Massimo Troisi, Ricomincio da tre, 1981
Da qualche anno soffro un po' di insonnia e da qualche mese parecchio, al punto che, quando mi addormento, tutti hanno già sognato tutte le guerre possibili e a me non resta che sognare i trattati di pace. Li conosco tutti, dalla titanomachia in poi.
Però non ricomincio, rallento. La tentazione vera sarebbe quella di fermarmi, ma siccome devo averla espressa ormai una decina di volte negli ultimi anni, senza mai portarla a conclusione, ed un migliaio di volte devo invece averla solo pensata con analoghi risultati, questa volta mi astengo dal commettere lo stesso errore.
Allora formalizziamola, 'sta cosa.
Caro lettore,
mi sento di rallentare. Durante le mie assenze, se puoi, cerca di leggere molta poesia e di leggerla nel maggior numero di lingue possibili dando almeno un'occhiata al testo originale, quando ricorri ad una traduzione (una traduzione vera: io qui faccio esercizio, spesso con fatica eppur volentieri, per il piacere di farlo e di farlo lontano da processi chimici, catalizzatori e robe così - non so se te l'ho mai detto - e lontano in generale). Altrimenti rischi di fare la fine del Guardian, che nella sua sezione culturale usa impropriamente un tag poetry al posto di un più corretto English poetry, come se, al di là del suo giardino all'inglese, pur bello e prezioso e adornato di straforo di non pochi fiori irlandesi, il resto del mondo non esistesse. Magari avrai notato che ogni tanto vi scrivono di Brodsky (anglicismo) o di qualche altro fondamentale poeta di lingua non inglese. C'è sempre una ragione eminentemente anglosassone per farlo: Brodsky, ad esempio, risponde ai criteri di pubblicabilità sul Guardian perché amava Auden. Sulla pochezza delle pagine culturali dei giornali italiani non serve spendere molte parole. Mi limito al minimo sindacale: L'Unità ha dedicato il coccodrillo a Zanzotto intitolandolo "Morto il poeta Andrea Zanzotto. Disse "La Padania non esiste"": una mancanza di rispetto, oltre che un truismo. La Repubblica nasconde la cultura dietro la televisione, l'uscita musicale del momento (e non quella indipendente) e internet. La terza pagina de Il fatto quotidiano fa piangere le poche lacrime rimaste. El País offre raramente qualche intervento interessante. Idem per Le Monde. Non che per i giornali tedeschi sia molto meglio, però quelli conservatori si difendono in genere meglio rispetto a quelli di area progressista. Uno dei quotidiani con le pagine culturali più ricche e belle è, per come la vedo io, la Neue Zürcher Zeitung: prova, se credi, a puntare il tuo mouse su Kultur, accessibile dalla prima pagina. Magari ci penserai due volte, la prossima volta, prima di prendere per il culo la Svizzera, se sei uno di quelli che tende a farlo con particolare frequenza e brio, ma, visto il bersaglio, con non troppa fantasia.
Però non ricomincio, rallento. La tentazione vera sarebbe quella di fermarmi, ma siccome devo averla espressa ormai una decina di volte negli ultimi anni, senza mai portarla a conclusione, ed un migliaio di volte devo invece averla solo pensata con analoghi risultati, questa volta mi astengo dal commettere lo stesso errore.
Allora formalizziamola, 'sta cosa.
Caro lettore,
mi sento di rallentare. Durante le mie assenze, se puoi, cerca di leggere molta poesia e di leggerla nel maggior numero di lingue possibili dando almeno un'occhiata al testo originale, quando ricorri ad una traduzione (una traduzione vera: io qui faccio esercizio, spesso con fatica eppur volentieri, per il piacere di farlo e di farlo lontano da processi chimici, catalizzatori e robe così - non so se te l'ho mai detto - e lontano in generale). Altrimenti rischi di fare la fine del Guardian, che nella sua sezione culturale usa impropriamente un tag poetry al posto di un più corretto English poetry, come se, al di là del suo giardino all'inglese, pur bello e prezioso e adornato di straforo di non pochi fiori irlandesi, il resto del mondo non esistesse. Magari avrai notato che ogni tanto vi scrivono di Brodsky (anglicismo) o di qualche altro fondamentale poeta di lingua non inglese. C'è sempre una ragione eminentemente anglosassone per farlo: Brodsky, ad esempio, risponde ai criteri di pubblicabilità sul Guardian perché amava Auden. Sulla pochezza delle pagine culturali dei giornali italiani non serve spendere molte parole. Mi limito al minimo sindacale: L'Unità ha dedicato il coccodrillo a Zanzotto intitolandolo "Morto il poeta Andrea Zanzotto. Disse "La Padania non esiste"": una mancanza di rispetto, oltre che un truismo. La Repubblica nasconde la cultura dietro la televisione, l'uscita musicale del momento (e non quella indipendente) e internet. La terza pagina de Il fatto quotidiano fa piangere le poche lacrime rimaste. El País offre raramente qualche intervento interessante. Idem per Le Monde. Non che per i giornali tedeschi sia molto meglio, però quelli conservatori si difendono in genere meglio rispetto a quelli di area progressista. Uno dei quotidiani con le pagine culturali più ricche e belle è, per come la vedo io, la Neue Zürcher Zeitung: prova, se credi, a puntare il tuo mouse su Kultur, accessibile dalla prima pagina. Magari ci penserai due volte, la prossima volta, prima di prendere per il culo la Svizzera, se sei uno di quelli che tende a farlo con particolare frequenza e brio, ma, visto il bersaglio, con non troppa fantasia.
