venerdì 31 dicembre 2010

Nostra corrispondenza particolare

Ernesto Ragazzoni, il poeta, giornalista e traduttore autodidatta che immaginò molto più di quanto effettivamente scrisse, fu chiamato al quotidiano La Stampa da Frassati, che era rimasto colpito da alcuni suoi articoli pubblicati su La Gazzetta di Novara. Frassati l'aveva cercato e trovato in un bugigattolo della stazione torinese di Porta Nuova, dove Ragazzoni compilava moduli ferroviari e distribuiva bollette di spedizione. 

Ragazzoni lavorò a La Stampa per molti anni, sia nella sede di Torino, sia come corrispondente dall'estero. Iniziò come virgolatore, poi si occupò di tutto, politica, cronaca, cronaca giudiziaria, varietà.

Pigro (almeno per chi non sapesse cogliere l'iperattività che caratterizzava le sue attività oniriche diurne) e disincantato, per lui niente era urgente o della massima importanza, neanche gli eventi ai quali chiunque altro avrebbe riservato (e riservò) la prima pagina: relegò in quinta pagina, e in caratteri piccolissimi, l'impresa di Cook, intitolando l'articolo "Il dottor Cook annuncia di aver raggiunto il Polo" e rischiando l'indomani il licenziamento, che riuscì ad evitare forse grazie alla polemica che seguì la smentita di Peary.

Gli piacevano le pagine invisibili, i sobborghi delle città, l'inverno e non l'estate, i libri che nessuno legge più, le estemporaneità e le deviazioni dalle regole: una volta, mandato a a fare la spesa per il pranzo di Natale dai suoi due coinquilini con i quali condivideva non solo l'appartamento, ma anche le difficoltà di pagarne regolarmente l'affitto, tornò a casa senza cibo, ma con un rudimentale telescopio comprato da un venditore ambulante, con cui passò il Natale contemplando la luna.

Aveva una particolare abilità nell'individuare e stigmatizzare la ripetizione, il rituale, il gesto e la parola che, ripetendosi, si svuotano di significato. E nel prendersene gioco.

Oggi, dopo questa introduzione, i cui episodi ricordati devo quasi integralmente a "Un uomo, un giornale" di Luciana Frassati, propongo una sua corrispondenza da Parigi, con una sola raccomandazione: non la si prenda troppo sul serio. Ragazzoni non l'avrebbe voluto.

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Il "Cubismo" e i suoi misteri

