Mi è sempre piaciuto pensare che il cinema non sia nato con i fratelli Lumière, ma molto, molto prima.
Mi è sempre piaciuto pensare che sia nato con l'opera lirica, con il melodramma, in quanto forma di rappresentazione che ne conteneva in nuce, fin dalle origini, tutti gli elementi essenziali: il racconto visivo di una storia che può assumere i registri più diversi, dal dramma alla commedia alla farsa, i tenori e i soprani quali primi attori e le altre voci per i caratteristi (il mio preferito: il basso buffo), le scene corali quali scene di massa, i recitativi quali forme di dialogo, le scenografie a riprodurre qualsiasi epoca storica, naturalmente la musica ad accompagnare la storia, e infine, e forse soprattutto, la sua fruizione, a partire dalla metà del '600, da parte di un pubblico sempre più popolare e la medesima capacità di suscitare in esso, proprio come accade nelle sale cinematografiche, emozioni, di provocare lacrime e risate.
Qualche anno fa, però, di fronte a dei fotogrammi ammirati su delle strutture di legno ricoperte da carta e foglie d'oro e decorate a tempera, mi sono dovuta ricredere e ne ho dovuto modificare le origini. Si trattava di un film giapponese attribuito al "regista" Kano Domi e dedicato allo sbarco dei portoghesi in Giappone.
Erano due paraventi d'arte namban (i giapponesi chiamavano i portoghesi nambanajin, barbari del sud) esposti al Museo Nacional de Arte Antiga di Lisbona, ma allora mi si erano rivelati (e nella mia memoria sono tuttora) come il primo ed il secondo tempo di un film la cui storia si svolge in due lunghe sequenze, a distanza di decenni l'una dall'altra, una prima che ritrae l'arrivo del Barco Negro a Nagasaki, una seconda che ritrae il corteo che si dirige alla Casa della Compagnia di Gesù.
Nel film, gli attori portoghesi portano dei doni, di cui alcuni sono animali, hanno tutti nasi pronunciati, baffi folti e pizzetto e il colorito abbronzato dei marinai, sono piuttosto alti e indossano cappelli, grandi colli bianchi e amplissimi calzoni a sbuffo di diverse fantasie, tracce della moda portoghese dell'epoca, ma soprattutto tracce dei particolari che allora maggiormente colpirono la sensibilità del regista giapponese al suo primo contatto con i barbari del sud, insomma con noi europei, rappresentati, nella circostanza, dai navigatori portoghesi. I giapponesi, all'arrivo degli stranieri, non escono di casa, al più si affacciano, timidamente, sulla soglia di casa, e guardano sfilare il corteo esotico, mostrando curiosità e al contempo un po' di timore.
Pensavo che la sceneggiatura dell'incontro tra portoghesi e giapponesi, su cui mi era piaciuto fantasticare un po' per conto mio a partire dalle scarse note della didascalia e dalla sola visione dell'opera, fosse andata irrimediabilmente perduta. Mi sono dovuta ricredere anche in questo: in realtà c'era anche quella, solo che l'ho trovata solo qualche tempo fa, ad anni di distanza da quella mia prima visione. Almeno a me piace pensare che ne sia l'ideale sceneggiatura di una altrettanto ideale coproduzione portoghese-nipponica. Eccone una limitata selezione, scritta da un portoghese nel 1585 che era arrivato in Giappone una ventina di anni prima.
Noi e loro
La maggioranza degli europei è di alta statura e ben piantata; i giapponesi sono normalmente più piccoli di noi, di corpo e di statura.
Gli europei considerano belli gli occhi grandi; i giapponesi li trovano orribili: per loro, gli occhi belli sono chiusi dal lato delle lacrime.
Da noi, non è strano avere gli occhi chiari; i giapponesi la considerano una cosa mostruosa, ed è un fatto raro tra loro.
Davanti e dietro
In Europa, gli uomini vanno davanti e le donne dietro; in Giappone, gli uomini vanno dietro e le donne davanti.
Le nostre latrine si devono situare dietro le case, a distanza; le loro sono davanti, evidenti allo sguardo di tutti.
Prima e dopo
I nostri bambini imparano prima a leggere e poi a scrivere; quelli del Giappone cominciano prima a scrivere, e poi incominciano a leggere.
Consumi
In Europa, una cassa di farina di riso basterebbe a un regno intero; in Giappone, viene dalla Cina senza sosta, a navi intere, e ancora non basta.
Capacità e incapacità
Da noi, un bambino di quattro anni non sa ancora mangiare con le mani; quelli del Giappone, a partire dall'età di tre anni, mangiano da soli con le bacchette.
I bambini in Europa raggiungono la pubertà e non sanno neanche redigere un biglietto; quelli del Giappone, a dieci anni, sembrano averne cinquanta per l'intelligenza e il giudizio che mostrano.
Lettere, caratteri e nomi
Noi scriviamo con 22 lettere; loro con 48 nell'abbecedario kana e con infiniti caratteri e diversi tipi di lettere.
Noi studiamo diverse arti e scienze nei nostri libri; i giapponesi passano tutta la vita a conoscere il cuore dei caratteri.
Noi scriviamo in orizzontale, da sinistra a destra; loro lo fanno in verticale, e sempre da destra a sinistra.
Là dove si raggiungono le ultime pagine dei nostri libri, cominciano le loro.
Le nostre lettere possono esprimere dei concetti solo tramite un lungo sviluppo; quelle del Giappone sono molto brevi e concise.
