Dal 1988 sono morte lungo le frontiere dell'Europa almeno 17627 persone.
Fortress Europe
(È un dato necessariamente sottostimato, in quanto "basato sulle notizie censite negli archivi della stampa internazionale degli ultimi 23 anni".)
Sta qui la differenza tra il pensiero reazionario e la democrazia. Il reazionario facilmente irride l'umanità astratta e l'astratto amore ideologico per il genere umano, perché sa amare il proprio compagno di scuola, ma non sa veramente capire che anche compagni di scuola di persone a lui ignote sono altrettanto reali; non astrazioni ma carne e sangue. La democrazia - schernita come fredda e ideologica - è invece concretamente poetica, perché sa mettersi nella pelle degli altri, come Tolstoj in quella di Anna Karenina, e dunque pure in quella di quei naufraghi in fondo al mare.
Nella Germania di Hitler era diffuso un galateo particolare: chi sapeva non parlava, chi non sapeva non faceva domande, a chi faceva domande non si rispondeva. In questo modo il cittadino tedesco tipico conquistava e difendeva la sua ignoranza, che gli appariva una giustificazione sufficiente della sua adesione al nazismo: chiudendosi la bocca, gli occhi e le orecchie, egli si costruiva l’illusione di non essere a conoscenza, e quindi di non essere complice, di quanto avveniva davanti alla sua porta.
Sapere, e far sapere, era un modo (in fondo non poi tanto pericoloso) di prendere le distanze dal nazismo; penso che il popolo tedesco, nel suo complesso, non vi abbia fatto ricorso, e di questa deliberata omissione lo ritengo completamente colpevole.
Primo Levi, appendice a Se questo è un uomo, Einaudi 1984
Sono anni che ho tra i tasti un post su quella tomba che è diventato il Mediterraneo. Mi è stato e mi è tuttora molto difficile scriverne: chi mai potrebbe non provare umana pietà per tante e tali morti? Eppure è una pietà nei fatti o negata o, se presente, come nel mio caso e in quello di moltissimi altri, inane, vacua. Vorrei tanto che Magris avesse ragione. Temo però che non ce l'abbia. La realtà democratica mi sembra peggiore, concretamente peggiore e lontanissima da ogni poesia: le parole di Magris mi sembrano pienamente condivisibili solo in termini di desiderio, di auspicio.
Primo Levi considerava che le circostanze che portarono allo sterminio degli ebrei in Europa sarebbero potute venir meno se la stampa tedesca fosse stata libera, in grado di informare il maggior numero di persone possibile, e comunque, anche in assenza di libertà dell'informazione, se chi sapeva - e naturalmente c'era chi sapeva, anche al di là dei responsabili diretti dello sterminio - avesse parlato. Mi si permetta non dico il paragone, ma almeno l'accostamento tra i due eventi, al di là delle differenze dei contesti storici e politici, se non altro per la durata del fenomeno cui stiamo assistendo, per la sostanziale passività con cui lo facciamo, per l'esistenza (ancora con Levi, quello de I sommersi e i salvati) di una zona grigia, che se oggi non collabora, non agendo, non altera il risultato, e per la almeno parziale responsabilità delle cause delle emigrazioni in atto, delle condizioni disperate in cui si svolgono e quindi dei loro esiti da parte di tutta la comunità europea.
Un giorno potremmo - forse dovremmo - sentirci rivolgere le stesse domande che i figli del dopoguerra tedesco hanno rivolto ai propri genitori: "Ma tu dov'eri? Sapevi? E che cosa hai fatto per evitarlo?" Sono queste le domande che mi pongo da anni e che mi inducono ad accostare i due eventi, nonostante tutte le loro differenze.
Né la presenza di una democrazia in ogni paese europeo né l'esistenza di una stampa in grado di informare (peggio, nemmeno l'ipertrofia di internet) né il fatto che si sappia da molto tempo che migliaia di emigranti muoiono nel Mediterraneo sembrano essere sufficienti ad impedire la strage. Non vorrei che fosse caduta un'altra maschera, che fossero caduti degli altri vestiti, oltre a quelli dell'imperatore: quelli del popolo, che sa, che sa da molti anni e che da molti anni non fa nulla e in ogni caso non abbastanza.