(Nostra corrispondenza particolare) Parigi, ottobre
Il Salon d'autunno, che si è aperto in questi giorni, consacra definitivamente dinanzi agli occhi del pubblico una nuova scuola di pittura destinata a mettere sottosopra il mondo. Questa scuola è il "cubismo". Il "cubismo" non consiste già, come si potrebbe credere, nella pittura esclusiva dei cubi; il "cubismo" accetta anche altre forme, il trapezio, l'icosaedro, il romboide, il prisma, il triangolo isoscele, — tutte, purché non c'entri una sola curva, — e potrebbe essere definito, così ad occhio e croce da un profano, la traduzione in linee geometriche della natura. Ma quando si dice linee geometriche, si sottintenda linee geometriche rette. Gli archi, le circonferenze, le sfericità, tutto quanto mostra di ribellarsi alle rigidità delle verticali, delle orizzontali, delle diagonali è irremissibilmente escluso. Il "cubista" vede nell'universo, unicamente ed esclusivamente, la linea retta la quale certo è la via più breve che conduce da un punto ad un altro qualsiasi... compreso il manicomio. Così, chiedete ad un "cubista" che forma abbia la luna, vi risponderà: è un astro quadrato. Pregate un "cubista" di disegnarvi la Venere di Milo o le forme di Giunone e subito andrà a cercare un regolo ed una squadra. Mettete dinanzi ad un "cubista" un ...tondo di spaghetti, e c'è da scommettere che ve lo tirerà in faccia.
Ma noi scherziamo, e non c'è niente da ridere. Il pubblico profano ha pari burlarsi, ma il "cubismo" è ammirato, il "cubismo" è ricercato, il "cubismo" è venduto, il "cubismo" diventa di moda. Esso ha dovuto attendere tre o quattro anni la sua ora, ma adesso l'ora è venuta. Ieri i "cubisti" erano sconosciuti, o meglio misconosciuti, oggi fanno chiasso. Il Salon dedica loro un'intera sala, e il fior fiore di Parigi, il pubblico eletto delle premières dei caffè concerti, dei pésages, delle spiagge eleganti, dei grandi processi criminali e di altri insigni ritrovi mondani, il pubblico intelligente, insomma, che non è come la vil folla volgare chiuso ad ogni idea di Bellezza, va in solluchero, approva e... capisce! Quanto a me, alla prima notizia che il "cubismo" era nato e battezzato, sono subito corso al Salon a fare la sua conoscenza. Quando una scuola d'arte si manifesta e sorge, chi può mai dire quali vergini vie ella aprirà, quali fremiti nuovi, quali nuove emozioni diffonderà sulla terra? Veramente già troppe cose in "ismo" hanno abbarbagliata e poi delusa l'umanità, ma ogni neonato che sbarca in questo povero mondo è bello come la speranza, e si dovrà cessare di sperare se qualche nostra antica illusione è andata fallita? E quale progresso, infine, potremmo noi fare se rifiutassimo ogni credito ai novatori?
Penetrato di queste benevoli disposizioni e di questi onesti sentimenti giunsi al Grand Palais. Mi raccolsi un momento ancora sulla soglia del tempio, ed entrai. Oh, qual gioia andare così alla ventura in cerca di capolavori! E ad ogni passo erano emozioni, ansie, perplessità. Infatti, non avendo, — allora — nessuna nozione precisa del "cubismo" e nemmeno nessun indizio sulla sala dove impera, mi fermavo dinanzi ad ogni quadro, scrutando, analizzando, tentando di discernere il carattere originale della nuova scuola, ed il bello è che ad ogni tratto mi pareva di aver trovato e che sempre il mio errore aveva mille giudiziose ragioni di fondamento. Subito nel vestibolo i miei occhi si arrestarono sorpresi sovra un cubo enorme, di ocra gialla traversato da sottili tagli rettangolari e che aveva la pretesa di rappresentare una casa. A fianco, vidi delle figurine di zinco colorato che sembravano tagliate a macchina. Erano queste le prime avvisaglie del "cubismo"? Me ne dissuasi pensando che non è nei vestiboli e nelle anticamere che si riceve un ospite di tanto riguardo, e salii lo scalone d'onore, non senza qualche emozione. Varcai una sala, poi un'altra, poi un'altra, poi dieci altre. I miei sguardi si volgevano interrogando da quadro a quadro: vidi marine che potevano essere guardate anche capovolte, con eguale successo; imbrogli di aste gialle e nere che volevano dire un bosco; campi di spinaci tracciati a quadrati perfetti, forse da qualche ortolano agrimensore; vidi certe specie di arche di Noè che non erano nient'altro che case; vidi burattini nudi sconvolti in contorsioni bizzarre; figure cadaveriche emergenti da sfondi di zolfo e di bitume; e dinanzi a ciascun quadro mi veniva alle labbra la domanda: è "cubismo" questo? No, non ancora!
Sulla soglia di una piccola sala, — piccola, come è dei santuarii dove sono serbate le reliquie più preziose, — un lampo finalmente mi traversò il cervello. Avevo trovato! I segni infallibili erano là sotto ai miei occhi. L'arte nuova mi rivelava tutte le sue maraviglie!
E che arte! Addio procedimenti arcaici dell'antica pittura, addio morbidezze di contorni, addio armoniose flessuosità di modellature! Nient'altro, qui, che angoli, spigoli e faccie ben determinate di solidi! Il corpo umano, gli animali, gli alberi, le cose hanno l'apparenza di quelle agglomerazioni di cristalli che troviamo per solito, illustrate nei trattati di geologia. Avete mai visto per le strade quei mucchi di dadi di legno che servono per la pavimentazione? Bene, quello è puro "cubismo". Anche il colore si avvicina moltissimo. Provatevi coll'immaginazione a scoprire delle fisonomie o delle forme in quei mucchi, come spesso l'occhio si diletta a fare nei giochi e nei caos delle nuvole, ed avrete l'impressione precisa di trovarvi dinanzi ad una di queste tele. Per effetto, non c'è che dire, il "cubismo" ne produce uno impareggiabile. Gleizer, Fresnaye, Metzinger, Léger, Fontenay, Duchamp, i maestri della novissima scuola hanno mille ed un titolo per andare orgogliosi. Gleizer ha una "caccia" che i competenti dicono stupenda. Dopo inauditi sforzi io non sono riuscito