Il titolo non riesco proprio a sceglierlo, oggi.
Avrebbe potuto essere, molto semplicemente, Corso Magenta, quello che per me è stato Corso Magenta a Milano, per prima cosa le fughe dall'ufficio per andare a sentire Vittorio Sermonti recitare Dante a Santa Maria delle Grazie per poi finirne, a parte un'unica volta, non la più bella, fuori, al limite estremo del sagrato, seduta sul bordo del marciapiede, ad ascoltare - tram permettendo - la voce emessa dagli altoparlanti esterni per riscoprirne i versi, letti e riletti la sera prima e durante il percorso nella versione minuscola della Hoepli, che di tanto in tanto finisce tuttora in qualche mia tasca (ha volontà proprie, il Dante minuscolo hoepliano), ma soprattutto ad osservare, alquanto inaspettate, le sfilate di edizioni di Divina Commedia nuove, seminuove o vecchie, estratte da biblioteche casalinghe da brevi o lunghi torpori e portate a spasso per l'occasione da centinaia e centinaia di mani di tutte le età.
Avrebbe potuto però anche essere il mio primo incontro con Luigi Ghirri, che ebbe luogo proprio in Corso Magenta, al Palazzo delle Stelline, e la scoperta dal vivo della ricchezza dei suoi silenzi, della pienezza dei suoi vuoti, ed il mio ritrovarvi, forse per la prima volta concretamente, l'evidenza di una poetica che rispondeva totalmente alla mia radicata, seppur sostanzialmente inespressa, poetica del togliere togliere togliere, del togliere senza togliere il significato, anzi esaltandolo ed arricchendolo di spessore e di contenuto e di carica espressiva, di gioia o di rabbia, a seconda del caso.
Avrebbe anche potuto essere tre. O due.
Avrebbe potuto essere Il profilo delle nuvole.
Avrebbe potuto essere il titolo di un altro libro di Ghirri, quello che ho trovato a New York, senza cercarlo affatto (niente da fare, certi libri hanno volontà proprie), un libro che era destinato a una persona cara che non ho più rivisto dal mio soggiorno negli Stati Uniti. Un libro, in realtà, che non ha mai cessato di essere destinato a lei.
Avrebbe potuto essere l'Italia che il turista sembra non volere. O almeno non cercare. E che nemmeno moltissimi italiani sembrano volere. O cercare.
Avrebbe potuto essere l'Italia che il turista sembra non volere. O almeno non cercare. E che nemmeno moltissimi italiani sembrano volere. O cercare.
Lo svolgimento, invece, quello vero, lo lascio, come in molte altre occasioni, ad un poeta, offrendone una versione che, paradossalmente, ma per definizione, è tradimento al quadrato della versione originale.
Anche se non capisco molto di fotografia, ho sempre pensato che Ghirri fosse un genio. Gliel'ho detto una volta, in effetti, che pensavo fosse un genio. Si è un po' ritratto e ha detto "ma dai", ma si capiva che ci credeva e ne era contento. Ha finito per dire: "Ma molta gente non mi capisce". All'epoca l'idea che qualcuno non lo capisse mi sembrava impossibile, e comunque gli ho detto veramente così: "Sei il solo genio che io conosca". Ho cominiciato a pensare che fosse un genio quando ho visto il suo libro "Paesaggio italiano", quello delle edizioni Electa. Fino ad allora avevo pensato che le sue foto fossero molto belle; ma vedendole tutte assieme in questo libro, vedendo il montaggio che aveva fatto in questo libro con sua moglie Paola, ho capito che dietro alle sue foto c'era una concezione molto forte, onnipresente, eclatante del mondo, e che tutto quello che faceva rispondeva a questa concezione, che faceva avanzare con una lucidità e con una coerenza che mi fecero proprio venire in mente l'idea del genio, vale a dire di qualcuno che non si accontenta di avere delle grandi capacità espressive o di fare delle cose notevoli in campo artistico, ma che ha un'idea del mondo, che ha un'idea radicale e rivoluzionaria del mondo e la sviluppa con estrema facilità. E questa concezione del mondo, a me che non capisco molto di fotografia, è sempre sembrata questa: Ghirri ha continuamente sfiorato la banalità, ha applicato la sezione aurea nelle sue fotografie, ha sempre rischiato che le sue foto fossero prese per delle cartoline, e l'ha fatto proprio per mostrarci quello che è dietro al cartolina e che la cartolina non mostra più. Non so come esprimere meglio questa cosa: è come se Luigi Ghirri avesse voluto mostrarci, sempre, o almeno diciamo dopo la fase sperimentale, nell'età matura della sua opera, è come se avesse voluto mostrarci quello che la realtà avrebbe dovuto essere. Non so se vi sia un'idea platonica dietro questo, ma Ghirri mi ha sempre fatto pensare ad un uomo del Quattrocento, per questo sentimento di armonia, il carattere classico di cui ha impregnato tutta la sua opera, mostrando delle cose che non sono classiche, e facendole diventare classiche: ma in fondo, questo carattere classico è solo una maniera di vedere le cose; conoscendo un po' meglio la sua fotografia, l'equilibrio che esiste nei suoi negativi mi ha impressionato e continua ad impressionarmi questa idea del mondo che si fa senza sforzo, il numero tre che è sempre presente nelle sue foto, il numero perfetto, il numero della sezione aurea, tutte le sue foto possono dividersi in tre parti, o in due parti, hanno sempre avuto un centro, così ci sono certi numeri magici: uno, due e tre; sono in apparenza statiche e immobili e composte come lo sono le statue di Fidia e Prassitele e le madonne di Botticelli e come lo è tutta l'arte classica. Così mi sono sempre rappresentato Ghirri come un grande alchimista, come qualcuno che, in fondo, mostrava il mondo come avrebbe dovuto e potuto essere, ma è anche là, un po', l'idea della idealizzazione classica della realtà. Che poi, dietro al suo modo di mostrare il mondo come avrebbe dovuto essere, dietro questa maniera classica, ci sia una polemica molto forte, una posizione politica molto forte, una protesta molto forte contro quello che è il mondo e quello che ne stiamo facendo, è là, secondo me, la fonte del suo carattere classico, di questo carattere classico così profondamente "italiano". Così è, penso, quello che c'è dietro a questa apparente, stupefacente "semplicità", questa idea di un mondo semplice, che si crea da solo, e che non ha alcuna possibilità di essere diverso.
Carlo Bordini, luglio 1992
Traduzione della traduzione di Olivier Favier