sabato 29 dicembre 2012

In principio era il verbo

la luna appena corneggiava ancora
Luigi Pulci, Morgante, IV, 2, 5

Sul tardi corneggia la luna.
Eugenio Montale, Egloga, Ossi di seppia

Nonostante la luna corneggi spesso e con periodicità, che io sappia, solo Pulci e Montale se ne sono accorti. Come è noto, "luna" è un termine tardo, risalente all'epoca in cui, sfortunatamente, nella penisola tlöniana si abbandonò l'uso esclusivo di verbi e di aggettivi caratteristico della lingua primordiale e ci si rassegnò, per stanchezza o esaurimento della fantasia, all'introduzione dell'uso dei sostantivi. Non servirà ricordare che, originariamente, i versi di Pulci e di Montale sarebbero suonati, più o meno, così:
lunava da poco, corneggiando appena; e
sul tardi lunava corneggiando.
Lunare, corneggiare, solare, melare, tavolare (o attavolare), divanarsi, incaffettarsi... "In principio era il verbo", contrariamente alla convinzione generale, non c'entra col logos, ma, come dice la parola stessa, proprio col verbo. È una forzatura? Un'esagerazione? Una vera e propria farneticazione da eccesso di zuccheri nel sangue? Forse. Forse, però, è solo una piccola forma di resistenza, invisibile e sicuramente destinata a soccombere, eppure la più radicale che io, come chiunque altro, abbia a disposizione. Resistenza alla lingua e alla letteratura dominanti, per cominciare, come quelle, nel Novecento italiano, di Alberto Moravia. Sono insipidi, i verbi di Moravia, anonimi, privi di personalità o di inventiva, accuratamente lontani dalla forza caratteriale dei dialetti e dall'esuberanza di apporti stranieri; sono verbi - paradossalmente - quasi privi di azione, movimento e fluidità. Pubblicatissimo, lettissimo, veneratissimo, almeno fino ad un paio di decenni fa, non credo sia poi così male, in fondo, che non lo si legga più nella misura in cui lo si faceva in passato. Potrebbe essere, questo, un segnale di speranza, se non fosse offuscato da altri segnali, di segno opposto. Dacia Maraini, per non allontanarsi troppo dall'entourage di Moravia, temo si legga tuttora più dello strettamente necessario (e, inspiegabilmente, più di suo padre). Lo deduco dalla generosità con cui la ospita il Corriere. La Maraini, come i verbi di Moravia, tende a non muoversi, a non spostarsi mai, nemmeno quando viaggia, dal suo stabile centro di osservazione, che è, beninteso, il centro del mondo, in modo non molto dissimile dall'atteggiamento di un qualsiasi nazionalista o localista, saldo sulle gambe ben piantate in mezzo al suo orticello - che sia di una nazione o di una regione o località non cambia poi troppo. Ed è così che la sera, in un teatro parigino, Dacia Maraini riesce a trovare un posto di strapuntino — che qui si chiama strapuntin (sic), pronunciato «strapunten» e sembra una parola storpiata da Totò nel suo italo-francese da avanspettacolo —. Il movimento, il moto, incluso quello naturale e libero delle parole che scavalcano le frontiere politiche e linguistiche, non è di suo gradimento, le è estraneo, persino quando le parole provengono dal suo Paese (e solo tornando al luogo natale dopo essere emigrate altrove assumono il loro attuale significato: "strapuntino" diventa seggiolino, sedile aggiunto, proprio grazie al passaggio in area francese, perché l'originale termine italiano, appartenente all'ambito marittimo, significava materasso).
Esagerazione o farneticazione o piccola battaglia di retroguardia che sia, non mi pare di essere sola: mi sostengono i poeti, soprattutto, come Pulci e Montale e molti altri, ma anche degli autori di prosa. Oggi, in particolare, questi due:

No hay sustantivos en la conjetural Ursprache de Tlön, de la que proceden los idiomas "actuales" y los dialectos: hay verbos impersonales, calificados por sufijos (o prefijos) monosilábicos de valor adverbial. Por ejemplo: no hay palabra que corresponda a la palabra luna, pero hay un verbo que sería en español lunecer o lunar. Surgió la luna sobre el río se dice hlör u fang axaxaxas mlö o sea en su orden: hacia arriba (upward) detrás duradero-fluir luneció. (Xul Solar traduce con brevedad: upa tras perfluyue lunó. Upward, behind the onstreaming it mooned.)
Jorge Luis Borges,  Tlön, Uqbar, Orbis Tertius, 1940

avverto una letizia da scolaretto cui si concede una inedita vacanza, l'esenzione da qualsiasi doveroso aggiornamento. E allora ho tolto dalla libreria... ho cavato dalla fila dei libri il Morgante maggiore di Luigi Pulci. In un momento in cui più fitti affluiscono i libri che agiteranno le socievoli acque della attualità letteraria, in cui siamo avvolti nella tenera o rissosa psicologia della narrazione, penso sia opportuno leggere un testo, come il Morgante maggiore, che pare affatto esente da psicologismi, che non è attuale, non verrà proposto per alcun premio, e non verrà riscoperto da un critico di fine sentire. Ho sempre amato questo poema quattrocentesco, che è uno dei libri più sfrenatamente divertenti della nostra letteratura; un libraccio ridanciano, drammatico, gaglioffo, rissoso, plebeo e aristocratico, un divertimento ed un lavoro di calcolata dottrina. Ci sono libri che danno una litigiosa sensazione di libertà, per il loro destino un poco periferico, che li fa restare ai margini delle storie ufficiali, scolastiche: sono libri un po' bastardi, di dubbia legalità domestica, e senza ascendenti riconosciuti. Sono dei tàngheri, dei mettimale, dei poco di buono; sono ambigui e insieme di buon umore in un modo provocatorio. Hanno del canagliesco. Non occorre rompere lampioni; si possono fare più canagliate con una ben manipolata sintassi e un lessico furbesco che con le motociclette delittuose del cinema. Aprire un certo libro - in questo caso il Morgante - è assolutamente ingiustificato; appunto questo è un gesto libero... ho scelto il Pulci, credo, perché non c'era nessuna ragione per farlo, dunque era l'esempio perfetto.
Giorgio Manganelli, Un'allucinazione fiamminga: il Morgante maggiore raccontato da Manganelli, Socrates, 2006

4 commenti:

  1. E anche oggi ci hai regalato il nostro quarto d'ora di estasi paradisiaca.

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  2. Bellissimo post. A sentir nominare la Maraini mi viene in mente quello che ne scrisse Carlos Barral, ricordando i tempi del premio Formentor [per inciso, una roba come il premio Formentor per l'editoria e il mondo culturale di oggi, almeno quello italico, sarebbe pura fantascienza]. Scrive pressapoco che per varie correnti e pressioni politiche [di politica editoriale] all'interno della giuria, dovettero premiare quella ragazza esordiente, donna di Moravia, e il suo libro che valeva pressapoco un c***o.

    [personalmente, per quel pochissimo che vale, non condivido gli entusiasmi manganelleschi per il Morgante, in questo m'accodo al grande G. Dossena]

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    1. Grazie per la segnalazione, Damiano. Ho cercato la parola precisa, per mia curiosità: era "insignificante", secondo Barral, e non è difficile credergli. "Varias horas por la mañana, solamente interrumpidas para que pudiera asistir al voto del premio chico, del Formentor, que, seguramente por causa de mi ausencia en las discusiones finales y por interesada influencia de Moravia, se adjudicó a una novela más bien insignificante, L'età del malessere de Dacia Maraini, una escritora de muy seductora presencia. Yo había montado mi táctica en la defensa de otro libro, el del egipcio Hoveida, pero no tuve ocasión de hablar ni de confabularme."

      La tua posizione vale come quella di chiunque, grande o meno. L'entusiasmo di Manganelli, che condivido per la gaglioffaggine, non può che essere debordante: era uomo che non conosceva le mezze misure.

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