venerdì 15 giugno 2012

scut

scut

i don’t know
how many hours
of my life
i’ve spent
cleaning up after
other people.
when you don’t
have any skills
and you need $$
you either work
in fast food
or become a janitor.
i’ve cleaned office
buildings, restaurants,
hardware stores, horse
stables, grocery stores,
prison work camps
and visiting rooms.
my friends always
seemed to have jobs
that were somehow
more bearable; they
worked in record shops
or vintage clothing stores or their
parents had their
own businesses and
they worked for them.
i always ended up
as a janitor.
in prison that term
is never used; instead you
are a porter.
i am not sure why;
i thought a porter
was a guy who helped people
get on trains
or something.
all thru my teens
and twenties, right
up until i got arrested
i worked crappy little jobs with low pay
and zero prestige;
let’s face it,
scrubbing toilets isn’t
a sexy occupation.
it seemed that whenever
i found a job that
paid well i was laid
off within a few months.
i’ve never been laid off
from a job
that only paid minimum wage.
i had to quit those jobs, only to be
forced to find other, similar
jobs after a few months
of starving
and sleeping on people’s couches.
it wasn’t much of
a life
but it was what
i did.

Raegan Butcher


feccia

non so
quante ore
della mia vita
ho passato
a pulire dove
la gente sporca.
quando non si ha
esperienza
e si ha bisogno di euro
o si lavora
in un fast food
o ci si mette a fare le pulizie.
ho pulito
uffici, ristoranti,
negozi di ferramenta, stalle
di cavalli, drogherie,
campi di lavoro e parlatori
di carceri.
sembrava sempre
che i miei amici avessero lavori
in qualche misura
più sopportabili;
lavoravano in negozi di dischi
o di abbigliamento vintage o i loro
genitori avevano un'attività
in proprio e
lavoravano per loro.
io finivo sempre
a fare le pulizie*.
in carcere non
si dice mai così; si dice invece
facchino.
non sono sicuro del motivo;
pensavo che un facchino
fosse un tizio che aiutava la gente
a salire sul treno
o una roba così.
per tutta l'adolescenza
e i miei vent'anni, fino
al mio arresto
ho avuto lavori schifosi con una paga bassa
e zero prestigio;
ammettiamolo,
pulire cessi non è
un'occupazione sensuale.
sembrava che ogni volta
che trovavo un lavoro
ben pagato dovessi essere licenziato
in pochi mesi.
non sono mai stato licenziato
quando avevo un lavoro
con una paga minima.
dovevo lasciare quei lavori lì solo per essere
obbligato a trovarne un altro simile
dopo pochi mesi
a pancia vuota
e di dormite su divani altrui.
non è stata una gran
vita
ma è quello che
ho fatto.***

*Per quel che può interessare, nella mia famiglia a diverse persone, anche a persone con una certa esperienza, è toccato, in certi periodi, fare le pulizie**, ma siccome non è loro toccato in tempi comunemente detti di crisi, la maggior parte della gente era inclinata a ritenere che si trattasse semplicemente di sfiga personale.
** Donna delle pulizie, come dimostra banalmente questa poesia, è termine quanto meno inadeguato, esattamente come lo sono Putzfrau e femme de ménage. È un lavoro dignitoso, dicono, come qualsiasi lavoro, ma a me pare che resti, oltre che mal definito (addetto alle pulizie non migliora la situazione, presupponendo l'assegnazione di un incarico di cui nessuno vorrebbe farsi carico, potendo), anche un lavoro tutto sommato di merda.
*** Chiaro poi che la traduzione in italiano è altrettanto inadeguata. Avrei dovuto tradurla in dialetto. Ripensandoci, non è troppo tardi:

canaia

no so
quante ore
dela mia vita
go passà
a netar dove
la gente scagazza.
se no te ga
esperienza
e te ga bisogno de bori
o te lavori
in un fast food, come che se disi ogi
o te se meti a netar scale.
mi go netà
ufici, ristoranti,
negozi de feramenta, stale
de cavai, drogherie,
campi de lavor e le stanze dove riva le visite
in canon.
pareva sempre
che i miei amici gaveva lavori
un fià
meio;
i lavorava in negozi de dischi
o de straze usade o 
mama e papà i gaveva qualche atività
in propio e
i lavorava per lori.
mi finivo sempre
a netar scale.
in canon no
se disi mai cussì; se disi piutosto
fachin.
no go alba perché;
mi pensavo che un fachin
iera un mato che iutava la gente
a montar sul treno
o una roba cussì.
quando che iero muleto
e fin ai miei vinti ani, fin
che me ga becà la pulia
go fato lavori de merda de poche fliche
e nissun prestigio;
disemo pur
che netar cessi no xe
propio un'ocupazion figa.
pareva che ogni volta
che trovavo un lavor
pagà ben pulito i me dovessi dar el chez
in pochi mesi.
no i me ga mai dà el chez
quando che gavevo un lavor
co' una paga del clinz.
dovevo molar quei lavori là solo per 
dover trovar un altro compagno
dopo pochi mesi
morendo de fame
e spavando sul canapè de chi capitava.
no xe stada
fraia
ma xe quel che
go fato.

