sabato 15 gennaio 2011

I bevitori di stelle

Le mie poesie sono fatte per me e per voi, gli amici. Che bisogno c'è del pubblico? Il gran pubblico se n'è sempre strainfischiato della poesia. Il pubblico a cui tengo siete voi... Gli «altri»? Ma esistono degli «altri» interessanti più degli amici?

Ernesto Ragazzoni


I bevitori di stelle
a Leonardo Bistolfi

Le notti che non c’è la luna,
le lucide notti d’estate
che il cielo la terra importuna
col lampo d’innumeri occhiate,

— occhiate di stelle! — e le cose
(che troppo si sentono addosso
le tante pupille curiose)
mal dormono un sonno commosso,

è allora che vengono fuori,
e, a un fiume che sanno, in pianelle,
s’avviano giù i bevitori
di stelle per bere le stelle,

le stelle piovute in riflessi
nell’acqua. Bocconi, alla scabra
si gittano, sponda, e sott’essi
han liquido un cielo alle labbra.

E bevono, bevono e dalla
profonda quïete del fiume
si vedon fiorire essi a galla
— offerto al lor giubilo — il lume

dei mondi lontani, e le ghiotte
sorsate s’affannano a bere,
nell’acqua ove nuota, la notte,
il fosforo e l’or delle sfere.

Le turbe beate son esse
di quelli che vivon di sogni,
d’azzurro, di terre promesse,
di limbi siderei, d’ogni

castel che si dondola in aria,
di quei che le fate morgane
richiaman con nuvola varia,
e le principesse lontane.

Ma non — a purpuree treccie
d’audaci comete afferrati —
si lanciano a schiudere breccie
nel ciel, verso cieli ignorati,

non essi, con tese le scotte,
frugando lontano per l’onde
vedranno balzar dalla notte,
nell’alba le nuove Golconde;

non mai, con lo scettro nel pugno,
(re magi orditori d’incanti),
trarranno le rose di giugno
dal grembo dei verni tremanti.

Se cercan di là dalla vita,
di là dalla meta altre mète,
se l’anima dolce han smarrita
a caccia di nubi, ed han sete

d’azzurro, di terre promesse:
di limbi siderei, d’ogni
miraggio che in aria si tesse;
è sol per gonfiarsene i sogni.

Flemmatici Ulissi, argonauti
che insegne d’ostiere han per bussola,
e donchisciottini ben cauti
impantofolati di mùssola,

così piano piano, uno ad uno,
levatisi tardi da pranzo,
sen vanno — nel grado opportuno —
a beversi un po’ di romanzo.

Tra i nembi a ghermirsi il suo mondo,
per gioghi intentati altri salga;
più giova cercarselo al fondo
d’un flutto, tra qualche fil d’alga;

e quelli — a portata d’un sorso —
d’ebbrezze ne han mille milioni,
(quanti Aldebarani in lor corso
mulinano i cieli, ed Orioni!)

E bevono, bevono, e i diacci
sommersi fantasmi degli astri,
per loro han più fascini e lacci
degli astri viventi, i grand’astri.

Borbottano l’acque. Dai margini
s’allungan le lingue volubili,
e l’ugole, libere d’argini,
esultan di liquidi giubili.

Gorgogli, glu-glu (giù pei vicoli
dell’epa) di gocciole garrule,
arpeggi qua e là — dai ventricoli —
di blandule bolle bizzarrule.

Aneliti come d’armenti
raccolti ad abbeveratoi,
sospiri, sussulti repenti,
d’alcun che tropp’avido ingoi.

Null’altro nell’ombra s’intende;
null’altro, se non questa sola
orchestra di fauci in faccende,
stromenti ineffabili a gola.

E quelli tracannano, e dalla
profonda quïete del fiume,
fiorisce lor tremulo a galla
il ciel col suo fervido lume.

Ma vedi, miseria! La stella
che in gocciola al labbro s’approccia,
al labbro si nega e ribella,
tal bacio che s’offre, e non sboccia.