Mi viene in mente un testo di Caparrós dedicato ad un viaggio di 28 giorni (una luna) compiuto tra Chişinău e Monrovia, Amsterdam e Lusaka, Pittsburgh e Parigi, Madrid, Barcellona e Johannesburg, in cui, come inviato per un'agenzia dell'ONU, ha incontrato degli emigrati. Nonostante ricalchi in parte le stesse categorie citate da Magris in termini di umanità astratta e umanità concreta, ma secondo una prospettiva capovolta, non mi pare affatto reazionario, ma solo più realista dell'approccio di Magris.
L'umanità è un'idea di quando l'umanità non esisteva: di quando c'erano piccole comunità in cui il destino di uno implicava in qualche modo quello degli altri o diciamo piuttosto: in cui era facile vedere che il destino di ciascuno implicava in qualche modo quello degli altri - e vi si prestava attenzione.
Abbiamo l'abitudine di credere che il momento culminante di questa idea fu Atene tanto tempo fa, quando i cittadini scoprirono che dipendevano gli uni dagli altri nella battaglia perché avevano inventato la formazione oplitica, in cui ogni uomo valeva lo stesso di quello a fianco perché sapeva che bastava che uno venisse meno perché si rompesse la formazione e lo ammazzassero. Poi produssero quello che chiamarono democrazia, in cui il voto di ogni uomo valeva lo stesso di quello a fianco - sempre che quest'uomo fosse cittadino e non ricorresse per vivere al lavoro degli schiavi e degli immigrati. La democrazia convertì quell'idea di umanità in una forma politica. L'umanità, in sintesi, era questo: che tutti gli uomini valgono - e, in qualche modo, si equivalgono. Però, insisto: ciò è facile da vedere quando quelli che valgono sono Abel il pescatore di quella casa, Mabel la figlia del fabbro, Jezabel la tettona mora.
Il cristianesimo volle trapiantare questa nozione di quartiere su scala generale - volle veramente? - con questa idea universalistica della chiesa e volle che si trattasse il prossimo - ogni prossimo - come se stesso: un discorso interessante, mai praticato. E poi, nel secolo XVIII, l'idea di umanità fu usata per combattere questa stessa religione, e si consolidò nel XIX quando Marx lesse Terenzio e ripetè che niente dell'umano gli era estraneo(1). Però, nella misura in cui vi riuscirono, i marxisti cominciarono a parlare di socialismo in un solo paese e che gli altri marcissero, di Siberia e di gulag. Tutto in nome dell'umanità, il bene supremo. Non c'è un'idea più resistente: i comportamenti hanno sempre contraddetto il concetto, però questi comportamenti vengono intesi come errori, deviazioni. Le idee migliori, le più potenti, sono quelle che non si realizzano mai - e la loro costante irrealtà le conserva e le eleva. In sintesi: se qualcuno crede che agli uomini importi quello che succede ad altri uomini, che venga a Monrovia(2). O che vada a Florencio Varela(3).
Martín Caparrós(4), Una luna. Diario de hiperviaje, Anagrama 2009
(1) Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
(2) Una testimonianza da Monrovia dallo stesso libro di Caparrós, che in questo caso non riesco a tradurre, e non per difficoltà linguistiche, dice:
Una noche, desde el otro lado de la frontera, llegaron los rebeldes: agarraban a los hombres y les preguntaban si preferían mangas largas o mangas cortas. Al que decía mangas largas le cortaban el brazo a la altura de la muñeca; al que decía mangas cortas, a la altura del hombro. A algunos les daban la opción de pantalones cortos o pantalones largos - o del celular: les cortaban los tres dedos del medio de una mano, así les quedaban el pulgar y el meñique, que imitan un teléfono. Hay momentos en que la modernidad y la salvajería se mezclan sin piedad - y un humor raro. Al que non quería elegir lo mataban sin más.
(3) Zona nella parte meridionale di Buenos Aires.
(4) Martín Caparrós (Buenos Aires, 1957) si è laureato in storia a Parigi, ha vissuto a Madrid e New York, ha diretto riviste di libri e di cucina, ha attraversato mezzo mondo, tradotto Voltaire, Shakespeare e Quevedo, pubblicato una ventina di libri, e ricevuto il Premio Planeta Latinoamérica, il Premio Rey de España e la borsa di studio Guggenheim.
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