Da noi, i nomi delle donne si traggono dalle sante; quelli dei giapponesi sono: pentola, gru, tartaruga d'acqua, espadrilla, tè, giunco, ecc.
Credenze
Da noi, gli uomini entrano nella religione per fare penitenza e per la propria salvezza; i bonzi lo fanno per scappare dal lavoro e vivere in pace in mezzo ai piaceri.
Noi riconosciamo un solo Dio, una sola fede, un solo battesimo e una sola Chiesa Cattolica; in Giappone, ci sono tredici sette ed esse differiscono quasi tutte le une dalle altre per il loro culto e le loro preghiere d'adorazione.
Noi consideriamo leggendarie tutte le storie di sirene e uomini marini; i giapponesi credono che sotto il mare ci sia un regno di lucertole, che sono dotate di ragione e conoscono il saluto.
Paure
Da noi, uomini, donne e bambini hanno paura della notte; in Giappone, al contrario, né i grandi né i piccini ne hanno il minimo timore.
Noi proviamo in generale paura e ripugnanza nel prendere i serpenti in mano; i giapponesi li prendono con facilità, senza alcun timore, e alcuni li mangiano.
Si fa, non si fa
Da noi, è un peccato grave suicidarsi; in Giappone, in guerra, quando non ne possono più, si aprono il ventre e quello è il segno di grande valore.
In Europa, l'onore e il bene supremo delle giovani donne sono il pudore e il chiostro inviolato della loro purezza; le donne del Giappone non fanno caso alla purezza virginale e perderla non le disonora né impedisce loro di sposarsi.
In Europa, non si offre da mangiare ai carpentieri e ai loro aiutanti; in Giappone, questi hanno da mangiare là dove lavorano, persino i loro aiutanti che non fanno niente.
In Europa, è sconveniente scoprirsi, se non nella punta dei piedi, per riscaldarsi davanti al camino; in Giappone, colui che sta vicino al fuoco non si vergogna affatto di mettersi a culo nudo per lo stesso scopo.
In Europa, è molto sconveniente che una donna beva vino; in Giappone è molto frequente e durante le feste bevono talvolta fino a rotolare per terra.
Starnutire da noi è una cosa naturale e non ci facciamo caso; nelle isole di Goto, lo si considera un presagio, e chi ha starnutito non può parlare lo stesso giorno al suo signore.
In Europa, non uccidiamo per scopo di denaro, almeno fino ad una certa somma; in Giappone, lo si fa anche per un piccolo furto.
Da noi, si usa abbracciarsi al momento dell'addio o quando qualcuno arriva da lontano; i giapponesi non conoscono questa usanza, e ridono quando ce lo vedono fare.
Noi ci puliamo le narici con il pollice o l'indice; loro, che le hanno molto strette, lo fanno con il mignolo.
Noi soccombiamo spesso alla collera e non dominiamo che di rado la nostra impazienza; loro, stranamente, restano sempre molto moderati e riservati.
Da noi, non si usa invitare i servitori assieme ai loro signori e alle loro signore; in Giappone, lo si fa spesso, alle volte per obbligo, alle volte no.
Malattie, terapie
Da noi, gli ascessi sono distrutti col fuoco; i giapponesi preferirebbero morire piuttosto che provare i nostri rudi rimedi chirugici.
Con i nostri malati, se non hanno appetito, si insiste al punto da nutrirli a forza; i giapponesi considerano questo crudele, e preferiscono lasciare morire i loro malati di inappetenza.
Da noi, avere la gonorrea è considerato sporco e motivo di vergogna; in Giappone, uomini e donne ritengono che sia una cosa banale e nessuno se ne turba.
Calendari
L'era dei cristiani non cambierà dalla nascita di Cristo fino alla fine del mondo; l'era del Giappone cambia sei o sette volte nel corso della vita di un re.
Tesori
Noi custodiamo come un tesoro le pietre preziose e i monili d'oro e d'argento; i giapponesi conservano vecchi paioli, porcellane antiche e rotte, recipienti di terracotta, ecc.
Edilizia
Le nostre case sono alte e a più piani; quelle del Giappone, per la maggior parte, sono basse e a un piano.
Le nostre sono di pietra e di calce; le loro, di legno, di bambù, di paglia e di terra.
Le nostre stanze hanno generalmente delle finestre che danno molta luce; le zaxiki del chanoyu sono senza finestre e molto scure.
Le nostre case sono ornate da tessuti, cuoio dipinto, e tappezzerie delle Fiandre; quelle del Giappone da paraventi di carta dorata o dipinta di inchiostro nero.
Da noi, quando scoppia un incendio tutti accorrono con l'acqua e demoliscono le case vicine; i giapponesi si mettono sugli altri tetti e agitano dei ventagli di paglia e gridano al vento di andarsene.
Ho tratto queste considerazioni, che mi paiono contenere una buona dose di meraviglia non priva di ironia, ammirazione e persino di autocritica, fermandomi veramente a stento, dal testo del padre gesuita Luís Fróis Européens et japonais: traité sur les contradictions & différences de mœurs, Chandeigne 2009, un testo ritrovato da Josef Franz Schütte negli archivi di Madrid nel 1946 e pubblicato per la prima volta da questi nel 1955 in una rivista universitaria giapponese.
La pagina del museo in cui vidi il film giapponese.
La pagina di wikipedia dedicata all'arte namban, da cui ho tratto due foto del film.
lunedì 5 aprile 2010
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