Eppure — mirabile caso! —
allora che levano in suso
il mento i beventi, ed il naso,
un cielo in lor credono chiuso,

e (quasi s’avessero i mondi
davvero vibranti e commossi
nell’acqua de’ lor ventri tondi,
com’entro un boccal, pesci rossi),

si rizzano in piè, trïonfali,
ed empiono l’ombra di ciancia,
strillando i sublimi ideali,
di cui hanno gonfia la pancia.

Ognun sembra in estasi, ognuno
par preso da dolce delirio:
— Mi sono bevuto Nettuno!
— Mi scende nell’ugola Sirio!

— Me Venere inzuppa! — Portento,
traspiro Mercurio! — Ed io Marte!
— Io l’Algol del Pérseo sento
filtrarmi nel cor da ogni parte!

Io Giove! — Altair! — Vega! — Arturo!
È quasi una gara. Un signore
strillando proclama: — Vi giuro,
che in corpo ci ho l’Orsa Maggiore!

— Che buona, Alcïone! — che aroma
fermenta la Vendemmiatrice! —
— È come un sciroppo, la chioma
siderea di Berenice!

— Per me, questo infuso di sfere
virtù diuretiche ha rare...
— Sui piedi — volete vedere? —
vi sprizzo la Stella Polare... —

Le voci s’incalzano, e un dotto,
il labbro leccandosi tumido,
proclama che non c’è decotto
che valga un Empireo in umido...

Le Jadi, le Pleiadi, l’Orse
e le nebulose; i zodiaci,
là in alto non tremano forse
quant’ora, in quest’otri elegiaci?

Così, cotti a punto, i compari,
(fradici di poesia)
esaltano in lieti parlari
il ciel divenuto osteria...

Poi tutti (li vidi una volta)
si danno a una danza simbolica,
coll’arte e la grazia raccolta
d’idropici ch’abbian la colica;

idillici grilli un po’ brilli
fra i timi squillando — per loro! —
un trito concerto di trilli,
sottile zampillo canoro.

Li vidi una volta... E — Ben giunto
— l’un d’essi mi disse — fra noi...
L’inter firmamento abbiam munto...
Ma ancor stelle restano. — Vuoi?

—Vuoi tu con noi scendere? Mentre
sei qui, puoi levartene l’uzzolo.
Mi senti un tintinno nel ventre?
Son stelle sonanti. Ne ho un gruzzolo.

—Ve n’hanno di bianche, di gialle,
di rosse; infinite ne sgorgan,
assai più che dòllari dalle
scarselle di Carnegie e di Morgan.

—Ti basta piegare la schiena
e mettere fuori la lingua;
così vai agli astri, e d’avena
celeste così ci s’impingua....

Parlava, ed or quella ed or questa
di stelle m’offerse: una ad una...
Ma dissi di no. — Nella testa,
ci ho già, che mi gira, la luna...

Ernesto Ragazzoni


My poems are made for me and for you, my friends. What do you need the public for? The big public never gave a damn about poetry. The public I care about is you... The «others»? Is there any «others» more interesting than friends?


