sabato 18 giugno 2011

L'uomo russo, dove meno te lo aspetti

Democrito che 'l mondo a caso pone
Inferno, IV, 136

Den russischen, den innersten Menschen hat Münzer in sich voraufgenommen: wer einen russischen Menschen in sich hat, wird den Archifanaticus Patronus et Capitaneus Seditiosorum Rusticorum, Überschrift und Stigma des Heldrunger Gemäldes, in sich hören.
Ernst Bloch, Thomas Münzer, als Theologe der Revolution
(Münzer ha anticipato l’uomo russo, l’uomo più interiore: chi ha in sé un uomo russo ascolterà in sé l’Archifanaticus patronus et capitaneus seditiosorum rusticorum, titolo e stigma del dipinto di Heldrungen.)

Sono finalmente riuscita a leggere Il formaggio e i vermi di Carlo Ginzburg, che tempo fa era già emerso nel corso di un mio dialogo con il mio amico G. Il titolo richiama la cosmogonia del mugnaio di Montereale Valcellina Domenico Scandella, detto Menocchio, cosmogonia che, nelle parole dello stesso Menocchio, secondo i verbali degli interrogatori del Sant'Uffizio, suonava così:
Io ho detto che, quanto al mio pensier et creder, tutto era un caos, cioè terra, aere, acqua et foco insieme; et quel volume andando così fece una massa, aponto come si fa il formazo nel latte, et in quel deventorno vermi, et quelli furno li angeli; et la santissima maestà volse che quel fosse Dio et li angeli; et tra quel numero de angeli ve era ancho Dio creato anchora lui da quella massa in quel medesmo tempo, et fu fatto signor con quattro capitani, Lucivello, Michael, Gabriel et Rafael. Qual Lucibello volse farsi signor alla comparation del re, che era la maestà de Dio, et per la sua superbia Iddio commandò che fusse scaciato dal cielo con tutto il suo ordine et la sua compagnia; et questo Dio fece poi Adamo et Eva, et il populo in gran multitudine per impir quelle sedie delli angeli scacciati. La qual multitudine, non facendo li commandamenti de Dio, mandò il suo figliol, il quale li Giudei lo presero, et fu crucifisso. Io non ho detto mai che si facesse picar come una bestia. Ho ben detto che si lassò crucificar, et questo che fu crucifisso era uno delli figlioli de Dio, perché tutti semo fioli de Dio, et di quella istessa natura che fu quel che fu crucifisso; et era homo come nui altri, ma di maggior dignità, come sarebbe dir adesso il papa, il quale è homo come nui, ma di più dignità de nui perché può far; et questo che fu crucifisso nacque de s. Iseppo et de Maria vergine.
Leggendolo, mi sono chiesta quale sia stata la ragione prima del vero e proprio accanimento persecutorio esercitato nei suoi confronti da parte dell'Inquisizione. Ad una ad una, ho via via escluso tutte le cause legate alle sue idee più propriamente filosofico-religiose (che derubricherei a livello di cause secondarie o, al più, di concause). Non la sua cosmogonia, dato che fin dall'antica Grecia si era pur individuato nel Caos l'ente primo da cui tutto prenderebbe origine. Non il suo panteismo di fondo, che in fin dei conti non mette in crisi il concetto di Dio, ma va semmai nel senso opposto, nel senso del moltiplicarne la presenza: "io credo che tutto il mondo, cioè aere, terra et tutte le bellezze de questo mondo sia Dio....: perché si dice che l'homo è formato a imagine et similitudine de Dio, et nel homo è aere, foco, terra et acqua, et da questo seguita che l'aere, terra, foco et acqua sia Dio". Non la negazione della Trinità: in caso contrario, i prelati avrebbero condotto gli interrogatori secondo il ben rodato schema già sperimentato su non piccola scala contro gli anabattisti, senza aver bisogno di sottoporre un semplice mugnaio a lunghe e ripetute sessioni inquisitoriali, che iniziarono nel 1584 e ripresero, dopo una prima condanna all'abiura e al carcere, nel 1599. Non la teoria dell'anima mortale, caduto, com'era caduto, in molte contraddizioni, naturalmente umanissime e giustificate, date le circostanze di privazione di libertà e di tortura in cui sono nate, ma tali da far comunque ritenere che le sue convinzioni non fossero poi così rigidamente stabilite e che il suo ragionare, in questa e altre questioni, fosse abbastanza fluido, suscettibile di ripensamenti e revisioni.