La questione personale che ho con il Guardian mi ha allontanato dal parlarti dei libri di poesia. C'è un iceberg di poesie che si trova nei libri e non su internet, specie le poesie dei poeti più giovani e di quelli più antichi e dimenticati che seguono percorsi individuali, irritanti (einzelgängerisch, zeitgeistunfreundlich), o in quanto piccoli fari puntati su angoli bui o perché volutamente modesti, privi di ogni virtuosismo e di ogni volontà di stupire ad ogni costo, che non si prestano necessariamente ad essere rimbalzati qua e là come una palla da Twitter o Tumblr. Non sono sempre riuscita a proporteli come avrei voluto, vuoi per codardia vuoi per mancanza di parole per farlo. Abbi pazienza. Se ce l'ho io, che per natura sono irrequieta, puoi averla pure tu.
L'ho già scritto e lo ripeto: in Germania si acquistano 135 copie per ogni nuovo titolo di poesia, in media. Qualcosa mi dice che in Italia siano meno. Le sezioni delle librerie dedicate alla poesia, quando ci sono, sono vicino ai manuali di giardinaggio (in sé una nobile disciplina, ma editorialmente trattata malissimo), se va bene, o ai testi teatrali, ma siccome non sempre c'è la sezione del teatro, alle volte la poesia scompare tra le discipline più impensate. Alle volte le sezioni comprendono uno scaffale o anche una porzione di scaffale. Con gli anni e l'esperienza lo si trova velocemente: è lo scaffale più lontano da qualsiasi punto in cui ci si trovi (la cosa meriterebbe un teorema a sé, come fece (lo svizzero) Eulero ispirandosi ai ponti di Königsberg), il più nascosto, il meno accessibile, e contiene una costola che reca in caratteri più marcati la scritta NERUDA o MERINI. In una non piccolissima libreria di Trieste, una volta, mentre cercavo lo scaffale in questione, prima di scoprire che non c'era proprio, mi sono soffermata tra i dizionari della lingua italiana e vi ho trovato un libro di anatomia della lingua. Ovviamente, se mi conosci un po', non ti è difficile immaginare che l'ho leggiucchiato e ho guardato con interesse tutte le figure, muscolo per muscolo, papilla per papilla, l'ho riposto e non ho detto nulla ai commessi per aumentare la probabilità che venisse ripreso in mano un giorno da un altro casuale e divertito lettore. È anche così, mettendoti alla caccia di libri di poesia, che puoi fare delle scoperte e creare indiretti legami con delle persone ignote. In Francia sto cercando da un bel po' poesia africana, con risultati al momento pessimi: tutto un tripudio di SENGHOR, che però optò per esprimersi in francese. Sullo scaffale medio NERUDA c'è anche qui, la MERINI no.
Eccoci qua. Quello che ho ancora da dirti per oggi è grazie, caro lettore: ringrazio te per essere qui e, assieme a te, tutti quelli che nel tempo mi hanno letta e mi hanno incoraggiata, anche solo idealmente.
Arrivederci,
Francesca
P.S. Era una vita che volevo piazzare uno Zeitgeist da qualche parte.
P.P.S. La prima versione di questo post prevedeva la chiusura del blog. Per trasformalo in un annuncio di rallentamento, mi ci sono voluti 3 minuti netti. Sono sempre più convinta che internet sia fragile né più né meno della biblioteca di Alessandria.
P.P.P.S. 3' e 10'': i secondi necessari per raccogliere una r caduta qua da "trasformarlo".
