Una volta mi hanno fatto notare che parlavo, ma non dicevo niente. Non mi sentivo e non mi sento di escludere che fosse vero, visto che me l'hanno detto. Per rendere più chiara l'idea, me l'avevano fatto notare con una poesia. La poesia stigmatizzava una voce che non diceva niente, quindi era una poesia potenzialmente appropriata per la circostanza. La voce era quella di un uomo che stava fuori dalla porta di casa del poeta. Non dicendo niente, la voce aveva in realtà perso la dignità di voce: era diventata un rantolo, anche se non credo che "rantolo" fosse la parola usata dal poeta, anzi direi con quasi assoluta certezza che non si trattava di un "rantolo", erano piuttosto delle parole vuote che si avvolgevano su se stesse. Tuttavia "rantolo" è la parola del mio ricordo, quindi, se non rispetta i versi del poeta, rispetta almeno il modo in cui avevo sentito la poesia. Quella poesia, nonostante il male che mi ha procurato, era bella.
Da quella volta, ogni volta che parlo o scrivo mi chiedo se dico qualcosa. Me lo chiedevo anche prima di quella volta, ma da quella volta lo faccio con maggiore regolarità, salvo momenti di distrazione. Parlare o scrivere senza dire niente è come guardare e non vedere, ma con la vista la verifica è molto più semplice, la si può fare da soli, non serve un interlocutore.
Da quella volta, ogni volta che parlo o scrivo mi chiedo se dico qualcosa. Me lo chiedevo anche prima di quella volta, ma da quella volta lo faccio con maggiore regolarità, salvo momenti di distrazione. Parlare o scrivere senza dire niente è come guardare e non vedere, ma con la vista la verifica è molto più semplice, la si può fare da soli, non serve un interlocutore.
Appena letta quella poesia, al fastidio del poeta avrei voluto rimediare - posso resistere a molte cose, ma non alle sofferenze e alle insofferenze dei poeti - permettendomi di suggerirgli di aprire la porta e di chiedere all'uomo rantolante - che a quel punto il poeta si sarebbe trovato di fronte senza più barriere fisiche - come stesse (e intendendo proprio saperlo, non così per dire). Al poeta avrei anche voluto chiedere, con l'occasione, perché si fosse sostituito al giudice e come facesse a stabilire quando un uomo ha una voce e quando non ce l'ha, sia negando la possibilità che la possa avere momentaneamente persa o che voglia non averla, non disporne, rinunciarvi, sia trascurando di considerare i possibili motivi della perdita della voce. Poi però non ne ho fatto nulla, non gli ho chiesto proprio niente, al poeta, e non perché fosse la cosa più facile o ragionevole da fare: è che la sua poesia, nonostante il male che mi ha fatto, non era poi così bella.
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