole misura nonostante questa circostanza (*). Prendiamo, ad esempio, un sentimento fisiologico elementare come la paura della morte. Questo sentimento è proprio non solo agli uomini, ma anche agli animali. Negli uomini esso ha trovato un'espressione dapprima semplicemente articolata, e poi anche poetica. Nelle varie epoche, nei vari ambienti sociali questa espressione è mutata, cioè gli uomini hanno temuto la morte in vario modo. Eppure, ciò che a questo proposito è scritto non soltanto in Shakespeare, in Byron, in Goethe, ma anche nel salmista è capace di comunicarci sentimenti.
- (Esclamazione del compagno Libedinskij).
- Sì, sì, sono entrato proprio nel momento in cui lei, compagno Libedinskij, stava spiegando al compagno Voronskij nei termini dell'abbicì politico (è lei che si è espresso così) che i sentimenti e gli stati d'animo delle varie classi sono mutevoli. In questa forma generale la cosa è indubbia. Non vorrà negare, però, che Shakespeare e Byron dicono qualcosa alla nostra anima.
Libedinskij - Ancora per poco.
- Se per poco non so, ma è indubbio che verrà un'epoca in cui gli uomini considereranno le opere di Shakespeare e di Byron come noi consideriamo i poeti medievali, cioè esclusivamente dal punto di vista dell'analisi storico-scientifica. Ancora prima, però, verrà il tempo in cui gli uomini cesseranno di cercare nel Capitale di Marx ammaestramenti per la loro attività pratica e il Capitale non sarà che un documento storico, come il programma del nostro partito. Ma adesso noi non ci proponiamo di mettere in archivio Shakespeare, Byron e Puškin, e continueremo a raccomandarne la lettura agli operai. Il compagno Sosnovskij, ad esempio, raccomanda intensamente Puškin, dichiarando che una cinquantina d'anni può senz'altro durare. Non parliamo delle scadenze. Vediamo, invece, in che senso possiamo raccomandare Puškin a un operaio. In Puškin non c'è un punto di vista proletario di classe, e tanto meno c'è un'espressione monolitica di stati d'animo comunisti. Naturalmente, la lingua di Puškin è magnifica, ma questa lingua gli serve per esprimere una visione aristocratica del mondo. Andremo a dire all'operaio: leggi Puškin per capire come un nobile proprietario di servi della gleba e gentiluomo di camera accoglieva la primavera e si accomiatava dall'autunno? Naturalmente, in Puškin c'è anche questo elemento, poiché Puškin è cresciuto su una radice sociale determinata. Ma l'espressione, che Puškin dava ai suoi stati d'animo, è così satura di un'esperienza poetica o, in generale, psicologica di secoli, è così universalizzata che è durata fino ai nostri tempi e, secondo le parole del compagno Sosnovskij, durerà ancora una cinquantina d'anni. E quando mi dicono che il significato poetico di Dante per noi è determinato dal fatto che egli esprime il modo di vita di una determinata epoca, non si può che restare perplessi. Sono convinto che molti come me, leggendo Dante, dovrebbero sforzare assai la memoria per ricordare il tempo e il luogo della sua nascita, eppure questo non impedirebbe di ricevere un piacere estetico, se non da tutta la Commedia, almeno da alcune sue parti. Poiché non sono uno storico della cultura medievale, il mio rapporto con Dante è principalmente poetico.
Rjazanov - È un'esagerazione. "Leggere Dante è come bagnarsi in un mare", disse contro Belinskij Ševyrëv, il quale pure era contro la storia.
- Non dubito che Ševyrëv abbia detto veramente così, come afferma il compagno Rjazanov, ma io non sono contro la storia: questo è ingiusto. Naturalmente, il punto di vista storico su Dante è legittimo e necessario e influisce sul nostro rapporto estetico con lui, ma non si può sostituire l'uno con l'altro. Ricordo quello che a questo proposito Kareev scrisse in polemica coi marxisti: che i marxidi (così egli allora appellava ironicamente i marxisti) ci mostrino in che modo gli interessi di classe hanno dettato la Divina commedia. E, d'altro lato, un marxista italiano, il vecchio Antonio Labriola, scrisse all'incirca così: "Cercare di interpretare il testo della Divina commedia coi conti delle pezze di panno, che gli astuti mercanti fiorentini spedivano ai loro committenti, è cosa che possono fare dei semplicioni soltanto". Ricordo questa frase quasi letteralmente perché in polemica coi soggettivisti m'è toccato citare più volte queste righe negli anni andati. Credo che il compagno Raskol'nikov consideri non con un criterio marxista, ma col criterio del defunto Šuljatikov, che in questo campo era la caricatura del marxismo. Contro questa caricatura ha detto la sua parola forte Antonio Labriola. [...]
Intervento pronunciato da Lev Trotsky nella riunione sulla letteratura indetta nel maggio del 1924 dalla Sezione Stampa del CC del PCR, tratto da Letteratura e rivoluzione, a cura di Vittorio Strada, Einaudi, 1973 e ripubblicato in Lev Trotsky, Scritti sull'Italia, Erre emme, 1990
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