P.P.P.P.S. (scritto dopo la lettura dell'ultimo post di Giovanni e dei relativi commenti, che mi fa piacere trovare, in questa come in altre occasioni, all'altezza dello scritto che li ha stimolati) È possibile che il mio ennesimo accenno alla fragilità di internet si sia temporalmente incrociato con quello fatto tra i commenti di Bat Bean Beam. È anch'esso un fatto effimero, forse solo una coincidenza, forse no. Quando internet si trasformerà in qualcosa d'altro o diventerà obsoleta e verrà abbandonata a favore di un altro mezzo, non è detto che la mole dei dati che vi stiamo riversando sia recuperabile, o per motivi tecnici (perché non si potrebbe guastare irrimediabilmente con la stessa velocità con cui comunicano i diversi nodi?) o per le scelte, più o meno arbitrarie, che saranno operate dagli amanuensi del futuro. Della storia e della filosofia greca antiche, in fin dei conti, sappiamo relativamente poco e quel poco lo sappiamo essenzialmente grazie ad un progetto folle, eppur realizzato, di traduzione sistematica operato dagli arabi in Spagna. Ovviamente, c'è da sperare che gli amanuensi del futuro non perdano tempo a decifrare questo blog e che passino da Giovanni o da Studiolum, prima di tutto, se mai avranno un'unità che si occupa di blog.
L'ho già scritto e lo ripeto: in Germania si acquistano 135 copie per ogni nuovo titolo di poesia, in media. Qualcosa mi dice che in Italia siano meno. Le sezioni delle librerie dedicate alla poesia, quando ci sono, sono vicino ai manuali di giardinaggio (in sé una nobile disciplina, ma editorialmente trattata malissimo), se va bene, o ai testi teatrali, ma siccome non sempre c'è la sezione del teatro, alle volte la poesia scompare tra le discipline più impensate. Alle volte le sezioni comprendono uno scaffale o anche una porzione di scaffale. Con gli anni e l'esperienza lo si trova velocemente: è lo scaffale più lontano da qualsiasi punto in cui ci si trovi (la cosa meriterebbe un teorema a sé, come fece (lo svizzero) Eulero ispirandosi ai ponti di Königsberg), il più nascosto, il meno accessibile, e contiene una costola che reca in caratteri più marcati la scritta NERUDA o MERINI. In una non piccolissima libreria di Trieste, una volta, mentre cercavo lo scaffale in questione, prima di scoprire che non c'era proprio, mi sono soffermata tra i dizionari della lingua italiana e vi ho trovato un libro di anatomia della lingua. Ovviamente, se mi conosci un po', non ti è difficile immaginare che l'ho leggiucchiato e ho guardato con interesse tutte le figure, muscolo per muscolo, papilla per papilla, l'ho riposto e non ho detto nulla ai commessi per aumentare la probabilità che venisse ripreso in mano un giorno da un altro casuale e divertito lettore. È anche così, mettendoti alla caccia di libri di poesia, che puoi fare delle scoperte e creare indiretti legami con delle persone ignote. In Francia sto cercando da un bel po' poesia africana, con risultati al momento pessimi: tutto un tripudio di SENGHOR, che però optò per esprimersi in francese. Sullo scaffale medio NERUDA c'è anche qui, la MERINI no.
Eccoci qua. Quello che ho ancora da dirti per oggi è grazie, caro lettore: ringrazio te per essere qui e, assieme a te, tutti quelli che nel tempo mi hanno letta e mi hanno incoraggiata, anche solo idealmente.
Arrivederci,
Francesca
P.S. Era una vita che volevo piazzare uno Zeitgeist da qualche parte.
P.P.S. La prima versione di questo post prevedeva la chiusura del blog. Per trasformalo in un annuncio di rallentamento, mi ci sono voluti 3 minuti netti. Sono sempre più convinta che internet sia fragile né più né meno della biblioteca di Alessandria.
P.P.P.S. 3' e 10'': i secondi necessari per raccogliere una r caduta qua da "trasformarlo".
P.P.P.P.S. (scritto dopo la lettura dell'ultimo post di Giovanni e dei relativi commenti, che mi fa piacere trovare, in questa come in altre occasioni, all'altezza dello scritto che li ha stimolati) È possibile che il mio ennesimo accenno alla fragilità di internet si sia temporalmente incrociato con quello fatto tra i commenti di Bat Bean Beam. È anch'esso un fatto effimero, forse solo una coincidenza, forse no. Quando internet si trasformerà in qualcosa d'altro o diventerà obsoleta e verrà abbandonata a favore di un altro mezzo, non è detto che la mole dei dati che vi stiamo riversando sia recuperabile, o per motivi tecnici (perché non si potrebbe guastare irrimediabilmente con la stessa velocità con cui comunicano i diversi nodi?) o per le scelte, più o meno arbitrarie, che saranno operate dagli amanuensi del futuro. Della storia e della filosofia greca antiche, in fin dei conti, sappiamo relativamente poco e quel poco lo sappiamo essenzialmente grazie ad un progetto folle, eppur realizzato, di traduzione sistematica operato dagli arabi in Spagna. Ovviamente, c'è da sperare che gli amanuensi del futuro non perdano tempo a decifrare questo blog e che passino da Giovanni o da Studiolum, prima di tutto, se mai avranno un'unità che si occupa di blog.
