Imagino al hombre como una ameba que tira seudópodos para alcanzar y envolver su alimento. Hay seudópodos largos y cortos, movimientos, rodeos. Un día eso se fija (lo que llaman la madurez, el hombre hecho y derecho). Por un lado alcanza lejos, por otro no ve una lámpara a dos pasos. Y ya no hay nada que hacer, como dicen los reos, una es favorito de esto o aquello. En esta forma el tipo va viviendo bastante convencido de que no se le escapa nada interesante, hasta que un instantáneo corrimiento a un costado le muestra por un segundo, sin por desgracia darle tiempo a saber qué,
le muestra su parcelado ser, sus seudópodos irregulares,
la sospecha de que más allá, donde ahora veo el aire limpio,
o en esta indecisión, en la encrucijada de la opción,
yo mismo, en el resto de la realidad que ignoro
me estoy esperando inútilmente.
(Suite)
Individuos como Goethe no debieron abundar en experiencias de este tipo. Por aptitud o decisión (el genio es elegirse genial y acertar) están con los seudópodos tendidos al máximo en todas direcciones. Abarcan con un diámetro uniforme, su límite es su piel proyectada espiritualmente a enorme distancia. No parece que necesiten desear lo que empieza (o continúa) más allá de su enorme esfera. Por eso son clásicos, che.
A la ameba uso nostro lo desconocido se le acerca por todas partes. Puedo saber mucho o vivir mucho en un sentido dado, pero entonces lo otro se arrima por el lado de mis carencias y me rasca la cabeza con su uña fría. Lo malo es que me rasca cuando no me pica, y a la hora de la comezón –cuando quisiera conocer-, todo lo que me rodea está tan plantado, tan ubicado, tan completo y macizo y etiquetado, que llego a creer que soñaba, que estoy bien así, que me defiendo bastante y que no debo dejarme llevar por la imaginación.
(Ultima suite)
Se ha elogiado en exceso la imaginación. La pobre no puede ir un centímetro más allá del límite de los seudópodos. Hacia acá, gran variedad y vivacidad. Pero en el otro espacio, donde sopla el viento cósmico que Rilke sentía pasar sobre su cabeza, Dame Imagination no corre. Ho detto.
Julio Cortazár, Rayuela, 84
Immagino l'uomo come un'ameba che tira pseudopodi per raggiungere ed avvolgere il proprio alimento. Ci sono pseudopodi lunghi e corti, movimenti, giri. Un giorno egli si fissa (quel che si chiama la maturità, l'uomo bello e fatto). Da un lato arriva lontano, dall'altro non riesce a vedere una lampada a due passi. E non c'è niente da fare, come dicono i colpevoli, uno è favorito di questo o di quello. In questa forma il tizio continua a vivere abbastanza convinto che non gli sfugga niente di interessante, finché un istantaneo slittamento al fianco gli mostra per un secondo, senza dargli disgraziatamente il tempo di sapere perché,
gli mostra il suo essere a particelle, i suoi pseudopodi irregolari,
il sospetto che più in là, dove ora vedo l'aria limpida,
o in questa indecisione, all'incrocio dell'opzione,
io stesso, nel resto della realtà che ignoro
mi sto aspettando inutilmente.
(Suite)
Individui come Goethe non dovettero abbondare in esperienze di questo tipo. Per attitudine o decisione (il genio è eleggersi geniale e riuscirci) stanno con gli pseudopodi tesi al massimo in ogni direzione. Abbracciano un diametro uniforme, il loro limite è la loro pelle proiettata spiritualmente a distanza siderale. Non sembra che abbiano bisogno di desiderare quello che comincia (o continua) oltre la loro enorme sfera. Per questo sono classici, ecco.
All'ameba uso nostro, lo sconosciuto si avvicina da tutte le parti. Posso sapere molto o vivere molto in un dato senso, però l'altro si avvicina dalla parte delle mie carenze e mi gratta la testa con la sua unghia fredda. Il problema è che mi gratta quando non mi prude, e all'ora del prurito – quando vorrei conoscere - tutto quello che mi circonda è così ben piantato, così ben piazzato, così completo e massiccio ed etichettato, che arrivo a credere di aver sognato, di star bene così, di difendermi abbastanza e di non dovermi lasciare andare all'immaginazione.
(Ultima suite)
L'immaginazione è stata eccessivamente elogiata. La poverella non può andare un centimetro oltre il limite degli pseudopodi. Al di qua, grande varietà e vivacità. Però nell'altro spazio, dove soffia il vento cosmico che Rilke si sentiva passare sopra la testa, Dame Imagination non corre. Ho detto.