Mi è parso invece che l'accanimento possa trovare una possibile spiegazione nella capacità di Menocchio di diffondere idee (e in tal senso Ginzburg sostiene la mia impressione, rilevando esplicitamente, oltre all'evidente ruolo dirompente di un popolano allora in grado di leggere, anche quale fosse l'importante posizione di interscambio che un luogo come il mulino poteva assumere all'epoca), soprattutto - a me pare - di idee potenzialmente pericolose dal punto di vista della critica sociale. Tali idee, che si possono evincere dal confronto tra il mugnaio e l'Inquisizione sui temi più strettamente religiosi, vanno ben al di là della suggestiva ma tutto sommato antica visione del caos primordiale e comprendono in particolare la critica ad un potere assoluto e improduttivo e, in termini positivi, una chiara aspirazione ad un egualitarismo umanitario. Nella visione anticreazionista di Menocchio, in cui i vermi nascono da soli dal formaggio, Dio, che è solo "un può de fiato, et quello tanto che l'huomo se immagina", non lavora affatto, ma, come ogni padrone, fa lavorare gli altri, le sue maestranze, ovvero gli angeli. Dio è prima di tutto un padrone e possiede dunque il potere, un potere che, come ogni potere di ogni padrone, sta nell'"operare per mezo della maestranza" o dei "lavorienti". "Questo Dio ha fatto lui, creata, produtta alcuna creatura?" gli chiedono ad un certo punto gli inquisitori. "Lui ha dissegnato de dar la voluntà per la qual se ha fatto ogne cosa", risponde Menocchio. Anche il potere del papa sta nel fatto che egli "può far", dando ad intendere, ancora una volta, che chi detiene il potere non fa nulla, ma fa fare, operando attraverso altri soggetti a lui sottoposti.
Non può essere stata questa, in effetti, l'idea più sovversiva di tutte? Coinciderebbe tra l'altro, paradossalmente, con i limiti stessi del luteranesimo tanto avversato dall'Inquisizione e dalla Controriforma, che se sul piano del rapporto tra i fedeli e Dio si era liberato completamente delle gerarchie ecclesiastiche, sul piano sociale aveva clamorosamente fallito, soffocando nel sangue le rivolte dei contadini e le idee di Müntzer che le avevano sostenute. Non sarà mica solo una coincidenza che proprio il Friuli, terra in cui la Riforma era stato accolta con particolare interesse e benevolenza, avesse conosciuto, ancora prima delle 95 tesi di Lutero, in particolare nel 1511, violente rivolte contadine, incendi di castelli e stragi di nobili?
Se poi si considerano i rimedi adottati dalla Chiesa nel caso di Menocchio, questi sembrano andare tutti in una sola direzione, che non è quella di riconquistare una singola pecorella smarrita, ma piuttosto nel pubblicizzare al massimo la sua ferma condanna e nel cercare di ostacolare l'ulteriore propagazione delle sue idee. A Menocchio, infatti, furono imposti, oltre al carcere a spese dei figli, l'abiura da tutte le eresie recitata in luogo pubblico, con una candela in mano sulla porta della cattedrale di Concordia sia il giorno della sentenza sia, per raggiungere il massimo pubblico possibile, il giorno della fiera di Santo Stefano, l'obbligo di indossare un "habitello" crociato in segno di infamia, nonché l'obbligo di consegna di tutti i suoi libri e delle sue scritture. Dei primi abbiamo traccia solo grazie agli accenni fatti da Menocchio nel corso degli interrogatori (la Bibbia in volgare, la cronaca medievale catalana Il fioretto della Bibbia, il Rosario della gloriosa Vergine Maria di Alberto da Castello, la Legenda aurea di Jacopo da Varagine, il poemetto anonimo Historia del Giudicio, Il Cavalier Zuanne de Mandavilla, il Sogno dil Caravia, il Supplimento delle cronache di Foresti, il Lunario di de Leonardis, il Decameron e probabilmente il Corano), mentre delle seconde purtroppo non sappiamo nulla.
E da cosa prese avvio il secondo processo dopo che la sua pena era stata ormai commutata nel divieto di allontanarsi da Montereale e nella conferma dell'obbligo di portare l'abito crociato? Dall'aver abbandonato il confino di Montereale, dall'aver dismesso il segno patente della sua colpa, l'habitello, e da un dialogo condotto nella pubblica piazza di Udine, in cui Menocchio aveva attribuito la paternità della scrittura degli Evangelii a preti et frati e in cui aveva confermato, ancora una volta, la sua visione egualitarista dell'umanità, che non distingueva tra Turchi, Giudei, heretici et christiani, considerati piuttosto come fioli di un medesimo padre.
Il testo di Ginzburg va naturalmente ben oltre queste mie considerazioni: non ha solo il merito di aver ricostruito la storia di Menocchio, ma anche e soprattutto quello di aver dato conto dell'elaborazione che egli è riuscito a compiere tra elementi tratti dai libri che aveva letto e tra elementi della tradizione orale, tipicamente contadina, e, più in generale, della fecondità dell'interrelazione tra cultura popolare e cultura alta (ricordando ad esempio la probabile non eccezionalità, all'epoca, di figure come quelle di Rabelais e di Brueghel), della radice popolare delle grandi utopie del XVI secolo europeo - su cui Ginzburg è tornato altre volte - e dell'impulso, avviato proprio nella seconda metà di quello stesso secolo, ad una rigida distinzione tra la cultura delle classi dominanti e la cultura artigiana e contadina, che ha profondamente caratterizzato e forgiato la nascita e il successivo sviluppo dello Stato moderno in tutta Europa. 

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