Per trasformalo in un annuncio di rallentamento, mi ci sono voluti 3 minuti netti.
RispondiEliminaRaramente tre minuti mi furono più cari.
Mi raccomando, però, davvero, non scomparire, sennò finisce che ci restano solo i retronauti.
Che fortuna che sono arrivato tardi, e non ho già visto la prima versione. Quei tre minuti mi hanno risparmiato come minimo trenta minuti della composizione di un elaborato e ben argomentato commentario con il simplicissimo messaggio di NON FARLO.
RispondiEliminaAnche se mi presento raramente qui fra i commenti, lo devi sapere (come lo so io nel caso contrario) quanto mi sono care queste scintille, le traduzioni che sono tanto vicine al mio ideale esposto parecchie volte parlando della poesia cinese, e i commentari che li accompagnano e che, benché brevissimi, sono tanto pieni di sarcasmo e di amore.
Nel frattempo (e ora gioco l’advocatus diaboli) capisco bene il desiderio di rallentarsi. Anch’io, mentre voglio presentare sempre di più e sempre più spesso dei miracoli del mondo in Río Wang, sento la pressione di non accelerarmi troppo, perché le cose inevitabilmente hanno bisogno del loro tempo per maturarsi.
Per quanto alla filosofia greca, quelle traduzioni peninsulari solo acceleravano la sua ricezione in Europa, ma le opere originali si sarebbero conservati anche senza di quelle, come lo attesta l’influsso delle versioni in greco dopo la caduta di Costantinopoli. La mia esperienza di tanti anni con la pubblicazione dei frammenti dei piccoli maestri dell’antichità mi porta a credere che grosso modo quelle opere dell’antichità si sono perdute e quelle si sono conservate che lo meritavano. E questo offre una consolazione e un futuro promettente anche ai buchi nella sabbia.
P.S. Noi ungheresi sappiamo bene che sognare dei trattati di pace può essere un incubo incomparabilmente più grande che sognare delle guerre.
RispondiEliminaNon preoccuparti, Giovanni, non preoccuparti. Ad avere tempo, un giorno, sarebbe bello (inutile e bello) aprire un blog solo per pubblicarvi un post simulandolo scritto in un ipotetico futuro che mostri, come fanno i retronauti odierni, una serie di schermate tratte dal loro sito con la didascalia: "How to be a retronaut, blog, 2011" e al più qualche parola che ne sottolinei il sentimento di straniamento. Probabilmente, però, ci ha già pensato qualcuno.
RispondiEliminaEbbene, lo so, Studiolum, lo so, esattamente come lo sai tu quando non lascio tracce scritte sul Río Wang per molto tempo. Lo so proprio perché leggo Río Wang e lo faccio sempre provando qualcosa di impagabile: incanto.
Non faccio alcuna fatica a credere alla tua esperienza. Continuo a preferire la versione (immaginaria) di opere inestimabili del sapere umano perdute per sempre per una serie sfortunata di circostanze, per caso, per distrazione. In questo modo, non solo la vergogna che dovremmo provare ogni qual volta si considera superficialmente la Grecia (e ogni altro paese) equivalente al suo prodotto interno lordo si dovrebbe fare - se possibile - ancora più acuta, ma si potrebbe vedere ancora più ridotta la parte veramente innovativa apportata dall'uomo occidentale nei secoli successivi alla Grecia classica, visto che nelle nostre lande europee, anche a considerare solo le opere pervenuteci, abbiamo rimestato già moltissimo del materiale, delle idee, dei caratteri, dei topoi (è il caso di dirlo) che lì hanno avuto origine.
P.S. Ci avevo pensato. Senza nessuna intenzione di fare un paragone con la storia ungherese, mi erano venute alla memoria, inaspettate, le scritte, apposte dai revanscisti della destra sui muri di Trieste, che per molti anni hanno fatto da sottofondo al mio paesaggio quotidiano di bambina ed adolescente e il cui significato solo col tempo ho imparato a comprendere: No a Osimo.
Purtroppo non sono riuscita ad avanzare (ancora) a sufficienza con l'ungherese per poter toccare con mano le conseguenze dei trattati di pace sul vostro sentire, in passato ed oggi, ma posso dirti che, nel caso della poesia e della letteratura tedesca, pur conoscendo le cause, le responsabilità e gli orrori, e ancora una volta senza alcuna intenzione di paragonarne la storia con quella ungherese, il rapporto con la Polonia, con qualcosa di perduto e di amato visceralmente, con una parte di sé su cui si è infierito, si avverte tuttora presentissimo (anche il rapporto con la Russia, in realtà, è presente, ma in modo diverso e per motivi diversi).