domenica 1 agosto 2010

antwort/básníci básně neskládají/wie die dinge aus ton

antwort

Mein vater, sagt ihr,
mein vater im schacht
habe risse in rücken,
narben,
grindige spuren niedergegangenen gesteins,
ich aber, ich
sänge die liebe

Ich sage:
eben, deshalb

Reiner Kunze


risposta

Mio padre, dite,
mio padre in fondo alla miniera
ha tagli nella schiena,
cicatrici,
tracce tignose di rocce crollate,
io, però, io
canterei l'amore

Io dico:
appunto, proprio per questo


Kunze è nato nel 1933 nell'Erzgebirge. È figlio di un minatore e di un'operaia tessile. Se questa fosse una sua biografia completa, ora probabilmente dovrei spiegare come la vita di Kunze si sia intrecciata alla storia della Cecoslovacchia del secolo scorso e in questo punto dovrei forse usare la parola dissidente. Preferisco invece ripassargli subito la parola:
"Su una cartolina indirizzata a Radio Leipzig, una signora di Ústí nad Labem (Aussig an der Elbe) chiede un giorno una poesia di un certo "Kunz", sentita nel corso di una trasmissione. Pensavo che la signora potesse essere una tedesca di una certa età, oppure una germanista, perché la cartolina era scritta in un tedesco impeccabile. Inviai la poesia e ricevetti una lettera di quattro pagine. La signora aveva la mia età, era ceca e medico. Ne seguì una corrispondenza che avrebbe raggiunto la favolosa cifra di 400 lettere, di cui certe avevano fino a 25 pagine. Ci scambiammo anche le nostre foto e la mia corrispondente - tratto tipicamente umano - me ne inviò una in cui aveva diciassette anni (e questa foto è il ritratto più svantaggioso che si possa fare di lei). Ma non mi interessava sapere a chi assomigliasse questa donna. Senza averla mai vista, perché a quel tempo non era possibile viaggiare al di là del confine a titolo individuale, una notte le telefonai e le chiesi se voleva essere mia moglie. Mi rispose sì senza esitare. Quando in seguito riuscii ad andare a Praga per un viaggio di gruppo di tre giorni, mi trovai di fronte ad una donna indicibilmente bella ed affascinante, mentre lei mi confessò più tardi che da parte sua mi aveva riconosciuto per il lungo soprabito fuori moda che indossavo nella foto. Sono quindi entrato in Cecoslovacchia attraverso il matrimonio, a meno che non me la sia "annessa" per alleanza..."

Elisabeth e Reiner Kunze, foto di Susanne Schleyer


Kunze è molto legato a Elisabeth, ma anche al poeta Jan Skácel, di cui ha tradotto diverse poesie. 



básníci básně neskládají
báseň je bez nás někde za
a je tu dávno je tu od pradávna
a básník báseň nalézá

Jan Skácel


i poeti non inventano le poesie
la poesia è da qualche parte
è stata lì da lungo tempo
il poeta si limita a scoprirla.



A pensarci, funziona anche se si sostituisce la parola poesia con moltissime altre parole, tutte quelle che passano per un atto creativo, direi. Ad esempio con la parola "uomo". La prima volta che mi parve di visualizzare questo pensiero fu nel marmo dei Prigioni di Michelangelo:




Ma il marmo, chiaramente, non ci si addice.



wie die dinge aus ton

"aber ich klebe meine hälften zusammen
wie ein zerschlagener topf aus ton"
Jan Skácel, brief vom februar 1970

I

Wir wollten sein wie die dinge aus ton

Dasein für jene,
die morgens um fünf ihren kaffee trinken
in der küche

Zu den einfachen tischen gehören

Wir wollten sein wie die dinge aus ton, gemacht
aus erde vom acker

Auch, daß niemand mit uns töten kann

Wir wollten sein wie die dinge aus ton

Inmitten
            soviel
                     rollenden
                                   stahls

II

Wir werden sein wie die scherben
der dinge aus ton: nie mehr
ein ganzes, vielleicht
ein aufleuchten
im wind

Reiner Kunze, 1970



come gli oggetti di terracotta

"ma io incollo le mie metà
come un vaso di terracotta infranto"
Jan Skácel, lettera di febbraio del 1970

I

Volevamo essere come gli oggetti di terracotta

Esserci per quelli
che ogni mattina alle cinque bevono il loro caffè
in cucina

Appartenere ai tavoli semplici

Volevamo essere come gli oggetti di terracotta, fatti
di terra di campo

E anche che nessuno potesse uccidere con noi

Volevamo essere oggetti di terracotta

In mezzo
            a tanto
                     acciaio
                               che rotola

II

Saremo come i cocci
degli oggetti di terracotta: mai più
un tutto, forse
un balenio
nel vento

"Le poesie di Jan Skácel non hanno chiesto se volessi tradurle, ma le loro immagini e la loro ostinata umiltà, a forza del mio diffidare sul filo degli anni e dei decenni, hanno finito con l'ottenere la loro traduzione. Skácel ha creato una poesia di caratura mondiale di cui il mondo non sa nulla. Inoltre, Skácel è stato a lungo vietato in Cecoslovacchia - anche questo ci ha legati. Jan Skácel era spesso di un umore massacrante e diffidente, cosa che, come ha detto un giorno alla sua traduttrice italiana, deriva dal fatto "che i poeti danno nella poesia tutto quello che è buono in loro e di cui nell'anima non restano che le scorie". Queste risalgono allora "in superficie a spese degli amici". - Ho ammirato e rispettato Jan Skácel, e mi piacciono le sue poesie".
Reiner Kunze, 2000

È il sol dell'anima

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