domenica 19 dicembre 2010

Történelemóra

a történelmet próbáltam
magyarázni a köveknek
hallgattak

próbáltam a fáknak
bólogattak

próbáltam a kertnek
szelíden rámmosolygott

a történelem négy
évszakból áll mondta
tavaszból nyárból
őszből és télből

most éppen tél jön

Kányádi Sándor


Lezione di storia

ho provato a spiegare
la storia alle pietre
hanno taciuto

ho provato con gli alberi
hanno abbassato le chiome

ho provato col giardino
mi ha sorriso dolcemente

la storia è composta da quattro stagioni
ha detto, la primavera l'estate
l'autunno e l'inverno

ora è l'inverno che viene.


Prendo nota di un verbo bello e pericoloso: magyaráz (all'infinito magyarázni, spiegare). Italianizzare (o franciser o to anglicize, ecc.) comporta in genere solo un adattamento ortografico nella rispettiva lingua. Verdeutschen gli si avvicina di più, ma non completamente: in genere si riferisce o alla germanizzazione o all'atto del tradurre in tedesco, ed è solo in senso figurato che verdeutschen può assumere il senso di spiegare con parole semplici, rendere comprensibile. Magyaráz, invece, vuol dire proprio spiegare, sottintendendo - e qui stanno sia la sua bellezza sia la sua pericolosità - che solo attraverso l'ungherese si possa veramente capire. 

Prendo poi un'altra nota (non mi sento di fare altro, se non, al massimo, aggiungere parentesi quadre qua e là).
"Essere transilvani - dice [ancora] Pal [Pál] Bodor - vuol dire essere greco-orientali, cattolici romani e armeni, calvinisti, evangelici, ebrei, protestanti, unitaristi; vuol dire essere gomito a gomito romeni, ungheresi, slavi, sassoni, armeni. Questo spazio di convivenza ha creato la grande "utopia transilvana", la speranza di vivere e prosperare assieme. Una speranza che talvolta è divenuta realtà, come nelle grandi rivolte dei contadini". Ma l'utopia, forse, resiste ancora oggi. Ci sono intellettuali che denunciano apertamente la trappola nazionalistica. Come gli scrittori Jebeleanu, Dinescu e Crasnaru che hanno osato protestare contro l'emergere di certe tesi sciovinistiche. O lo scrittore Dorin Tudoran, che ha rivolto con l'amico ungherese Geza Szocs [Géza Szőcs] un appello all'Onu su questo tema. Racconta Bodor: "Ci sono due poeti laggiù, uno ungherese, l'altro romeno: Sandor Kanyadi [Sándor Kányádi] e Ion [Ioan] Alexandru. Sono amici per la vita, traducono l'uno le poesie per l'altro. Due destini paralleli, un solo grande sentimento di fratellanza. L'utopia transilvana è fatta di uomini come questi".
Paolo Rumiz, Danubio: storie di una nuova Europa, Edizioni Studio Tesi, 1990  


Ancora una nota, l'ultima. C'è una cosa che non si riesce a leggere subito dopo il punto aggiunto in chiusura a ora  è l'inverno che viene: gioia.

4 commenti:

  1. Bellissimo. Un grandissimo applauso. E la stessa gioia.

    Non lo vuoi pubblicare in Río Wang?

    Una sola piccola proposta: forse “hanno abbassato le chiome” è troppo pessimistico per rendere “bólogat”. Questo significa piuttosto annuire ripetutamente, e chissà anche con una certa indifferenza – appunto come lo fanno gli alberi quando gli spieghi di storia.

    l’inverno che già ci sta

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  2. È anche bello che la gioia riesca a viaggiare sul dorso di qualche parola.

    Come si fa a non volere pubblicare qualcosa su Río Wang? Sarà un piacere. Devo solo trovare un po' di tempo per farlo e riflettere ancora su bólogat e sul modo in cui renderlo, se possibile meno pessimisticamente. Sull'indifferenza hai ragione. È proprio per la generale impressione che mi era sembrato di poter cogliere, vicina ad una benevola indifferenza, che mi sono trovata in difficoltà ad ammettere l'approvazione degli alberi che sarebbe potuta derivare dal loro annuire. In realtà, dietro al loro annuire mi pare quasi di intravvedere la condiscendenza che si riserva ai matti.

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  3. Trovato (aggiungi, togli, modifica, integra come meglio credi).

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