ad indovinare, perduta dentro un guazzabuglio di poligoni, che una tromba pentedecagona sotto il braccio di un fantino romboidale, ma io non sono competente e la sola passione del bello non basta a dissuggellarmi il comprendonio. Meglio, invece, ho compreso il La Fresnaye il quale espone un nudo di donna. Qui anche un profano capisce subito che la disgraziata signora deve aver passato un cattivo quarto d'ora presso una tribù di antropofagi, che l'ha spogliata del meglio di polpa, lasciandola piallata come un asse. Il "cubismo" fa di questi scherzi alla più bella metà del genere umano. La taglia come un'accetta può tagliare un tronco; la faccetta graziosamente ad angoli salienti e rientranti acuti, retti, ottusi; le fa gli occhi a squadra, il naso a spigolo di piramide, e quando l'ha così ben bene "cubificata" la mette in giro, felice, senza per altro l'avvertenza di apporre al quadro un cartello con scritto: "Badate di non pungervi". Certe figure, infatti, pare debbano tagliare a passarvi sopra la mano...
Ma tiriamo via, che c'è altro.
Fontenay ha due prismi che fanno all'amore sotto un albero dodecaedro, un amore solido come ben si può capire; Léger ha parecchi paesaggi, barche cubiche veleggiano su onde non meno cubiche, vedutine prese dal vero... nel caleidoscopio, effetti di nubi triangolari, ecc.; Metzinger ci regala... tutta la geometria... Ah, questo Metzinger che forza! Ho avuto un bel fare a socchiudere gli occhi, a pormi in tutti gli angoli della sala, a farmi canocchiale colla mano, a pararmi sapientemente le ciglia!... Ci ho perduto tutto il mio latino. È vero che non lo so, ma l'ho perduto lo stesso, e quando dopo infinite, vane torture, per estrarre... la radice cubica lasciai il Grand Palais, mi ritirai umiliato, avvilito quasi sentendomi, come scriveva il Bovio, "preistorico all'umana civiltà".
Il giorno dopo ho avuto la fortuna di conoscere un pittore "cubista". L'ho interrogato col rispetto che si deve all'iniziato di una setta misteriosa. Mi sono scusato della mia incompetenza e gli ho chiesto di spiegarmi che cosa sia il "cubismo". La mia umiltà lo ha commosso e non disdegnò di scendere a spiegazioni facili alla portata delle intelligenze comuni...
"Il cubismo — cominciò il mio catechista, è un'arte cerebrale, e non è tanto pittura, quanto astrazione. Il suo vero nome dovrebbe essere "purismo" giacchè cerca di ricondurre le forme complesse della natura alle loro linee più semplici ed essenziali che appunto sono le linee geometriche. Il disegno dei "cubisti" è per rapporto a quello degli altri pittori, ciò che è l'algebra per rapporto al calcolo ordinario. La riduzione di tutte le forme in figure geometriche certo dà alle opere di questi artisti un'apparenza insolita che urta il profano; ma è tuttavia un sistema ingegnosissimo per determinare con precisione, non soltanto le masse, i piani, le distanze, ma anche i valori ed i chiaroscuri. Si ottiene, con questo mezzo, un legame indissolubile tra la linea ed il colore, che produce una progressione ritmica nel senso dell'asse visuale. Esso costruisce le prospettive luminosa e psichica, in cui si manifesta tutto ciò che un'opera d'arte esprime d'occulto..."
Qui, vedendo che la spiegazione minacciava di oscurarsi in disquisizioni metafisiche per lo meno tanto astruse quanto le tele del Grand Palais, mi sono arrischiato ad interrompere il mio "cubista" e gli chiesi se proprio la pittura deve essere destinata a ridursi ad un'algebra e se proprio all'occhio non deve essere fatta alcuna concessione... Non avessi mai interrotto! Le proteste "cubiche" irruppero colla violenza di una cateratta:
"Ma all'occhio non bisogna accordare nessuna fiducia, o almeno accordarne ben poca. L'occhio nove volte su dieci si inganna, e noi dovremmo stare alla sua sola testimonianza e lavorare solo per diletto suo? L'occhio non accetta il più spesso che l'inganno. L'occhio non vede affatto. Si è tentato di farne uno strumento fedele, intelligente, ma invano. Esso non è che una finestra; noi vogliamo richiamare a questa finestra, che per se stessa è cieca, il pensiero e la ragione... "
E via su questo tono, vi lascio immaginare che po' di roba di dissertazione. Con tutta la mia buona volontà di tenerle dietro, dopo un tratto dovetti rinunciare, come un viaggiatore in ritardo che corre trafelato dietro un treno che scappa si lascia cadere affranto su una panca.
Nella vertigine delle parole ho ancora raggiunto qualche frase: "La luce dallo stesso sole non è la stessa per tutti. L'artista è quegli per cui Dio sembra avere creato un sole speciale. Se piace all'artista di immaginarsi che il suo sole speciale sia il solo che esista nell'universo, non ci si deve vedere alcun inconveniente... "
E quest'altra: "La disciplina "cubista" rende qualsiasi sentimentalità impossibile, ma ciò che si perde da questo lato lo si ritrova in cerebralità".
E questa ancora: "il ritmo è una serie unificante di contrasti lineari o dinamici; valori, contrasti tra la luce e l'ombra, non sono che ritmi nella direzione di profondità dell'asse visuale... "
Che cosa volete, queste teorie non sono molto chiare, ma almeno hanno il merito di far comprendere una cosa, e cioè il perché non si possa capir nulla (parlo per conto mio) delle famose tele esposte al Salon.
Tuttavia, il "cubismo" ha alcunché di suggestivo che è impossibile negare. Il "disegno algebra", la "ragione alla finestra dell'occhio che non ci vede", il "sole speciale dell'artista", i "contrasti lineari e dinamici" sono cose che rimangono impresse... Chissà che un giorno o l'altro non si diventi "cubisti" tutti quanti! Io non dispero. Per esempio, v'immaginate già voi, di qui, le esclamazioni al passaggio di una bella ragazza? — Che delizioso parallelebipedo !...

Ernesto Ragazzoni, La Stampa, 19 ottobre 1911

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