Nel titolo centrale della prima pagina de L'Humanité del 30 settembre 1911 la parola "casta" non c'è, però c'è un verbo coniugato al futuro che, sorretto dalla perentorietà dell'aggettivo ("porterà la vergogna incancellabile di questo atto di banditismo"), lascia intendere un'idea di irreversibilità, di persistenza e di lunga durata nel tempo della vergogna che si deve ad un atto di sopraffazione. Cent'anni dopo, tuttavia, non c'è traccia alcuna di vergogna, e dubito che ci sia mai stata: le ripetute richieste di riparazioni avanzate nel tempo da parte di Gheddafi sono sempre risuonate, nelle orecchie italiane, almeno negli anni in cui le ho intese io, una specie di ritornello vuoto, nella generale convinzione che in qualche momento del passato l'Italia avesse già pagato abbondantemente il suo debito con la Libia, e con l'aggravante poi di essere state pronunciate da una persona non credibile, se non per firmarci contratti per lo sfruttamento di risorse energetiche. Un momento passato impreciso e sfocato: quando, in effetti, è avvenuto? E, quando è avvenuto, in che misura si è pagato? Materialmente e moralmente al punto tale da non provocare alcuna remora nell'intraprendere ancora una volta un intervento armato?
Negli articoli dei giornali italiani del 2011, invece, assieme all'impressione e alla paura che la situazione attuale non debba cambiare mai, la parola "casta" c'è, e in abbondanza, talvolta accompagnata dal suo contrario di fresco conio: "anti-casta", attestato anche nella variante priva di trattino. L'idea, largamente condivisa, è semplice, e cioè che la classe politica del 2011 sia profondamente corrotta ed al contempo isolata e completamente estranea rispetto ad una popolazione che, al contrario di chi la rappresenta ai vertici dello Stato, con pochissime eccezioni, tra cui spicca al momento quella del Presidente della Repubblica*, sarebbe esente ed immune dalla corruzione, di più, non sarebbe neanche indirettamente responsabile della corruzione. L'anti-casta non si sente minimamente chiamata in causa nemmeno per non aver saputo impedire la scalata al potere della classe dirigente corrotta. È sempre colpa altrui: colpa della televisione e della stampa controllate dalla casta, colpa della legge elettorale, colpa dei poteri forti, colpa della Chiesa che non si esprime con parole esplicite di condanna o che lo fa tardi e male, colpa della debolezza della sinistra - casta anch'essa -, colpa dell'Unione Europea - altra casta -, ecc.
Trovarne uno, di italiano, che si assuma una responsabilità, o almeno una corresponsabilità, anche per omissione, anche minima, in dose omeopatica, di striscio, casuale, non voluta. Niente da fare. Allora ho pensato di fare la mia parte: confessare pubblicamente sia la mia responsabilità personale sia quella dei miei.
La mia è presto detta: ho lasciato l'Italia nel gennaio del 2005, dopo averne sfruttato tutto quello che poteva darmi, diverse persone care, lingua materna, istruzione gratuita, prime opportunità lavorative, odori, colori, suoni, memorie. Ho sperato a lungo che il buchetto che ho lasciato nel paesaggio si coprisse al più presto di muschi e di licheni, ma questa speranza, che mi appare sempre più vana, un'edulcorazione della realtà, si sta lasciando sopraffare dal timore che invece, al posto dei muschi e dei licheni, nel minuscolo spazio lasciato dietro di me si siano messe a crescere, rigogliose, le foglie di una mala pianta infestante.
Quanto ai miei, che in Italia vivono, per quanto ai suoi estremi confini nordorientali, sono in grado di produrre delle prove schiaccianti a dimostrazione che non sono affatto innocenti come lascerebbero credere ad un primo sguardo.
Il locus commissi delicti: Štanjel, Slovenia.
Il giro di ricognizione prima di consumare il reato.
Il reato: rubano l'uva.
L'occultamento del corpo del reato: la mangiano sul posto.
Il cosiddetto estero su estero, insomma.
* Personalmente, trovo un'omissione grave, da parte di Napolitano, l'aver sostenuto ad oltranza il principio di maggioranza, ad ogni costo, persino quando, nel dicembre del 2010, la maggioranza parlamentare è stata mantenuta a colpi di mazzette e il non aver invece ritenuto che la corruzione di parlamentari operata per compensare la perdita della maggioranza conseguente alla fuoriuscita dei finiani fosse un valido presupposto per lo scioglimento delle Camere.
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