Tutti ne hanno uno. Il mio è questo.
Tra le parole non italiane, a parte le parole slovene, che non so bene se ho sentito prima nelle forme stabilmente integrate nel dialetto triestino*, nelle poche parole della mia bisnonna paterna, nei discorsi origliati sugli autobus o nel corso delle camminate fra i paesi del Carso, nella mia infanzia c'era una parola ungherese che sentivo e assaporavo di domenica, in una pasticceria che esiste ancora, fondata dalla famiglia Eppinger a metà Ottocento e allora gestita dalla famiglia Poth: dobos. Praticamente una lettera per ogni strato, con quel che resta nell'aria della s ungherese per lo strato finale di caramello.
* i primi esempi che mi vengono in mente: brivez (barbiere), cudic' (diavolo), clabuc (berretto), jaize (uova), zima (freddo).
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