martedì 25 ottobre 2011

Nell'attesa

Continuo a leggere robe vecchie ed inutili (parecchio Le Goff, che - scopro ora - è l'equivalente bretone di Lefèvre, Smith, Schmitt, Schmidt, Fabbri, ecc., qualche classico cinese, le impressioni di Petrarca sui suoi soggiorni a Parigi e il 17 ottobre 1961 di Jean-Luc Einaudi) e, con particolare attenzione, i quotidiani di questo mese di ottobre, ma del 1914, specialmente di Trieste, ma non solo. I bollettini di guerra, pur stiracchiati tra le azioni della censura e della propaganda, mi aggiornano, proprio giorno per giorno, sui movimenti del fronte, sulle morti di re e ministri, su affondamenti di navi, su conquiste di città, sulla caparbietà con cui gli stati neutrali vogliono mostrarsi ancora neutrali, salvo ripensamenti dell'ultima ora. Dopo Anversa e la Galizia, ora si combatte ad Ostenda. Mussolini, in questo mese, sta vigorosamente scalpitando all'interno del Partito Socialista Italiano: ne avversa ormai senza alcuna remora la posizione di neutralità nei confronti della guerra, avvia la sua lunga marcia, cerca sempre di più spazio e visibilità. Ne trova e, come sappiamo, ne troverà ancora, almeno per un po'.
La cronaca locale sembra nettamente più libera dalla censura e da certe malizie che, nel tempo, hanno sempre di più cercato di imbrigliare la realtà quotidiana tra le maglie del dicibile o di relegarla nella posizione più defilata possibile, in fondo in fondo al giornale: nel 1914 non si contano i suicidi, che si effettuano di preferenza con l'acido fenico. Se ne parla apertamente, non temendo affatto, almeno in apparenza, il rischio dell'effetto emulativo. Non si contano nemmeno gli incidenti domestici che occorrono ai bambini, probabilmente lasciati molto tempo da soli, abbandonati da padri mandati al fronte e da madri costantemente occupate a trovare il denaro necessario per comprare roba da mangiare, di qualità sempre più scadente, fin dal primo anno di guerra, e sempre più cara. Sono bambini che si fanno male ogni giorno fino a rischiare la vita, precipitando da finestre o ustionandosi con l'acqua delle pentole in cui bollono dei fagioli o delle patate, spesso lavorando in fabbrica prematuramente. Ci sono poi le tracce di innumerevoli piccoli furti, molti dei quali destinati a restare dei goffi colpi andati a vuoto per rimediare qualche soldo o, letteralmente, qualche gallina. Questo, per quel che riguarda il pane.
Per quel che riguarda le rose, queste sembrano trovarsi solo al cinema, dove si danno spettacoli di varietà, o di piccoli funamboli, maghi ed illusionisti, e si ascoltano arie d'opera o operetta.
Quello che manca, almeno a leggere i giornali, è il dissenso. Quanto meno, non sembra emergere nessuna notizia di vero dissenso, non troppo diversamente da oggi: sono anni che aspetto che si scenda in strada non per la propria pancia, ma per dimostrare, almeno per qualche ora, almeno un po' di solidarietà agli immigrati che cercano di approdare in Europa, alla gente del Sudan o della Somalia o del Kurdistan o dell'Afghanistan o dell'Iraq o della Siria o della Cecenia o della Grecia, tempo fa a quella d'Islanda ed ora anche a quella d'Italia o d'Ungheria. L'attesa continua.

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