Nella seconda metà degli anni '80, in Kenia, la polizia ebbe un problema senza precedenti nella lotta contro un pericoloso, imprendibile giustiziere, un veterano della rivolta dei Mau Mau, di nome Matigari. Di fresco ritorno in patria a vent'anni dall'indipendenza del Kenia dalla Gran Bretagna, Matigari proseguiva la sua lotta contro le diseguaglianze e le ingiustizie sociali che continuavano ad affliggere il suo paese. A partire dal 1986, la sua fama tra la popolazione più povera era cresciuta a tal punto che la polizia, colta dal panico, si lanciò alla sua caccia in tutto il paese.
Dopo febbrili indagini ed ampio dispiegamento di forze, improvvisamente, la tanto attesa svolta. Qualcuno in polizia, possiamo facilmente immaginare tramite l'imbeccata di un informatore, venne finalmente a sapere dove si nascondeva Matigari: tra le pagine del secondo romanzo in lingua kikuyu di Ngugi wa Thiong'o, di cui era il protagonista e a cui aveva dato il titolo.
Dopo febbrili indagini ed ampio dispiegamento di forze, improvvisamente, la tanto attesa svolta. Qualcuno in polizia, possiamo facilmente immaginare tramite l'imbeccata di un informatore, venne finalmente a sapere dove si nascondeva Matigari: tra le pagine del secondo romanzo in lingua kikuyu di Ngugi wa Thiong'o, di cui era il protagonista e a cui aveva dato il titolo.
Che fece la polizia a quel punto? Si ritirò nelle caserme in buon ordine e con la coda tra le gambe? Naaaa. L'operazione doveva essere portata a compimento ad ogni costo: tutti gli esemplari del romanzo, che era stato tradotto nell'altra lingua nazionale, il kiswahili, il che aveva contribuito alla sua ampia diffusione, furono sequestrati dalle librerie e dai magazzini della casa editrice, così come dalle biblioteche scolastiche ed universitarie.
L'ho scoperto - nel contenuto essenziale, ché l'enfasi usata è mia - grazie a Sylvain Prudhomme, il traduttore che ha curato la traduzione in francese e ha scritto l'introduzione di Decolonising the mind: the politics of language in African literature (Décoloniser l'esprit, La Fabrique éditions, 2011), il libro con cui Ngugi wa Thiong'o nel 1986 si congedò per sempre dall'inglese per passare a scrivere solo nella sua lingua materna, il kikuyu.
Vi ho trovato mille altre cose che non conoscevo e un centinaio d'altre su cui non avevo mai riflettuto abbastanza, che insieme contribuiscono a ridimensionare sia il mio eurocentrismo culturale, su cui la mia buona volontà da sola non può fare molto, sia l'eco di diversi lai che dall'Europa si sono levati in passato e continuano a levarsi in queste ore. Ad esempio come Shakespeare, suo malgrado, fino alle sue più recondite virgole, sia stato usato come un'arma martellante nelle scuole e nelle università dei paesi africani colonizzati dagli inglesi. Ad esempio come fosse pericoloso fare teatro in lingua kikuyu negli anni '70, tanto pericoloso da farne finire in carcere i suoi autori, che non essendo personaggi di romanzi, ma uomini in carne ed ossa, in carcere ci finirono per davvero (così toccò a Ngugi wa Thiong'o). Ad esempio come non potrò fare a meno di leggere con occhi diversi, d'ora in poi, le poesie di Senghor, che scelse di esprimersi in francese in quanto - parole sue - langue à vocation universelle, langue des dieux... Chez nous, les mots sont naturellement nimbés d'un halo de sève et de sang; les mots du français rayonnent de mille feux, comme les diamants. Des fusées qui éclairent notre nuit. Ma per favore.
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