giovedì 9 febbraio 2012

Teste - 3, credo

La trasmissione della lingua slovena a mio padre e poi a me si è interrotta a causa della morte precoce di sua madre, la mia nonna mai conosciuta: morì a 24 anni, credo, quando mio padre aveva due anni (di questo sono sicura), di tubercolosi. Sua sorella la seguì a ruota per lo stesso motivo. Di lei ho solo due foto a casa dei miei. Provare a cercarla in chi l'ha conosciuta è stato un esercizio sterile: mio nonno era in grado di raccontarmene poco, in una monotona ripetizione di frasi scarne, cristallizzate in forme laconiche, sempre uguali a se stesse (e dopo pegola, la se ga malà), che non aggiungevano mai nuovi particolari al noto come avrei invece desiderato. Me la ritrovo negli zigomi, che vengono da lei, probabilmente conformati dal suo modo di parlare e da quello dei suoi antenati(*), e negli occhi, che vengono, in modo ancor più marcato, anche da sua sorella. Me la ritrovo anche in alcune parole che ho acquisito fin dall'infanzia perché insinuatesi nel dialetto triestino: trda glava, per esempio - testa dura, dura come la pietra -, parole che hanno sempre mantenuto aperta una finestra in mezzo alla frontiera, almeno così come l'ho percepita io, anche negli anni più complicati nelle relazioni italo-jugoslave, una finestra per me spalancata verso un est lontanissimo, mai visto e solo sognato.
Glava голова (golova) = capo : caput

*

Что еще, Борис? Листок кончается, день начался. Я только что с рынка. Сегодня в поселке праздник — первые сардины! Не сардинки, потому что не в коробках, а в сетях.
А знаешь, Борис, к морю меня уже начинает тянуть, из какого-то дурного любопытства — убедиться в собственной несостоятельности.

Обнимаю твою голову — мне кажется, что она такая большая — по тому, что в ней — что я обнимаю целую гору, — Урал! «Уральские камни» — опять звук из детства! (Мать с отцом уехали на Урал за мрамором для Музея. Гувернантка говорит, что ночью крысы ей отъели ноги. Таруса. Хлысты. Пять лет.) Уральские камни, (дебри) и хрусталь графа Гарраха (Кузнецкий) — вот все мое детство.
На его — в тяжеловесах и хрусталях.

Где будешь летом? Поправился ли Асеев. Не болей.
Ну, что еще?
—Всё!—

М.

Замечаешь, что я тебе дарю себя враздробь?

Марина Цветаева, Переписка с Б. Пастернаком, 26-го мая 1926 г. среда


Che cosa ancora, Boris? Il foglio finisce, è cominciata la giornata. Sono appena tornata dal mercato. Oggi in paese è festa - le prime sardine! Non proprio sardine, perché non stanno nelle scatolette, ma nelle reti.
E sai, Boris, verso il mare stavo già iniziando a sentirmi spinta da una certa stupida curiosità — dal convincermi della mia inconsistenza.

Abbraccio la tua testa — mi sembra sia così grande — perché in lei abbraccio tutte le montagne - gli Urali! «Le pietre degli Urali» — di nuovo un suono che viene dall'infanzia! (Mia madre e mio padre erano andati sugli Urali a procurarsi il marmo per il museo. La governante dice che una notte i topi le hanno portato via un piede. Tarusa. I chlysty. Ho cinque anni.) Le pietre degli Urali (boscaglie), e i cristalli del conte Garrach  (sul Kuzneckij) — ecco tutta la mia infanzia.
Nella sua — pesantezza e cristalli.

Dove sarai quest'estate? È guarito Aseev? Non essere ammalato.
E cosa, ancora?
—Tutto!—

М.

Stai notando che ti regalo me stessa a pezzi?

Marina Cvetaeva,  corrispondenza con Boris Pasternak, 26 maggio 1926, mercoledì.

(*) раздвигая скулы/фразами на родном (pronuncio frasi che allargano gli zigomi/nella lingua che è mia - Brodskij, Strofe veneziane, traduzione di G. Buttafava)

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