5 commenti:

  1. Bellissima la traduzione in lingua friulana.
    Francesca, sei davvero una persona straordinaria!

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  2. Grazie, Francesco, ma ridimensioniamo subito la straordinarietà: il dialetto triestino è quello del posto che mi ha visto nascere e crescere, in quella piccola propaggine chiamata Venezia Giulia, mentre la lingua friulana (i friulani ci tengono, al termine "lingua", hanno persino un'academiuta e io non ho alcuna difficoltà a qualificarla così) si parla in Friuli, tra l'Isonzo e il Tagliamento (ad ovest del Tagliamento è già il veneto a prevalere, anche in territorio friulano).
    Se vuoi provare ad apprezzarne le differenze, prova a leggere le Poesie a Casarsa di Pasolini da una parte e le poesie di Virgilio Giotti dall'altra. Ci sono poi molte varianti, anche se mi rendo conto che queste distinzioni, viste da altrove, possano sembrare esagerate: tuttavia, il gradese di Biagio Marin non è friulano e il dialetto di Federico Tavan si parla ad Andreis e non altrove. E bada, non lo dico a beneficio di sciocche difese di piccole patrie, ma in difesa della ricchezza dei dialetti.

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  3. Ti ringrazio per la puntuale precisazione.
    Anche da noi, in Sicilia, all'interno di una stessa provincia, esistono notevoli differenze nel linguaggio parlato.
    Hai ragione: la varietà e la ricchezza dei dialetti è davvero infinita. E Pasolini, una volta tanto, sbagliava a pensare che la crescente omologazione avrebbe finito per distruggere i dialetti.

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  4. 1. Quando ho letto il primo paio di versi ho pensato a Spoon River: secondo me, anche dopo aver finito di leggere, qualcosa in comune c'è.
    2. Anch'io ho fatto pulizie: vengo da una famiglia poverissima (sottoproletariato urbano da parte di madre e campagna da parte di padre); sono nata in una stanza in subaffitto che per anni ha rappresentato tutta la nostra abitazione, con un cesso in comune con altre tredici persone. E per fare l'università ho fatto un po' di tutto, baby sitter, traduzioni, correzioni, lavori d'ufficio e anche la serva, sì. E sono sempre stata molto fiera di dire che per arrivare a fare la prof ho fatto anche la serva.
    3. I dialetti cambiano a distanza di pochi chilometri. Fra Padova, dove sono nata, e Piazzola sul Brenta, il paese di mio padre, ci sono una ventina di chilometri, e ci si prendeva sempre in giro a vicenda perché noi dicevamo róda e loro ròda, noi signóra e loro signòra, noi saréze e loro siarèze (e vale anche in Alto Adige per i dialetti tedeschi, qui addirittura si prendono in giro a tre chilometri di distanza). Una cosa interessante: ho sempre sentito mio padre dire dame un poca de late calda, femminile come in spagnolo e in tedesco. E anche sale lo usava al femminile.

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  5. 1. Vero.
    2. Ne hai tutti i motivi, non da ultimo perché sei un'eccezione, dato che l'Italia non brilla, rispetto a molti altri paesi, per mobilità sociale. La narrazione (giornalistica, soprattutto, ma non solo) della crisi degli ultimi anni, che è stata tra le molle di questo post, mi è particolarmente fastidiosa, tra le varie cose, perché non mi pare tenga conto che dal benessere (per non parlare di giustizia o di libertà) una fetta di popolazione è sempre stata esclusa, persino in anni passati alla storia come anni di vacche grasse.
    3. Ne sono consapevole, ma grazie per aver lasciato traccia della tua personale esperienza. Arricchisce il senso di una distinzione che ho tracciato per sommi capi per poterla trasmettere nel modo più chiaro e sintetico possibile in Sicilia.

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