Aveva un'immaginazione fuori dal comune, che ha espresso in moltissime delle sue opere a teatro e al cinema, aveva ancora almeno altrettanti progetti da realizzare, prima di ogni altro quello di restare qui (*il più grande desiderio è restare sulla terra: così bello come qui, in cielo non può essere), amava la sua compagna e amava la musica.
Si è interrogato senza requie, come tutte le persone che si pongono delle domande e trovano nella ricerca e non necessariamente nella risposta alle domande la propria ragione di vita, sul tema della violenza.
Mi sembra avesse sorprendenti punti in comune, nonostante la differenza generazionale, con Heiner Müller, di cui in questo blog si può trovare qualche traccia. Era attivissimo, ma, nonostante il suo gran darsi da fare - raccontava sorridendo - sua madre pensava che in fin dei conti non avesse girato che dei documentari e - aggiungo io - le persone povere di immaginazione o di vocabolario lo hanno spesso definito e con tutta probabilità continueranno a definirlo un provocatore.
In realtà, credo fosse molto più conservatore di quanto si tenda generalmente a pensare e, sebbene abbia usato le modalità ed i mezzi di espressione i più diversi, credo fosse non tanto un artista totale in senso convenzionale (non ci credeva nemmeno lui, alla definizione di Gesamtkünstler), wagneriano (e della messa in scena di Wagner, non a caso, si è occupato), quanto piuttosto nel senso che, pur non avendo brillato in ogni sua singola opera, il suo splendore mi pare riesca a rilucere appieno nella visione d'insieme di tutto quello che, nel corso della sua ricerca (e dico tutto, errori compresi), ha realizzato o ha lasciato solo intravvedere.
Questo è un tentativo di dire idealmente grazie a Christoph Schlingensief.
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