The star drinkers

To Leonardo Bistolfi


In the moonless nights, the shining summer nights, when the sky bothers the earth with a flash of countless looks, — looks of stars! — and things (feeling upon themselves too much the many curious pupils) badly sleep a moved sleep, it's then that they come out, and, in slippers, the star drinkers set off down, to a known river, to drink the stars, the stars rained in reflections into water. Face downwards, they throw themselves down to the rough bank and have a liquid sky on their lips. And they drink and drink and, from the deep calm of the river, they see floating — offered to their joy — a blossoming light of distant worlds, and they rush to drink delicious gulps, in the water, where, by night, the phosphorus and gold of the stars swim. Blessed is the multitude living of dreams, of blue, of promised lands, of sidereal limbos, of each castle swinging in the air, of those whom Morgan le Fay and distant princesses attract with changing clouds. But — glutched at purple plaits of brave comets — they don't hurl to open breaches in the sky, towards ignored skies, it's not them, with full sails, searching through distant waves, who will see emerge out of the night, at dawn, the new Golcondas; with the sceptre in their hands, they (the three wise men hatching enchantments) will never take the June roses out of the womb of shivering winters. If they search beyond life, other goals beyond the goal, if they have lost their sweet soul by chasing clouds, and they are thirsty for blue, for promised lands: for sidereal limbos, for each mirage weaving in the air; it's just to blow up their dreams. Phlegmatic Ulysses, Argonauts with pub signs as compasses, and little careful Donquixotes in muslin slippers, go this way slowly, one by one, after standing up late from the lunch table, — to the suitable extent — to drink a bit of literature. Let others take their own world between the clouds, let others climb through unattempted mountain passes; looking for it in the depth of a wave, through some seaweed threads, does more good; and those people — within gulp range — have a thousand million inebrations (how many Aldebarans whirl in the skies along their pathway, and how many Orions!) And they drink, drink and the cold submerged ghosts of the stars, to them, have more charm and ties than the living asters, the big asters. The waters mutter. From the edges, the changeable tongues stretch out and the throats, free from any banks, exult with liquid jubilations. Gurglings, glug glugs (down through the belly lanes) of loquacious drops, arpeggios here and there — from the ventricles — of fleeting bizarre bubbles. Pantings like those of herds gathered at drinking troughs, sudden sighs, heavings of somebody swallowing eagerly. Nothing more is to hear in the shadow; nothing more but this orchestra of busy fauces, unique throat instruments. And those gulp down, and from the deep calm of the river, the sky with its lively light blossoms, trembling afloat. But you see, damn! The star approaching to the lips as a drop, from the lips escapes and revolts, like an offering kiss that doesn't bloom. And yet — wonderful chance! — when the drinking people raise their chins and noses up and believe they have a sky closed in themselves, and (as if they had really vibrating and moved worlds in the water of their round bellies, like gold fishes in a bowl), they stand up triumphant, and fill up the shadow with chats, crying their sublime ideal their belly is filled up with. Everybody seems in ecstasy, everybody seems to be taken by a sweet excitement: — I drank Neptune! — Sirius is coming down into my throat! — Venus is soaking me! — What a wonder, I'm perspiring Mercury! — And I'm perspiring Mars! — I'm feeling Algol of Perseus filter through my heart all over! Me Jupiter! — Altair! — Vega! — Arcturus! It's almost a contest. A man shouting proclaims: — I swear, I have the Great Bear in my body! — How good Alcyone is! — what fragrance Vindemiatrix spreads! —— The sidereal Coma Berenices is like syrup! — To me, this infusion of spheres possesses rare diuretic virtues... — On your feet — do you want to see? — I spray the Pole star... — The voices are pressing, and a wise man, licking his swollen lips, proclaims that there's no tea worther than a damp paradise... The Hyades, the Pleiades, the Bears and the nebulae; the zodiacs up there, aren't they trembling as much as now, in these elegiac leather bags? So, well done, the friends (soaked with poetry) glorify with glad words the sky turned into a pub... Then everybody (I saw them once) turns to a symbolic dance, with the art and grace of hydropic people having a colic; idyllic crickets a little bit drunk ringing between thymes — for themselves! — a triet concert of trills, a thin jet of songs. I saw them once... And  — Welcome — one of them told me — to our group... We milked the whole firmament... But other stars are still left out. — Do you want some? — Do you want to go down with us? You can satisfy your wish while you're here. Are your hearing a tinkling in my belly? That's sounding stars. I have plenty of them. — There are white, yellow, red ones; they pour out in an infinite number, much more than dollars from the pockets of Carnegie and Morgan. —You just have to bend your back and to stick out your tongue; this way you go to the stars, and of celestial oat you get fat... He talked, and offered me this or that star: one by one... But I said no. — I have already the moon that spins in my head...

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