*
Vom Eise befreit sind Strom und Bäche
Durch des Frühlings holden, belebenden Blick,
Im Tale grünet Hoffnungsglück;
Der alte Winter, in seiner Schwäche,
Zog sich in rauhe Berge zurück.
Von dort her sendet er, fliehend, nur
Ohnmächtige Schauer körnigen Eises
In Streifen über die grünende Flur.
Aber die Sonne duldet kein Weißes,
Überall regt sich Bildung und Streben,
Alles will sie mit Farben beleben;
Doch an Blumen fehlts im Revier,
Sie nimmt geputzte Menschen dafür.
Kehre dich um, von diesen Höhen
Nach der Stadt zurück zu sehen!
Aus dem hohlen finstern Tor
Dringt ein buntes Gewimmel hervor.
Jeder sonnt sich heute so gern.
Sie feiern die Auferstehung des Herrn,
Denn sie sind selber auferstanden:
Aus niedriger Häuser dumpfen Gemächern,
Aus Handwerks- und Gewerbesbanden,
Aus dem Druck von Giebeln und Dächern,
Aus der Straßen quetschender Enge,
Aus der Kirchen ehrwürdiger Nacht
Sind sie alle ans Licht gebracht.
Sieh nur, sieh! wie behend sich die Menge
Durch die Gärten und Felder zerschlägt,
Wie der Fluß in Breit und Länge
So manchen lustigen Nachen bewegt,
Und, bis zum Sinken überladen,
Entfernt sich dieser letzte Kahn.
Selbst von des Berges fernen Pfaden
Blinken uns farbige Kleider an.
Ich höre schon des Dorfs Getümmel,
Hier ist des Volkes wahrer Himmel,
Zufrieden jauchzet groß und klein:
Hier bin ich Mensch, hier darf ichs sein!
Johann Wolfgang von Goethe, Faust I, 904-940
Il gelo sgombra fiume e rivi
al mite sguardo di primavera
e torna vita: la valle è verde dall'allegra speranza.
Il vecchio inverno, sfinito com'è,
s'è ritirato fra aspre montagne
e di là manda, in fuga, appena
qualche sprazzo impotente di grandine
a strisce, sui prati già rinverditi.
Ma il sole non tollera nulla di bianco:
vuole a ogni cosa dar vita e colore,
tutto si muove a esistere, a salire.
Se bene spogli di fiori, i campi
recano gente vestita a festa.
Vòltati: e giù da questi colli
guarda verso la città:
dall'arcor buio della porte esce
un brulichio multicolore.
Come sono contenti nel sole!
È la festa di Resurrezione.
Perché anche loro sono risorti:
da stanze grame di case basse,
da servitù di mestieri e di traffici,
da pressura di tetti e di cuspidi,
da vicoli fitti di calca,
da chiese solenni di tenebra
tutti sono sospinti alla luce.
Guarda, su. Guarda. Come va in fretta
la folla e si spande per orti e per campi,
come in lungo e in largo sul fiume
filano tanti gai battelli,
e come, carica che quasi affonda,
s'allontana quell'ultima barca.
Fin dai sentieri lontani dei monti
i colori delle vesti brillano.
Odo già il brusio del borgo.
Qui è paradiso vero del popolo,
felici e contenti tutti quanti.
Qui sono uomo. Qui posso esserlo.
Traduzione di Franco Fortini
Atmen, du unsichtbares Gedicht!
Immerfort um das eigne
Sein rein eingetauschter Weltraum. Gegengewicht,
in dem ich mich rhythmisch ereigne.
Einzige Welle, deren
allmähliches Meer ich bin;
sparsamstes du von allen möglichen Meeren, –
Raumgewinn.
Wieviele von diesen Stellen der Räume waren schon
innen in mir. Manche Winde
sind wie mein Sohn.
Erkennst du mich, Luft, du, voll noch einst meiniger Orte?
Du, einmal glatte Rinde,
Rundung und Blatt meiner Worte.
Rainer Maria Rilke, Sonetten an Orpheus, II, I
Respiro, tu invisibile poesia!
Spazio puro del mondo di continuo
scambiato col proprio essere. Contrappeso
in cui accado ritmicamente.
Onda unica di cui
a mano a mano sono il mare;
infinitamente più piccolo di ogni possibile mare, –
spazio conquistato.
Quanti di questi posti negli spazi sono già stati
dentro di me. Alcuni venti
sono come figli miei.
Mi riconosci, aria, tu ancora piena di luoghi un tempo miei?
Tu, una volta liscia scorza,
rotondità e foglio alle mie parole.